Gli incerti auguri di Giorgio Napolitano

B&B, Banalità e Buonismo, è questa la formula inossidabile dei discorsi presidenziali di fine anno. Gli auguri di Napolitano per il 2010 non potevano certo fare eccezione. C’è però qualcosa che colpisce nella prosa quirinalesca esibita quest’anno: la banalità è più banale del solito, i buoni propositi sono più generici che mai. La sensazione è quella di un presidente in grande affanno, costretto a scegliere il basso profilo pur di non dover affrontare seriamente alcunché.
Qualcuno crederà che un siffatto comportamento sia da attribuirsi al mantenimento del ruolo istituzionale, ma la mediocrità del discorso può essere spiegata solo con la grande incertezza sul futuro politico del paese.

Naturalmente, tanta banalità non ha comunque impedito a Napolitano di confermarsi per quello che è: un uomo delle oligarchie europee asservite agli Usa, prono di fronte ai desiderata della Confindustria, pronto ad avallare le peggiori controriforme che bollono in pentola.
Vediamo allora alcuni passaggi significativi del discorso di fine anno.

Parlando della situazione economica, Napolitano ha teso a riproporre la favola di una crisi in via di superamento grazie alle misure concertate a livello mondiale. In questo quadro, secondo Napolitano «L’Italia – sempre restando ancorata all’Europa – ha dato il suo apprezzato contributo, con il grande incontro del luglio scorso a L’Aquila, e ha per suo conto compiuto un serio sforzo
«Grande incontro a L’Aquila?», ma se si è trattato di un fallimento clamoroso pur se annunciato? E quale sarebbe stato, di grazia, il serio sforzo compiuto dal governo: lo scudo fiscale, gli incentivi alla rottamazione, l’aumento dell’età pensionabile per le donne?

Pur se tutto interno alla propaganda sulla crisi che «sta finendo», Napolitano ha dovuto concedere qualche frase alle condizioni dei lavoratori: «Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti hanno continuato ad essere penalizzate da un’alta pressione fiscale e contributiva; più basso è il reddito delle famiglie in cui ci sono occupati in impieghi “atipici”, comunque temporanei
Questa frase, che vorrebbe essere buonista, è invece un concentrato di ipocrisia e falsificazione della realtà.
Che i lavoratori cosiddetti “atipici” abbiano un reddito più basso, gli italiani lo sapevano già prima che questa scoperta dell’acqua calda gli venisse comunicata in diretta televisiva il 31 dicembre. Ma il punto è: cosa si intende fare per rimediare a questa situazione? Ovviamente nulla, dato che la precarizzazione del lavoro altro non è che il volto più verace del capitalismo reale.
Che i salari siano bassi solo a causa della pressione fiscale e contributiva è invece la «verità» della Confindustria, una «verità» ripresa pari pari come oro colato dall’inquilino del Quirinale. Un tempo costui, come capo della corrente «migliorista» del Pci, passava per essere un convinto socialdemocratico. All’epoca poteva sembrare una gravissima offesa, tuttavia i socialdemocratici di allora erano almeno per una blanda redistribuzione del reddito. Oggi, invece, questo tema è un tabù, e se i salari sono bassi è solo per i contributi troppo alti; insomma l’argomentazione di Napolitano altro non è che una fotocopia della propaganda della Marcegaglia.

