Riflessioni sul movimento vicentino

I lavori nell’ex aeroporto Dal Molin di Vicenza per la costruzione della nuova base americana procedono alacremente. Anche durante il mese di agosto i 145 (ma diverranno a breve 550) operai delle cooperative “rosse” emiliane non hanno praticato alcun genere di ferie e si danno da fare per sistemare il mezzo milione di mq. che ospiteranno i 600.000 mc. di edifici destinati a ospitare i 1.200 “guerrieri” della famigerata 173^ brigata aviotrasportata degli USA.

Gli abitanti circostanti protestano inutilmente per il rumore assordante dei battipalo che devono conficcare centinaia di pali in cemento lunghi 18 metri per creare le “palafitte” su cui sorgeranno gli edifici (ma l’area non era vincolata come agricola e “zona a depressione fluviale”?), e per la polvere sollevata dagli scavi, ma nulla pare possa turbare la costruzione di questa moderna base militare se si esclude la natura morbida del terreno e quella che pare una sottostante falda acquifera.

Il buon Don Albino Bizzotto, dei Beati i costruttori di Pace, prosegue il digiuno nel suo camper parcheggiato nei pressi, mentre il “presidio permanente” sta preparando la grande festa del 2-13 settembre anche con l’apprestamento del campo di volontariato internazionale che aprirà già venerdì prossimo.

In questo momento sulla scena appaiono quindi due realtà: i pacifisti, attraverso i Beati Costruttori e Don Bizzotto, e i “disobbedienti” i quali, come per il passato, organizzano il loro meeting annuale. In ciò non ci sarebbe niente di male se in entrambe le componenti non ci fossero grossi vizi di fondo.
Sul pacifismo c’è poco da dire: esso si qualifica e si presenta per quello che è, e gli va dato merito di aver occupato un vuoto che si era formato dopo la manifestazione del 4 luglio scorso. Altro sarebbe il discorso sull’anima di questo movimento che vanamente si batte per una pace universale e che però sostenne la necessità dell’intervento “umanitario” nella Jugoslavia. Atteggiamento questo che pare dimenticato da Ferrero, quasi come un piccolo peccato alle origini, e che però accomuna, magari forse solo su questo, don Albino con i disobbedienti.

Dicemmo sin dall’inizio che la base si sarebbe fatta: c’era il consenso della “sinistra” con il governo Prodi e, scontato, della destra (non a caso il commissario del governo per la costruzione della base è Paolo Costa, PD gradito al PDL). L’Italia, e l’Europa, mai come ora sono sdraiate sull’incondizionato consenso alla politica americana e alla sua “guerra al terrorismo” (ultimo esempio di servilismo vicentino è l’offerta agli americani da parte del comune di Tonezza dell’ex base dell’aeronautica).
In ogni caso per le proteste è sempre stato predisposto un drastico intervento militare che avrebbe represso qualunque azione che fosse andata oltre la protesta pacifica.

Si poteva dare alla lotta contro la base un’impronta meno ambientalista ed ecologista?
Certamente sì, ma la connotazione ambientalista ha pur ottenuto un grosso consenso che una caratterizzazione più politica avrebbe magari pregiudicato.

Ora però sarebbe il momento di tirare le somme. La base cresce a vista d’occhio ed è facile prevedere che nessuno ne fermerà il completamento. La protesta contro gli evidenti inconvenienti ambientali (per non parlare di disastro) deve proseguire con la maggior forza possibile, ma non è forse giunto il momento di aggiustare il tiro sul problema principale? Si tratta dell’aspetto di fondo, che purtroppo è stato sempre sottaciuto: la costruzione di una nuova base militare da parte di uno stato lontano 8.000 chilometri. Uno stato imperialista che sta seminando morte e distruzione in varie parti del mondo e che si propone di continuare a farlo per preservare la sua posizione di egemonia mondiale.

