Una lettura controcorrente della telenovela pugliese e degli intrighi nazionali che vi ruotano attorno
Tra le tante disgrazie della loro terra, in questa settimana gli abitanti della Puglia avranno anche il problema di dribblare i gazebo delle primarie. Nel 2005 ci riuscirono assai bene: il “bagno di democrazia” all’americana vide la partecipazione di circa 80mila persone su 4 milioni di abitanti e 3 milioni e 300mila elettori. Un po’ poco, anche se a sentire i vendoliani (allora una sottomarca locale dei bertinottiani) pareva che si fosse mosso il popolo tutt’intero, dal Gargano alla punta del tacco d’Italia. Il Santo pugliese vinse con 1.600 voti di scarto davanti allo stesso rivale che si ritroverà di fronte domenica prossima: Francesco Boccia, un nome che non promette molto, ma che ha la sponsorizzazione di un ex primo ministro e del genero di Caltagirone. Forse non gli sarà sufficiente, ma chissà…Ci sono molti modi di leggere questo scontro pugliese, che solo pugliese non è. L’aspetto prevalente sembra il caos: c’è confusione nel Pd, nell’intero centrosinistra e sembrerebbe anche nella testa dei singoli personaggi in campo. Ma c’è confusione anche a destra. Che sia l’aria della Puglia? O non sarà piuttosto che qui si gioca una partita fondamentale per i futuri schieramenti nazionali?
Può sembrare un paradosso, ma in questa partita nazionale Vendola non conta niente. La sua è una lotta per la sopravvivenza, sua (soprattutto) e (molto, ma molto secondariamente) della sua barchetta micro-arcobalenica, quella che in un anno ha cambiato tre simboli a causa delle progressive amputazioni subite (vedi Vendola in manutenzione). E’ una lotta disperata per rimanere alla guida della regione, ma Vendola non ha alcun progetto nazionale che non sia quello di accodarsi al centrosinistra sempre e comunque, cercando magari di abbellire in poesia il suo appoggio all’atlanto-liberismo degli alleati che ai versi lascia ben poco spazio.
Per D’Alema e Casini, e non solo per loro, la partita è invece strategica: ecco perché la Puglia ha oggi un rilievo inusitato nelle cronache politiche. Ed ecco perché D’Alema non si è fermato davanti a niente, neppure di fronte ad una straordinaria collezione di figuracce che ha portato in tanti ad ironizzare sulla declinante astuzia della “Volpe del Tavoliere”.
Apparentemente Vendola sta vincendo la partita: non ha ceduto alla richiesta di non ricandidarsi, ha ottenuto le primarie e – se le vincerà – sarà di nuovo alla testa della coalizione di centrosinistra.
Apparentemente D’Alema sta perdendo in maniera disastrosa: ha bruciato il suo uomo (il sindaco di Bari, Emiliano), ha dovuto piegarsi alle primarie, ha spaccato il Pd, ha lanciato Boccia ma lasciando capire che la sua sarà una corsa in salita.
Per tutti questi motivi, secondo alcuni il vero disperato sarebbe Massimo D’Alema. Siamo sicuri che sia proprio così?
Non si può che avere il massimo disprezzo per il bombardatore della Jugoslavia: per le sue scelte, per la sua concezione della politica, per quel ghigno beffardo tipico di chi costruisce la sua presunta “superiorità” sullo stare sempre con i più forti, sia che si tratti delle oligarchie finanziarie che dei vertici della Nato.
Lo stesso disprezzo va però riservato a chi, magari intervallando il tutto con qualche guerricciola secondaria per le poltrone, altro non sa proporre che l’alleanza con il partito del bombardatore e con la coalizione che gli sta attorno, che in quanto a liberismo ed atlantismo ha pochi rivali anche a destra.
Chiarito il nostro disprezzo per entrambi i contendenti, si tratta ora di capire se la rappresentazione che va per la maggiore è davvero giusta. Si tratta dunque di comprendere quali saranno gli sviluppi e le conseguenze della telenovela pugliese.
In questa vicenda la contraddizione che più colpisce è quella tra l’ingovernabile caos pugliese e la determinazione con la quale il gruppo dirigente bersaniano (in realtà, dalemiano) sta cercando comunque di imporre la propria linea.
Nelle ultime settimane il caos è stato davvero totale, ed imbarazzante anche per un partito che pure vi è abituato come il Pd.
I “democratici” hanno prima lanciato la candidatura di Emiliano, ma l’assemblea che avrebbe dovuto incoronarlo alla fine dell’anno venne annullata per “impraticabilità di campo”, vista l’invasione di manifestanti pro-vendoliani dell’albergo dove avrebbe dovuto tenersi. A quel punto Emiliano dichiarava di accettare le primarie, ma poi chiariva che le avrebbe accettate solo con l’approvazione in fretta e furia di una leggina che gli avesse consentito di candidarsi alle regionali mantenendo al tempo stesso la carica di sindaco. Per quella leggina ad personam (Berlusconi ha fatto scuola) era però troppo tardi. Sembrava che a quel punto il Pd dovesse acconciarsi – sia pure obtorto collo – a sostenere Vendola, ma non era ancora finita. Ecco infatti la ricandidatura di Boccia, sulla quale all’inizio l’Udc (il vero Convitato di pietra delle decisioni del Partito democratico) sembra storcere la bocca in mancanza di un ritiro di Vendola. Alla fine però Boccia viene benedetto da Casini, e si arriva così alle primarie. Primarie che si svolgeranno con una campagna elettorale brevissima, di pochi giorni: ed è questa brevità l’unica notizia positiva per i pugliesi.