Ma il tema che ha dato luogo ai commenti del giorno dopo, prevedibili e banali quanto il discorso presidenziale, è quello delle cosiddette «riforme», termine che nel linguaggio orwelliano in uso significa invariabilmente «controriforme».
Siccome la parola è generica, ognuno ha teso a metterci dentro ciò che più gli aggrada. Quel che è certo è che su un punto Napolitano non ha voluto lasciar dubbi: il tema è quello della modifica della Costituzione, che deve essere affrontato con spirito bipartisan.
Ovviamente l’ex migliorista non poteva entrare più direttamente nel merito, ma tutti sanno di cosa si parla, soprattutto in materia di giustizia ed assetto istituzionale.
Citiamo integralmente questo passaggio del discorso:
«La Costituzione può essere rivista – come d’altronde si propone da diverse sponde politiche – nella sua Seconda Parte. Può essere modificata, secondo le procedure che essa stessa prevede. L’essenziale è che – in un rinnovato ancoraggio a quei principi che sono alla base del nostro stare insieme come nazione – siano sempre garantiti equilibri fondamentali tra governo e Parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e istituzioni di garanzia, e che ci siano regole in cui debbano riconoscersi gli schieramenti sia di governo sia di opposizione
Berlusconi ha ringraziato, insieme a tutti i controriformatori uniti nell’occasione.

L’altro tema sul quale Napolitano ha voluto mettere il sigillo presidenziale, quasi come dogma costituente l’attuale identità ed unità nazionale, è quello delle «missioni» militari all’estero:
«Mi hanno toccato le parole del comandante di un contingente dei nostri cari militari impegnati in missioni all’estero. Mi ha detto – dieci giorni fa in videoconferenza per gli auguri di Natale – che lui e i suoi “ragazzi” traggono serenità dai miei messaggi quando gli giungono attraverso la televisione. Sì, hanno bisogno di maggiore serenità tutti i cittadini in tempi difficili come quelli attuali, lavoratori, disoccupati, giovani alle prese con problemi assillanti, quanti sono all’opera per rilanciare la nostra economia e quanti servono con scrupolo lo Stato, in particolare le forze armate chiamate a tutelare la pace e la stabilità internazionale…»
Non soddisfatto di aver messo sulla stessa barca lavoratori e disoccupati con dei militari molto spesso motivati da una logica mercenaria, Napolitano ha voluto ribadire la menzogna delle «missioni di pace».
Nel suo discorso non è citato direttamente l’Afghanistan. Una prudenza non certo casuale: del resto l’ipocrisia è una delle migliori specialità del Quirinale. Ma il contingente italiano in Afghanistan spara, combatte e uccide. E lo fa contro un popolo in lotta per la propria libertà. Lo fa al servizio della superpotenza americana che occupa quel paese da oltre 8 anni.
Proprio questa mattina i giornali riferiscono degli aspri combattimenti, durati 3 giorni, in cui sono stati coinvolti i militari italiani nell’ovest dell’Afghanistan. E ancora si parla di «missione di pace»!

Pur con una prosa piatta ed insipida, Napolitano ha voluto dunque ribadire le tre direttrici fondamentali sulle quali si basa il regime bipolare: una politica economica asservita alle oligarchie, una politica estera al servizio degli Stati Uniti e della Nato, una politica istituzionale controriformatrice ed autoritaria.
Lo ha fatto, però, in maniera straordinariamente debole, dando la misura di un orientamento che non ce la fa più a dare la benché minima risposta alle esigenze sociali, dando il senso di un sistema che si dibatte nelle sue contraddizioni nell’incapacità di risolverle, lasciando intravedere lo sfascio politico che attraversa tanto le forze politiche di maggioranza quanto quelle che dovrebbero essere all’opposizione.
Ed è proprio la profonda crisi del sistema politico nel suo insieme, unita alla gravità della situazione economica, a non trovare per ora sbocchi credibili, prefigurando così un 2010 incertissimo.

Giorgio Napolitano conferma il detto secondo il quale ogni presidente della repubblica ha la misteriosa capacità di far rivalutare colui che lo ha preceduto, in un’inarrestabile corsa verso il peggio.
Ma il peggio rappresentato dall’ex «migliorista» altro non è che una delle manifestazioni di un sistema politico putrescente, sempre più privo di vero consenso popolare, perché sempre più oligarchico ed antidemocratico.
Il problema evidenziato dalle sortite quirinalizie è dunque assai più grave di quel che potrebbe sembrare in apparenza.