Va ricordato che la nuova struttura è una base strategica avanzata che ospiterà un elemento di punta dalle caratteristiche prettamente aggressive. A fianco, ma se ne è parlato assai poco, c’è la “vecchia” base, “Camp Ederle”, costruita a fine anni ’50, dove pure sono in corso grandi lavori di ampliamento e ammodernamento. La Ederle, che ha sempre ospitato la SETAF (Southern European Task Force) è dall’anno scorso sede di US Army Africa, propaggine terrestre di Africom, il nuovo comando unificato delle forze armate USA per quel continente.
Vicenza è sede inoltre del Center of Exellence for Stability Police Units, dove si addestrano ad alto livello, per la guerra non convenzionale, gli ufficiali delle forze di polizia e di intelligence di molti paesi africani. Tali forze, si legge nella scheda di presentazione del CoESPU, saranno “preparate ad intervenire rapidamente, con apparati logistici autonomi e con la capacità di stabilire una forte presenza di polizia in territori ostili”. Si tratta insomma di controllo, spionaggio, repressione e rappresaglia, (sull’esempio delle Unità Multinazionali Specializzate già utilizzate in Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Iraq) contro i “ribelli e/o terroristi“, cioè contro le forze non sottomesse che resistono in vari modi alla rapina delle risorse nelle nuove colonie. I rapporti fra AFRICOM e CoESPU sono (o almeno appaiono nelle dichiarazioni ufficiali) di stretta e cordiale collaborazione.
Ederle inoltre ha da sempre un corollario di hangar e tunnel sotterranei  situati nelle viscere dei Colli Berici (Site Pluto a Longare e base di Tormeno), che pure sono in fase di ristrutturazione e sono stati rifugio per armi segrete comprese quelle nucleari. Armi che sono state origine anche di qualche “incidente” se nel 1992 un tunnel è stato urgentemente cementificato sul tipo dell’intervento a Cernobyl, e sono emersi dati inquietanti sulla radioattività nella zona.

Sarebbe troppo lungo entrare nei dettagli sulle caratteristiche delle basi americane nel vicentino, ma quello che conta è attirare l’attenzione su ciò che non è stato e non è al centro: Vicenza sta diventando una delle più importanti basi strategiche americane in Europa, specializzata negli interventi militari rapidi e in azioni repressive di tipo poliziesco.

La responsabilità di aver volutamente tenuto in ombra questi aspetti è dei “disobbedienti”. Le ex “tute bianche”, che solidarizzavano con l’UCK e con Otpor, hanno sin dall’inizio monopolizzato il “presidio permanente NO DAL MOLIN” e dato un’impronta localistica al problema. L’obiettivo principale per loro, come sempre, è stata la ribalta mediatica, l’azione con la finalità di apparire, una protesta che non andava oltre una visibilità fine a se stessa. Approfittando della voragine spalancata dalla “sinistra” e dai preponderanti rapporti di forza rispetto i pur non pochi antimperialisti, hanno deciso di volta in volta quello che andava fatto, fino a far identificare la lotta per il “NO Dal Molin” con la lotta per il presidio, divenuto ormai un centro sociale del Nordest.  Accettando le proposte vantaggiose per il “movimento” e bocciando tutto ciò che esulava dalla loro visuale, attuando l’ostracismo più assoluto verso tutto quello che era ritenuto “comunista”, uomini o idee che fossero, hanno consolidato un’egemonia che, stando agli elementi in campo, sembra inattaccabile.

Per i casariniani la battaglia del NO DAL MOLIN non ha mai avuto alcun legame con l’imperialismo americano e la sua strategia di controllo globale. Non è stato cercato ed è stato rifiutato il legame e il coordinamento con le altre realtà italiane ed europee che hanno problemi analoghi, sia per la specifica ideologia dei disobbedienti sia per non correre il pericolo di veder occupata la scena da altri protagonisti.

A Vicenza c’è insomma un altro esempio della degenerazione di forze sedicenti antagoniste e dell’inadeguatezza di quelle anticapitalistiche e antimperialiste.
Qualsiasi entità che in questo momento si occupi di pace e guerra, con le relative connessioni, non può non avere una visione antimperialista. Confinare la costruzione di una nuova potente base militare della più forte e aggressiva nazione straniera nel recinto ambientalistico e nel pacifismo imbelle non può che lasciare,  a giochi fatti, cioè a base ultimata, pessimismo e frustrazione.
La lotta contro la base “Ederle2”, se imperniata su quella all’imperialismo e alle guerre che porta, può avere un altro respiro. Qualcosa a Vicenza è cambiato: la specie di idillio che da decenni vigeva tra città e base americana si è infranto. Per molti è diventato evidente che un pezzo sempre più grande del territorio è occupato militarmente da una potenza straniera proterva e minacciosa.
Partendo da ciò è possibile allargare la presa di coscienza sulla necessità di una paziente azione di lunga durata a fianco di chi si batte in Italia con problemi analoghi e a chi nel mondo intero si scontra attualmente con il più pericoloso nemico dei popoli: gli Stati Uniti d’America.