Sul sì estorto dalla UE agli irlandesi ospitiamo questo intervento di Vittorangelo Orati

Come la nazione irlandese possa in poco più di un anno passare dalla bocciatura del Trattato di Lisbona al più sonoro ripensamento in merito? Cosa si cela dietro alle preoccupazioni degli eurocrati e i più sfegatati “europeisti” dopo il no del giugno del 2008 e le attuali grancasse che accompagnano la gioia di quanti hanno venduto anima e corpo all’Europa dei capitali e della rendita finanziaria, spesso con l’aggravante di aver voltato le spalle all’Europa dei lavoratori? Quei lavoratori in nome dei quali molti degli euroentusiasti di oggi si sono costruiti gran parte della loro carriera politica con relative prebende e allori istituzionali una volta avversati.

Su temi  referendari importanti per la vita di un  Paese con il passare delle generazioni è certamente possibile che si registrino mutamenti  e ripensamenti  radicali di opinione, ma in un anno il Trattato  sottoposto a referendum non è certamente cambiato,  come altrettanto certamente non è cambiata la UE,  con le sue istituzioni e la sua “missione”  in favore della più demente e masochista filosofia liberal-liberista.  Ciò malgrado il suo eclatante fallimento sfociato e sancito dalla attuale crisi,  che guarda caso ha colpito tanto più forte quanto più forte era stato attuato il conseguente modello all’interno dei vari Paesi come appunto l’Eire. Danni in proporzione al grado di “apertura agli scambi con l’estero” come si usa dire da parte degli economisti(ci),  che altro non significa  che il rinculo della crisi è stato tanto più devastante quanto maggiore è il grado di “globalizzazione” di una nazione. La stessa bocciatura del giugno scorso del famigerato Trattato di Lisbona nella patria dei ciclamini era da leggersi come una presa di coscienza dell’errore di aver creduto ai miracoli del turbocapitalismo, che aveva dato l’illusione di trasformare in pochi anni la “Cenerentola”  d’Europa nella così allora definita “Tigre Celtica”, così diventata oltre perché  Mecca delle multinazionali statunitensi,  anche in quanto  avanguardia europea della religione del laissez-faire,  del libero commercio, della deregulation, della flessibilità del lavoro, e quindi dei “miracoli” connessi alle meravigli celestiali e armoniche del “libero mercato”,  garanzia (?) dello sviluppo economico senza fine!

Orbene, avete mai sentito un onesto padre affermare che per dar da mangiare ai figli, esauriti  tutti i  tentativi  legittimi di provvedervi lo stesso padre confessa che sarebbe pronto a rubare pur di sfamarli? Di ciò si son resi facilmente conto armandosi di conseguenza, Presidente, membri della Commissione europea e la  pronuba classe politica irlandese che non hanno mancato di prendere i disoccupati  e le caterve  di “nuovi poveri” “per la gola” minacciando la fine di ogni aiuto da parte di Bruxelles nel “malaugurato” caso di un nuovo “no” al referendum sul Trattato di Lisbona.
Trattato dove vano sarebbe rintracciare seppur tenui tracce dei sogni  socialisti dei padri fondatori del Manifesto di Ventotene. La retorica sul povero Altiero Spinelli non vi fa mai cenno, tanto meno sull’obiettivo  dichiaratamente non capitalista dell’europeismo di quel Manifesto. La figlia del  suo estensore Barbara, dalle colonne  del refugium peccatorum dei pentiti “comunisti” al libro paga della famiglia Agnelli e discendenti, non denuncia mai il plateale tradimento. A  partire dall’ex comunista-leninista Giorgio Napolitano che  riguardo al “no” del primo vero referendum pensava con inguarito  “tic” centralista-democratico di impipparsene data l’esiguità della minoranza che lo aveva espresso,  in barba alla richiesta unanimità dei  27 Paesi chiamati ad approvarlo. Paesi che per lo più a ciò hanno provveduto in sordina,  tramite parlamenti tragicomicamente espressione della sempre più derelitta “democrazia reale” con cui l’umanità manca sempre più scandalosamente di chiudere i conti.

L’ex maoista e poi iperliberista Barroso (ai cultori della fisiognomica si raccomanda una riflessione sullo sguardo immoto  e semingessato, nonché  alla  fronte piatta  con allegato ciuffo impomatato dell’appena rinnovato Presidente dell’oligarchia brussellese) non ha mancato di visitare  l’Irlanda appena prima lo svolgersi dell’ultimo referendum offrendo  14,8 milioni di euro  per aiutare i 2.000 lavoratori lasciati a casa dall’impianto della multinazionale statunitense  Dell,  principale produttore mondiale di chip.

Di ciò dà conto la Reuters, senza che la cosa sia stata ripresa dalla così detta “stampa libera” italiota, con il servizio di Andras Gergely di sabato 19 settembre 2009. Servizio che riporta le seguenti parole del “segnalato” Manuel Barroso:  “Sono molto felice che la Commissione possa dimostrare concretamente la solidarietà dell’Unione a Limereck… in questo modo” non mancando di ricordare che “La banca centrale europea ha prestato oltre 120 milioni di euro al sistema bancario irlandese, il 15% del totale dei prestiti della BCE”,  aggiungendo per quelli che non avessero fin lì capito l’antifona del ricatto sotteso a tanta solidarietà, che “essere nella zona euro ha dato un’àncora vitale di stabilità all’Irlanda in questo momento difficile”. Com’è  evidente i 14,8 milioni di euro per i licenziati della Dell sono promessi e non ancora elargiti e i ben più corposi 120 milioni di euro prestati dalla BCE,  come tutti i prestiti,  possono essere sempre seguiti dalla richiesta di un immediato “rientro” che  nel caso  sarebbe stato eventualmente  giustificato dal venir meno del prerequisito necessario per ottenerli: l’appartenenza al consesso della UE, logica conseguenza di un altro “no” al referendum.

