Il problema greco non fa che annunciare quello tedesco. C’è un limite oltre il quale la competitività selvaggia produrrà lo sfascio dell’Unione e il passaggio ad uno scontro di tutti contro tutti.

Dopo mesi di melina la montagna dell’Unione Europea ha partorito il suo topolino: Atene è stata autorizzata, proprio come voleva la Germania, a ricorrere a finanziamenti del Fmi. Sarkozy e le altre comparse hanno salvato la faccia, ottenendo da Berlino che in caso di bisogno e solo come estrema ratio, la Grecia potrà usufruire di “presiti bilaterali coordinati e volontari” dei paesi dell’Eurozona.

 

Buffo è che questo pasticciaccio venga presentato come “soluzione di compromesso”. Si tratta in verità di una vittoria tedesca: la salvezza del governo zoppicante della Merkel ha avuto la precedenza su quella della Grecia come paese. La prima domanda è: eviterà questo compromesso il default della Grecia? La risposta dev’essere: molto probabilmente no. La seconda: rafforzerà o indebolirà l’Unione e l’euro questa decisione filo-tedesca? La risposta: quasi certamente li indebolirà.

“Un segnale molto brutto”
Il vero significato dell’ultimo vertice europeo

Papandreu ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. I soldi non li ha avuti, ma l’autorizzazione a chiedere aiuto al FMI e la promessa copertura politico-finanziaria europea, gli consente di rivolgersi al mercato con qualche speranza di piazzare i titoli di stato greci e tirare avanti la disastrata baracca di cui è primo ministro.

Atene si augura che la conclusione del vertice Ue consentirà alla Grecia di vendere i suoi titoli in cambio di cash ad un tasso d’interesse inferiore all’attuale 6-6,5% che chiedono i mercati (il doppio di quelli che vengono spuntati agli altri paesi Ue). Vedremo entro un mese se la promessa d’aiuto sortirà l’effetto sperato, visto che Atene, tra fine aprile e fine maggio, dovrà reperire circa 16 miliardi di euro (il 4,5% del suo Pil!) e quindi riuscire a piazzare titoli per un ammontare equivalente (entro la fine del 2010 ad Atene ne serviranno altri 53!). Staremo quindi a vedere quale sarà il tasso d’interesse che i mercati, o meglio la speculazione finanziaria, riterranno soddisfacente. Se il tasso attuale d’interesse spuntato sui titoli greci non si abbassasse sensibilmente, ciò indicherà che il compromesso raggiunto in sede Ue non sarà servito a niente, col rischio che non solo il governo Papandreu venga travolto ma tutto l’edificio dell’euro venga ulteriormente indebolito facendo fibrillare la stessa Bce.

Il cosiddetto “compromesso di Bruxelles” non ha sventato il rischio di default della Grecia, lo ha solo fatto slittare più avanti nel tempo. Il governo greco resta sulla graticola e sarà costretto, per essere ritenuto solvibile, cioè assicurare tassi d’interesse stellari, a varare, dopo i primi tre, altri pacchetti d’austerità e di drastici tagli alla spesa, dunque ad affrontare nuove e più massicce proteste popolari. Detto altrimenti: come il serpente che si morde la coda, pur di onorare il debito passato, il paese entrerà in una futura  recessione dalle conseguenze sociali incalcolabili. Poiché non si deve dimenticare quale sia la “razionalità” sistemica in quello che abbiamo chiamato “Turbo-disordine”: «Un titolo di stato, soprattutto in tempi di crisi viene acquistato sulla base di una promessa: il rispetto degli impegni di risanamento dei conti pubblici. Più debito uno stato emette, più è obbligato a rispettare il contratto preso col mercato. Altrimenti la speculazione da “buona” diventa cattiva».
(Il Sole 24 Ore del 26 febbraio 2010)

