Colpirne uno per educarne cento

Il referendum irlandese ci mostra l’ultimo approdo della “democrazia” europea: spaventare un popolo di 4 milioni per approvare un Trattato che deciderà la vita di 500 milioni di persone.

Nel giugno 2008 gli irlandesi – unico popolo europeo chiamato ad esprimersi con un referendum – dissero no all’adesione al Trattato di Lisbona. Fu un risultato netto quanto imprevisto, di fronte al quale i vertici della UE reagirono imponendo all’isola ribelle un nuovo referendum. In Europa la democrazia funziona così: se dici sì al volere delle oligarchie sei un popolo molto democratico, se per caso dici no sei soltanto un irresponsabile da rieducare.

Il no irlandese doveva dunque trasformarsi a tutti i costi in un sì. Un sì estorto ma pur sempre un sì. Bastava convincere un po’ meno di 100mila elettori irlandesi (questi sono i numeri) per avere via libera in Europa. Sono allora scese in campo le multinazionali, è sceso in campo il padrone della Ryanair, i principali partiti della maggioranza e dell’opposizione, i media. Si è così arrivati al ribaltone tanto agognato: venerdì scorso il 67,1% degli irlandesi che si sono recati ai seggi (il 58%) hanno votato sì. Detto in altri termini, un 20% dell’elettorato è passato dal no al sì in 16 mesi.

Questo risultato, per niente imprevisto, mostra il degrado della democrazia in Europa. Anzi, più che al degrado siamo ormai di fronte ad un’autentica farsa.
Nel 2005 gli elettori francesi ed olandesi dissero no alla Costituzione europea. Le oligarchie continentali e le burocrazie di Bruxelles decisero allora che era meglio cambiare strada: abbandonare formalmente la Costituzione per riversarne pari pari i contenuti antisociali ed antidemocratici nel Trattato di Lisbona (vedi a proposito l’ottimo articolo di Paolo Barnard che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi), un trattato da far approvare alla chetichella dagli Stati dell’Unione.
Mentre questa volta anche Francia ed Olanda hanno accuratamente evitato il ricorso al voto popolare, in Irlanda questo non è stato possibile. Da qui la curiosa importanza che il piccolo popolo irlandese è venuto ad assumere. Bastava dunque diffondere la paura, peraltro già alimentata dalla crisi, per terrorizzare gli elettori dell’isola sull’effetto di una vittoria del no.
Le classi dominanti europee hanno insomma adottato il motto di “colpirne uno, per educarne cento”.

In questa occasione non potevano fallire e non hanno fallito. Con ogni probabilità – c’è ancora l’opposizione del presidente della repubblica Ceca, Vaclav Klaus, mentre si prevede che l’altra firma mancante, quella del presidente polacco Kaczynski, arrivi presto – hanno segnato un punto decisivo.
Ma le stesse oligarchie europee, che vogliono una UE ancorata all’alleanza con gli Stati Uniti ed in stretto rapporto con la Nato, sanno di aver vinto una battaglia, non certo la guerra.

Grandi rimangono le contraddizioni, specie all’interno delle forze conservatrici (basti pensare alla posizione del Partito Conservatore inglese), ma soprattutto grande è il vuoto di consenso che l’Unione ha presso i popoli del continente. Un vuoto impossibile da riempire, dato che la retorica europeista ha esaurito le sue frecce ed oggi restano soltanto – come in Irlanda – le paure e le minacce.

Se il Trattato di Lisbona entrerà in vigore nel gennaio 2010, l’Europa avrà un presidente ed un ministro degli esteri. Ma avrà anche larghi poteri – ecco un’altra grave sottrazione di sovranità nazionale –  in materia di pace e di guerra. E sappiamo già come, basti pensare all’Afghanistan, verranno esercitati. Del resto la stampa ci informa da mesi che, se tutto andrà come vogliono lorsignori, il primo presidente europeo sarà il guerrafondaio inglese Tony Blair. Dice niente questo nome?

Nel giugno scorso gli europei hanno mandato a quel paese, con un massiccio astensionismo di massa (vedi L’Unione Europea traballa), le pretese di consenso dei vertici della UE. Ora, se non ci si vuol limitare a fare il tifo per le pur positive contraddizioni interne al blocco dominante, occorre il rilancio di un fronte del no all’Unione, senza se e senza ma.
Un no all’Europa delle banche e dei tecnocrati; un no ai trattati antipopolari come quello di Maastricht; un no ad un’Europa interna al sistema di dominio americano. Un sì alla difesa della sovranità nazionale, come condizione necessaria (anche se non sufficiente) per riconquistare la democrazia, contrastare il dominio del “mercato”, combattere il potere delle oligarchie.