Il movimento vicentino ad un passaggio decisivo

Per sapere l’esito di una battaglia a volte è sufficiente valutare chi c’è alla guida, siano essi generali, partiti o leader più o meno autoproclamatisi. Questo vale sia negli scontri militari che nelle lotte politiche. Baratieri, Badoglio, Cadorna sono esempi per il primo caso. Per il secondo  possono bastare, per venire a tempi più vicini, i nomi di Lama o di Bertinotti.

Naturalmente le sconfitte, le battaglie perdute, succedono anche quando le idee e gli obiettivi sono chiari e l’azione è condotta nel migliore dei modi possibile, ma in questo caso quello che conta è come ci si è battuti e come si cade. Che sedimenti lascia l’esperienza fatta.
Nel caso della sconfitta (che ora si tenta di far passare per mezza vittoria) della lotta per impedire la costruzione a Vicenza della nuova base americana “Ederle 2”, l’eredità lasciata è ancora una volta lo scoramento, e la convinzione che i politici sono inaffidabili, nel migliore dei casi, e la soddisfazione di aver ottenuto una valida contropartita nel peggiore.

Da tempo si era capito che la base si sarebbe fatta: troppo il consenso alla base di “destra” e “sinistra”, rigida la determinazione dei governi di eliminare con ogni mezzo gli impedimenti alla costruzione. Ciò anche se c’erano le condizioni per superare una lotta impostata troppo sul localismo e sull’ecologismo-pacifismo e farla diventare una battaglia antimperialista e per la sovranità nazionale non compromessa da basi militari straniere.

Che la base si farà è confermato ora anche dalla resa del sindaco Variati (determinata pare anche dalla perdita di qualsiasi sostegno del PD) che ha iniziato le consultazioni con i partiti e i movimenti interessati alla vicenda della “Ederle2” per formulare un “pacchetto di proposte da presentare al governo nell’ambito delle compensazioni garantite dal commissario Paolo Costa per il caso Dal Molin.
«Non sto chiedendo l’elemosina, né chiedo a nessuno di cambiare idea – commenta Variati – devo evitare che Vicenza esca becca e bastonata». (1)
L’iniziativa del sindaco rende chiaro lo spostamento netto di tutta l’ala moderata che aveva rifiutato l’installazione della nuova base. Si accetta la base in cambio di una serie di interventi sul territorio che dovrebbero “risarcire” la città del “sacrificio sopportato”.
L’invito è stato accettato da tutte le forze politiche e sindacali ma rifiutato dal “Presidio permanente” e dalla lista civica “Vicenza libera-No dal Molin” rappresentata da Cinzia Bottene che ha dichiarato: “Siamo sorpresi dalla scelta di convocare le rappresentanze sociali e politiche, in una grande ammucchiata d’interessi contrapposti e difficilmente conciliabili, al solo fine d’individuare improbabili e per noi, inaccettabili compensazioni”. (2)
La frangia moderata del No Dal Molin (in sostanza l’ala partitica di “sinistra”) ha invece accettato l’invito, pur restando formalmente contrari alla base ma decisi anche a “non rinchiudersi in un orgoglioso, quanto inutile isolamento”.

L’abisso che divide la “destra” e la “sinistra” sul “pacchetto di risarcimenti” consiste in ciò: la prima vuole, oltre alla base che accoglie con entusiasmo, eliporto e “nuova mobilità”, con TAV, tunnel, tangenziali ecc. La seconda invece, oltre all’eliporto, chiede piste ciclabili, e che  il demanio ceda a Vicenza parte dell’area inutilizzata dell’ex aeroporto Dal Molin per crearvi un parco. Un boschetto accanto all’acquartieramento della “173^ brigata aviotrasportata” USA pretende di stendere un “velo verde” su di uno speciale strumento mortifero della politica imperialista degli Stati Uniti.
Invece le cose non stanno così. Anche limitandosi all’aspetto ambientale, che è lo scenario prediletto dai moderati (che purtroppo ha dominato sul resto) non saranno certo le nuove strade (utili soprattutto agli americani per collegare “Ederle 1” e “Ederle 2”), o qualche infrastruttura di utilità sociale a cancellare lo sfregio e il contributo all’inquinamento arrecato dalla base militare collocata a due passi dal centro storico. Per non parlare poi dell’aspetto economico: le “compensazioni” non dovevano essere a carico degli americani? Ora pare che a pagare sia il solito Pantalone.

Non dovrebbe stupirci, ma impressiona constatare come la virata, la resa, del sindaco e delle compagini che lo affiancano, sia sostenuta da motivazioni esclusivamente  localistiche. Non c’è nemmeno più traccia del pacifismo. Si parla, in quello che somiglia a un mercato delle vacche, solo di “ricompensa” per i “sacrifici” che Vicenza dovrà sopportare con la nascita della nuova base.

Da questa abiezione il “Presidio permanente” si è defilato. Forse lo ha fatto anche per non essere fagocitato dall’ammucchiata, e quindi sparire dalla scena, però sembra tener duro, tanto che la manifestazione indetta sabato scorso ha avuto un discreto successo: un migliaio di giovani sono sfilati lungo Corso Palladio con lo striscione “Divieto alla guerra”. L’iniziativa era contro il decreto Maroni (fatto proprio da Prefettura e Questura) che vieta le manifestazioni politiche e i cortei nel centro.