Degno di nota è che la decisione del vertice sia stata sostanzialmente bocciata dalla Bce. L’inconsueta collisione tra la suprema autorità monetaria europea e quella politica non verte sulla preoccupazione per i sacrifici che vengono chiesti al popolo greco. Su quelli nessuno borbotta. Lo scontro dipende dal fatto che è stato dato alla Grecia semaforo verde all’eventuale ricorso all’aiuto del Fmi.
Jean-Claude Trichet, per la prima volta mettendo in mostra il conflitto con la Germania e il disappunto rispetto ai vertici dell’Unione, ha esplicitamente detto, riguardo all’autorizzazione data alla Grecia di rivolgersi al Fmi, che si tratta di “un segnale molto brutto”. Non è certo una prova di forza, né di ottima salute, che un paese dell’Eurozona in difficoltà debba andare a farsi prestare i quattrini al di là dell’Atlantico. I guru della Banca centrale, oltre ad essere arrabbiati per la lesa maestà, non a torto temono che questa apertura al Fmi possa dare forza alla speculazione che punta non solo sul crollo della Grecia, ma ad azzoppare l’euro.

Per sfumare la quasi piena vittoria tedesca i sedici hanno fatto il solito sfoggio di pie intenzioni, per cui, d’ora in avanti, “ci sarà un forte coordinamento delle  politiche economiche europee.. il consiglio europeo dev’essere la governance Ue”. (Il sole 24ore del 26 marzo). La verità è che, causa la crisi, le forze centrifughe iniziano a prevalere su quelle centripete, spingendo verso la direzione opposta a quella del promesso superamento degli stati-nazione.

Gli ambienti più europeisti, quelli che premevano per un deciso soccorso alla Grecia, avevano fiutato il pericolo che si celava dietro alla questione, che se nell’Unione avesse prevalso “l’egoismo tedesco” non ci avrebbe lasciato le penne la Grecia soltanto, ma la stessa prospettiva dell’unificazione politica europea.
Vi era chi rilevava che il difetto, essendo nel manico (cioè l’essere partiti dalla moneta unica), conteneva in nuce il rischio che il caso greco potesse condurre al disastro dell’Unione: «L’euro è nato per favorire la piena integrazione finanziaria tra i paesi europei, rimuovendo l’ultimo ostacolo alla circolazione dei capitali in Europa, ovverosia il rischio di cambio. Ma l’euro è nato soprattutto per incentivare la convergenza tra le economie europee: rimuovere la possibilità di svalutare equivale a “legarsi le mani”, vincolandosi a comportarsi come i paesi più virtuosi dell’area (Germania in testa)… In altre parole si sapeva che l’Europa non era un’area valutaria ottimale, ma si pensava di costruire la casa partendo dal tetto; un progetto politico che per molti avrebbe anticipato una maggiore unificazione politica. (…) Se l’euro vorrà sopravvivere in futuro… occorre una forte leadership politica europea, che al momento non si vede». (Angelo Baglioni e Massimo Bordignon , Il sole 24 ore del 19 febbraio 2010)
Gli faceva eco il direttore Gianni Riotta: « Molti si illudono di poter salvare il progetto euro senza una forte leadership politica ma è un errore: l’euro, sfida e successo storico, fiorirà solo con un progetto politico dietro». (Il Sole 24 Ore del 21 febbraio 2010). Che è come dire, vista la prevalenza delle forze centrifughe, che l’euro è spacciato.

L’aritmetica di Maastricht e il peloso fondamentalismo tedesco

Com’è noto la Merkel ha giustificato il suo arcigno rifiuto di giungere in soccorso dei “pigri e imbroglioni greci” (così i levantini vengono razzisticamente dipinti dalle testate popolari tedesche, Bild in primis) con l’argomento che non occorre creare un precedente. Implicito il  riferimento all’Italia e agli altri PIIGS.
Il punto di vista della Merkel l’aveva espresso chiaramente Otmar Issing, ex capo della Bundesbank: «Una volta violata la regola sul non salvataggio, così com’è scritta nei Trattati, la diga è aperta. Questa è una regola sulla quale non si può e non si deve fare alcun compromesso. Una volta che si decide di aiutare la Grecia, non si potrà negare aiuto ad altri paesi in difficoltà. I candidati sono già in fila». (Il Sole 24 Ore del 11 febbraio 2010)