Quanto sia stato “democraticamante” maturato il “pentimento” filoeuropeista nell’Eire è  presto dimostrabile.
Nel novembre 2008 il Primo Ministro Irlandese  Brian Cowen  vedeva nero, prevedendo che la quota di 250.000 disoccupati potesse raggiungere nel 2009 le 320.000 unità. Come riporta “Irlandaonline.com” del 3 settembre scorso, in realtà  Cowen è stato un inguaribile ottimista avendo i disoccupati raggiunto il numero di 404.050 nel 2009.

Orbene:
1) se il cambio di opinione dal “no” al “sì” al referendum sul Trattato di Lisbona ha riguardato a conti fatti non più di 300mila elettori;  
2) se prima dello scoppio della crisi i disoccupati  erano grosso modo un terzo degli attuali e quindi i disoccupati causati dalla crisi sono circa 270.000; 
3) se i nuovi nati dal 2007 al 2009 (tre anni ) sono  22.000 (elaborazione personale su dati del  Pocket World in Figures, The Economist & Profile Book Ltd. 2009) e ogni nuovo nato mette capo a quattro persone di famiglia (nonni e genitori elettori);

allora  e solo a tal punto, a prescindere da chi aveva già figli prima della crisi, siamo a circa 90.000 persone ricattate sulla culla dei nuovi nati negli ultimi 3 anni.  Con quanti hanno perso il lavoro nell’attuale tragedia economica superiamo largamente il numero dei “liberamente” convertiti  europeisti.

Anzi è  la quantità rilevante di quanti  non hanno ceduto al ricatto di Barroso e prosseneti locali che dovrebbe far riflettere alla fierezza del popolo irlandese e alla vergogna cui abbiamo assistito. Va anche ricordato ai corifei lobbysti della “democrazia reale”, sui cui generosi libri paga (europrebende)  è possibile trovare la  relativa classifica, che ha votato solo il 58% degli elettori!
Oltre ai disoccupati “scoraggiati” in questo simulacro di democrazia occorre considerare i “vinti” e perciò scoraggiati elettori che,  nel caso,  devono essersi arresi senza combattere con la matita e la scheda alla potente Armageddon  scatenata dalla quasi totalità delle forze politiche dell’Eire sostenuta dai media e dai “convincenti” argomenti di Barroso & co.

Al “bastone” si è aggiunta la “carota” per catturare frange di interessi particolari. Ai “progressisti “ dell’ultima ora perché fottuti dalle multinazionali americane che oltre al danno  disoccupazione potrebbero aggiungere la beffa del  vecchio tributo di sangue per l’ “esportazione” della libertà” a “stelle e strisce”, è stato  garantito il mantenimento della neutralità militare. Così anche l’“extraeuropeità” (se ci si passa il termine) sulla legislazione riguardante aborto e diritto di famiglia. Per ultimo una vera bomba a orologeria che potrebbe provocare disastrosi effetti a catena: libertà sulla bassa imposizione fiscale ovvero sul dumping fiscale. Una cosa alla volta, con un altro referendum opportunamente sostenuto da “validi argomenti” come quelli appena utilizzati,  si potrà  nel caso interrompere la discriminazione fiscale appena detta. La crisi sarà lunga  ci sarà tempo per trovare argomenti “convincenti”. Non manca il finalone  a favore dei potentati politici irlandesi così arruffianati definitivamente alla causa del “Trattato”: con l’approvazione di questo il numero dei commissari può essere tale da conservare il rappresentante dell’Eire. Con il trattato di Nizza, da attivare in caso di ennesimo “no”, l’Irlanda avrebbe perso il suo rappresentante nel “governo” della UE!

Sull’accoglienza della vittoria dei “sì” in questa martoriata Italia è appena il caso di stendere un velo pietoso. Si stagliano fra tutte le “sinistre” felicitazioni della sedicente sinistra che naturalmente di seri argomenti contro i danni immani della globalizzazione non vuole, oltre a non sapere, andare.

Ricordo una obiezione,  all’illustrazione dei tratti scientifici essenziali del mio libro contro i presupposti stessi della globalizzazione e segnatamente contro il dogma fragilissimo del “libero scambio” e in favore di un radicalmente nuovo “protezionismo illuminato” almeno su scala europea, da parte di un giovane laureato in  economia in quel di Firenze qualche tempo fa. Non avendo argomenti rigorosi da opporre alla mia dimostrazione mi rimproverò in quanto marxista (alla “amatriciana”, come è nello stile  dei marxisti italiani) di non tener conto delle esigenze del “proletariato cinese” e quindi mi trovò inconseguente sul piano dell’ “internazionalismo”.  Mancò di rimproverarmi quale nemico del Grande Partito Comunista Cinese, il cui carattere “rivoluzionario” è dinanzi agli occhi di tutti. E’ appena  infine il caso  di far notare che il giovanotto, così consegnato ai tempi dalla fatiscente università del Bel Paese in mano ai rettocrati che l’hanno definitivamente uccisa, ignorava il rapporto che sussiste tra “questione nazionale” e internazionalismo. Ma come non perdonarlo dinanzi alla deriva dell’idea stessa di Europa, lecchinamente risoltasi in baluardo dell’Impero americano e dei suoi “valori”: capitalistici, per il capitalismo,  for ever!