Sui propositi mancati dell’ala più “disobbediente” è bene sorvolare, anche se ricordiamo i “Dovranno passare sui nostri corpi”e “Occuperemo la base”. Erano velleità sostituite ora dalla rivendicazione di “indipendenza dalla base” e rifiuto della guerra.
E’ istruttivo vedere come l’avversione alla nuova base sia determinata soprattutto dal vederla come generico strumento che “produrrà guerre, miserie e distruzioni in giro per il mondo”.
“Ederle 2”, AFRICOM (già Ederle1), il CoESPU, non fanno parte degli strumenti che una precisa potenza si dà per controllare e dominare il globo, ma sono anonimi e quasi autoprocreatisi.

Del resto il grande rilievo dato all’interno del festival “No Dal Molin” alla base americana di Diego Garcia è illuminante. L’aspetto principale, il più grave, non era quello dell’esistenza di una base aerea strategica fondamentale per gli USA nell’area asiatica (vedi il suo uso nella guerra all’Iraq e all’Afganistan), ma quello della popolazione dell’isola deportata altrove. Va da sé che i diritti degli abitanti sono sacrosanti, ma rivendicare il loro diritto al ritorno è una cosa, mentre chiedere lo smantellamento di una delle basi militari chiave per gli Stati Uniti un’altra.
Ma soprattutto: c’era nessun’altra base militare americana più prossima di quella dell’Oceano indiano? Forse che sul nostro territorio non c’è una rete di basi USA tra cui spiccano Aviano, Ghedi, Napoli, Camp Derby a Livorno, solo per citare le più importanti?
Le deportazioni degli abitanti per far posto alle installazioni militari sono delittuose, ma è meno importante il fatto che quelle basi siano strumenti per il predominio economico e politico ottenuto anche con la guerra perpetua e il massacro di intere popolazioni?
Via gli americani da Diego Garcia, era lo slogan giusto. Come per il movimento No Dal Molin doveva, dovrebbe essere Via gli americani da Vicenza e dall’Italia.

Ma forse è il caso di dirci la verità fino in fondo: la base americana “Ederle” della SETAF (ora AFRICOM), il “Site Pluto” con le testate atomiche di Longare e Arcugnano, la base missilistica di Malga Zonta, si insediarono a Vicenza (“Provincia particolarmente tranquilla e tollerante” assicurò Rumor agli USA) alla fine degli anni ’50. Il PCI, con le poche forze che questi aveva nella provincia “tranquilla”, sviluppò una dignitosa battaglia, ma, come si sa, le basi si fecero, c’era il “pericolo rosso” pochi chilometri a Est. Ma dopo? Il “pericolo rosso” svanì, ma ci fu l’aggressione NATO (con l’Italia in prima fila) alla Jugoslavia, la prima e la seconda guerra all’Iraq e quella all’Afganistan.
Nei momenti delle crisi più acute ci si recò più volte in manifestazioni davanti alla base “Ederle”, ma poi tutto fini lì.
Nel 2005, nella sede della “Gendarmeria Europea” (sic!) presso la caserma Chinotto, si installò il “Center of Excellence for Stability Police Units” ossia il centro di addestramento degli ufficiali addetti a comandare la speciale forza che ha il compito di “intervenire rapidamente, con apparati logistici autonomi e con la capacità di stabilire una forte presenza di polizia in territori ostili”. Si tratta insomma di controllo, spionaggio, repressione e rappresaglia, (sull’esempio delle Unità Multinazionali Specializzate già utilizzate in Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Iraq) contro i “ribelli e/o terroristi“, cioè contro le forze non sottomesse che resistono in vari modi  all’occupazione militare straniera (USA, NATO o coalizioni “pacifiste” varie che siano).
Contro il CoESPU non si è mai mossa una foglia, eppure si tratta di uno degli strumenti più aggressivi, insidiosi e mistificanti della politica degli Stati Uniti e dei loro alleati.

Ora persino il PdAC, partito di alternativa comunista, pur denunciando con nettezza la svendita della lotta contro la base, si affianca involontariamente ai disobbedienti definendo “Ederle 2” “strumento di guerra”. Certo che lo è, ma dichiarare ripetutamente “no alla guerra”, essere “contro la guerra” dovuta ad un generico “capitalismo”, e non mettere sotto accusa la specifica politica imperialistica americana, le sue articolazioni e i suoi sostenitori, sconfina e si confonde con il pacifismo che così poco danno ha fatto e sta arrecando al dominio politico, economico, militare e ideologico degli Stati Uniti.

Chi ha intenzione di battersi contro tale dominio non accetta ovviamente nessun piatto di lenticchie ambientale, dichiara e cerca solidarietà e collegamenti con quanti pagano l’invasione militare, incruenta in Italia ma sanguinosa in tante parti del mondo; getta le basi per una lotta tenace di lunga durata, con le modeste forze che saranno disponibili dopo aver capito che si deve essere al fianco di tutti i popoli che resistono, siano essi in Palestina che in Iraq che in Afganistan.
Non si riparte da zero, siamo d’accordo con i pochi che affermano: “la costruzione del Dal Molin è una ferita che non si rimarginerà, e la presenza americana è già oggi e lo sarà ancora di più nel futuro considerata come una occupazione militare”.

(1) Il Giornale di Vicenza
(2) Il Giornale di Vicenza