Il governo di Berlino e la Bundesbank invocano il rispetto rigoroso del Patto di stabilità e della cosiddetta “aritmetica di Maastricht”, i quali impedirebbero un bailout da parte dell’Unione. Noti sono i due vincoli fissati nel Trattato del 1992: un tetto al 3% del Pil per il deficit pubblico annuo e un tetto al 60% del Pil per lo stock complessivo di debito pubblico. Le magnifiche sorti e progressive della moneta europea sarebbero però dipese da un’equazione che assumeva un tasso d’inflazione annuo del 2% e uno di crescita annua del Pil al 3%.
Ora è evidente come il valore decisivo di quest’equazione sia proprio l’ultimo: la crescita media al 3% annuo. La maggior parte dei paesi dell’eurozona negli ultimi dieci anni hanno invece conosciuto un tasso di crescita del Pil reale ben inferiore al 3%. Con una stagnazione di fatto nessun governo ha realmente potuto rispettare i tetti di Maastricht, letteralmente sfondati dopo l’autunno 2008. Anche la Germania non ha fatto eccezione, e sta messa meglio solo grazie al fatto che l’euro è stato cucito addosso al marco (a svantaggio delle altre valute) e alla sua spietata politica esportativa, aiutata tra l’altro dal crescente indebitamento dei suoi stati-cliente, Grecia in primo luogo.
Ha ragione Mario Deaglio: «Andrebbe osservato che il deficit greco è stato a lungo tollerato dall’Europa forse anche perché il collocamento del debito greco ha procurato profitti non trascurabili alle banche tedesche (…) Rifiutare il prestito ai greci o concederlo a condizioni che li condanni a dieci anni di stagnazione, poiché questo è più o meno il costo del rientro dal debito, significa imporre loro qualcosa di simile a onerose riparazioni di guerra». (LA STAMPA del 23 marzo)

Detto che l’Unione è diventata una specie di “spazio vitale” delle banche e delle industrie tedesche; affermato che la buona salute dell’economia e delle finanze tedesche dipende anzitutto dal surplus della sua bilancia commerciale; ribadito che la Germania si è avvantaggiata dall’indebitamento dei suoi clientes europei; va ricordato che lo spazio economico dell’Unione è oramai un sistema di vasi comunicanti, per cui, il surplus commerciale di un paese non può che avvenire a spese di altri, che l’aumento della competitività tedesca è stata premiata grazie alla perdita di competitività degli altri paesi.

«Il problema greco è l’immagine speculare del problema tedesco. La Germania continua ad avere una domanda interna troppo debole e una politica commerciale basata sulla competizione attraverso bassi costi del lavoro. Ciò rende la rincorsa greca ancor più difficile. Non si può immaginare di risolvere il problema greco, senza in qualche misura affrontare anche il problema del surplus eccessivo della bilancia con l’estero della Germania». (Carlo Bastanin, Il Sole 24 Ore del 21 febbraio 2010)

La Merkel non vuole perdere il vantaggio acquisito e non intende pregiudicarlo per la causa di Atene e dei PIIGS, a cui chiede di “essere competitivi”, abbassando i costi del lavoro, diminuendo le spese sociali e aumentando le tasse. La Merkel sa che questo spingerà questi paesi oltre la soglia della recessione, in una depressione lunga e devastante. Ma non può non sapere che un simile processo finirà per punire la stessa Germania, la sua stessa bilancia commerciale e, alla lunga, la salute delle sue finanze.
Il problema greco non fa che annunciare quello tedesco. C’è un limite oltre il quale la competitività selvaggia produrrà lo sfascio dell’Unione e il passaggio ad uno scontro di tutti contro tutti.