Un successo, alcune indicazioni
La manifestazione di sabato scorso a Roma è stata un indubbio successo. Un fatto politico da considerare attentamente. Com’è giusto ed ovvio l’elemento emozionale ha avuto la sua parte, ma con esiti diversi da quelli sperimentati altre volte, ad esempio nel 2003 con la guerra all’Iraq. Mentre allora vinse, almeno nei numeri, la melassa pacifinta del “né né”, questa volta sembra profilarsi uno scenario più avanzato, più cosciente, quantomeno più suscettibile di sviluppi positivi.
Proviamo allora a sintetizzare le indicazioni più importanti che ci consegna la manifestazione del 17, come momento culminante dell’intera campagna a sostegno di Gaza.
Roma batte Assisi 30 a 1
Il signor Flavio Lotti, portavoce ufficiale dell’opportunismo cerchiobottista che con Arci, Cgil, Acli, ecc. si era dato appuntamento nella città di San Francesco per gettarsi nelle braccia di Massimo D’Alema, pur di poter continuare a barcamenarsi in un’ipocrita equidistanza incapace di schierarsi con le vittime o con i carnefici, ha perso sonoramente la sua sfida. Nonostante i molti gonfaloni istituzionali e le ancor più numerose auto blu, i manifestanti di Assisi erano un trentesimo di quelli di Roma. Uno scarto che ha costretto perfino i mezzi di informazione ad ammettere, almeno implicitamente, la netta prevalenza della manifestazione romana.
Non si tratta di un fatto secondario. Non siamo stati tra quanti hanno voluto vedere un’improbabile vicinanza tra le due manifestazioni. Da subito, anzi, abbiamo denunciato il gioco sporco che sarebbe andato in onda ad Assisi. Per valutare i passi avanti compiuti dal movimento di solidarietà con la resistenza palestinese non bisogna fare Roma più Assisi, bensì Roma meno Assisi. Ed è appunto il risultato netto di questa sottrazione a parlarci di una situazione in forte cambiamento.
Il ruolo decisivo delle comunità arabe e palestinesi
Da tempo indichiamo come centrale la questione del rapporto con le comunità degli immigrati palestinesi ed arabi in genere. Già nelle iniziative della primavera scorsa – quando con il Comitato Gaza Vivrà facemmo venire in Italia da Gaza Gamal Elkoudary, parlamentare palestinese e presidente del Comitato Popolare contro l’assedio, e Sameh Habeeb, coordinatore dello stesso – toccammo con mano le enormi potenzialità di questa alleanza.
Oggi, dopo le mobilitazioni delle comunità di tante città italiane, in particolare nel nord del paese, anche altri scoprono questa semplice verità. Non possiamo che rallegrarcene: meglio tardi che mai!
A Roma la presenza di tanti giovani immigrati, per lo più di religione musulmana, ha dato alla manifestazione una carica diversa, un sentimento più vero e profondo, il senso di un’unità possibile da costruire e consolidare nel tempo. Unità non solo contro il mostro sionista, unità per la verità e la giustizia, ma forse anche unità di classe contro il “divide et impera” praticato dalle classi dominanti.
Questa è la strada. Nelle ultime settimane lo abbiamo visto nel concreto. E’ dunque l’ora di andare avanti in questa direzione.
Gaza = Resistenza
Con l’appello contro l’assedio, dell’autunno 2007, indicammo la necessità di mettere al centro la questione di Gaza. Non solo per l’assedio criminale che già allora mieteva vittime quotidianamente, ma anche perché Gaza stava diventando il simbolo della coraggiosa resistenza di un popolo che non intende in alcun modo piegarsi.
Oggi la centralità di Gaza è dimostrata dalle stesse scelte dello stato sionista, che ha scagliato il massimo della violenza contro la Striscia proprio per sancire la sconfitta della resistenza. Obiettivo ambizioso, ma fallito. Possiamo dire che questa consapevolezza si è affermata anche nel movimento di solidarietà con la Palestina del nostro paese? Alla luce della manifestazione di sabato possiamo dirlo. Il grido “Resistenza!” ha percorso il corteo da cima a fondo, mentre l’ipocrita “due popoli, due stati” è ormai soltanto merce avariata per un ceto politico altrettanto marcio. Non è detto che questa diversa consapevolezza si consolidi. Dipenderà da molti fattori. Ma intanto un passo avanti è stato fatto ed il principio della Resistenza si è fatto strada come mai in questi anni.
E’ finita l’epoca dei partiti(ni) che mettono il cappello
Non pensiamo che i partiti(ni) siano finiti. E’ però finita l’epoca in cui potevano mettere il cappello su tutto. Prendiamo il caso più significativo, quello del Prc. Con i piedi su due staffe, avendo aderito sia alla manifestazione di Roma che a quella di Assisi, ha finito per contare poco sia da una parte che dall’altra.
Ma non è soltanto questione di numeri, è che si avverte il disfacimento delle fondamenta politiche di un’architettura durata diversi anni: quella del bertinottismo. E’ vero che il Prc è alla vigilia di una scissione, ma è comunque significativa la discussione seguita ad un articolo dello storico Angelo d’Orsi su Liberazione. Due le affermazioni di D’Orsi che hanno fatto scandalo: “Hamas incarna, lo si dica, la sola vera resistenza all’occupazione. Sta qui la vera, positiva, sproporzione”. E ancora: “Davanti allo scempio del diritto (quello sancito da leggi internazionali), della morale e della storia (perché si negano in balorde “ricostruzioni sacre” i diritti dei palestinesi su quelle terre), occorre che chi crede nella verità e nella giustizia dica che è ora di finirla con l’uso politico della Shoa”.
Parole chiare, inequivocabili e da sottoscrivere, che se da un lato hanno fatto inalberare gli scissionisti con la valigia in mano, dall’altro fanno apparire come balbuziente il segretario Ferrero, che nell’editoriale dello stesso giorno ha usato ripetutamente la formula “due popoli, due stati”. La stessa formula di quell’Europa che ha coperto il massacro di Gaza: non dovrebbe far riflettere un po’?
Una nuova strada è possibile?
Quel che ci sembra di poter dire, in conclusione, è che forse una nuova strada si sta aprendo. Da un lato le comunità immigrate hanno messo decisamente la testa fuori, e non era né facile, né scontato. Dall’altro, la tradizionale diffidenza anti-islamica del laicismo di sinistra ha dovuto fare dei consistenti passi indietro, facendo venire avanti la comprensione della funzione identitaria rappresentata dall’Islam.
La signora Manuela Cartosio (vedi l’articolo Il Papa e il cardinale) ha perso. E con lei tutti i benpensanti del politicamente corretto di sinistra. La preghiera islamica all’ora del tramonto al Colosseo l’avrà certamente disturbata, ma non ha disturbato affatto i manifestanti che hanno condiviso con i musulmani un corteo ricco, intenso e combattivo.
La strada è quella giusta: andiamo avanti.
La Redazione