La mia opinione personale è che queste primarie – a dispetto di tutte le apparenze – segneranno comunque un successo della strategia dalemiana, mentre si apriranno in ogni caso grandi problemi prima per il Santo pugliese e poi per la sua piccola corte.
Va detto che nell’immediato – ma solo nell’immediato – per il partito degli assessori, cioè per la vera struttura portante di Sel (Sinistra, ecologia e libertà), le primarie pugliesi sono un autentico brodino. Il sospiro di sollievo tirato da questa congrega di opportunisti all’ennesima potenza ha percorso non a caso l’intera penisola, dal Piemonte alla Calabria: ve li immaginate costoro a dover minacciare la rottura nelle varie regioni in risposta allo scaricamento del loro capetto pugliese? Ci aveva provato il romano Nieri, ma pare che gli interlocutori gli avessero riservato solo qualche sorrisetto di compatimento…
Ma se con l’accoglimento delle primarie gli aspiranti assessori hanno potuto riprendere momentaneamente un po’ di colore, completamente diverso è il discorso per Vendola e per le prospettive di Sel.
Se l’attuale governatore dovesse perdere le primarie si troverebbe semplicemente a dover tirare la carretta al rivale, senza neppure aver potuto trattare le condizioni della resa. Ma, paradossalmente, non sarebbe questo lo scenario peggiore. Infatti dopo le primarie vi saranno comunque le “secondarie”, cioè le elezioni vere. Un Vendola vincitore alle primarie sarebbe “obbligato” a vincere le elezioni regionali, obiettivo alquanto arduo senza i voti dell’Udc.
Una sua sconfitta, piuttosto probabile, segnerebbe quasi certamente la sua fine politica. Il Santo barese è anche uno straordinario Narciso che vede pugliesi plaudenti in ogni dove, ma non ci risulta che la sua popolarità sia così alta, gli scandali della sanità non possono (dopo 5 anni!) essere semplicemente scaricati sulla giunta precedente e le fratture nella coalizione ben difficilmente non avranno ricadute elettorali.
Vediamo ora come queste stesse possibilità possono essere gestite nel campo avverso, quello dalemiano. Per D’Alema la vittoria di Boccia alle primarie sarebbe un’indubbia rivincita, che peserebbe enormemente anche all’interno del Pd. In ogni caso rappresenterebbe l’investitura “popolare” alla nuova alleanza con l’Udc.
Ma anche una sconfitta di Boccia potrebbe essere gestita positivamente nell’ambito di una strategia nazionale. Se Vendola vincesse le primarie, ma non le elezioni, D’Alema perderebbe la Puglia ma vedrebbe confermata la sua strategia come “linea obbligata”, tanto più se l’alleanza con l’Udc portasse (come possibile) alla vittoria il centrosinistra in Piemonte, Liguria, Marche e Calabria…
Insomma, mentre Vendola chiuso nel fortino pugliese ha come solo risultato utile un due a zero assai improbabile, D’Alema gioca una partita più ambiziosa, che può ammettere una sconfitta alle primarie purché non vada ad inficiare il progetto nazionale. Un progetto che ha evidenti appoggi internazionali e la benedizione delle oligarchie nostrane, un progetto al quale Vendola non potrà che accodarsi, se non altro in nome del solito antiberlusconismo copri-tutto.
Detta così, questa descrizione può sembrare una intollerabile riduzione della politica al più bieco politicismo, come se fosse soltanto una cinica partita a scacchi priva di contenuti. Ma l’odierna politica bipolare è anche e soprattutto così. Ed anche per questo siamo convinti della giustezza della linea astensionista nell’attuale contesto politico.
A quando, piuttosto, un bilancio dei sinistro-libertari (e dei loro cugini sinistro-federati) sugli esiti tragicomici della loro politica delle alleanze? Non sarebbe questo il momento giusto, almeno per quel che riguarda i governi regionali? Ma questi signori sfuggono questo bilancio come la peste: troppo duro dover ammettere di essere dentro fino al collo all’odierno marciume della politica istituzionale.
Del resto, il fatto che Vendola si sia dovuto barricare nel ridotto pugliese, mentre per D’Alema la Puglia è solo una pedina (per quanto importante) di un gioco più complesso, ci dice chiaramente chi è subordinato a chi. Non si pensi che sia semplicemente un problema di rapporti di forza. E’ invece principalmente una questione di visione e di prospettiva strategica. La prospettiva del parolaio Vendola è del tutto interna al bipolarismo: può agitarsi ma non uscirne. La gerarchia tra chi comanda e chi è subalterno è dunque stabilita. Comunque vadano le primarie di domenica prossima.