1. Non c’è moneta senza Stato. Insieme, Stato e moneta sono nel capitalismo i mezzi per gestire l’interesse generale del capitale, trascendendo gli interessi particolari dei segmenti del capitale in concorrenza tra loro. Il dogma attuale che immagina un capitalismo gestito dal “mercato”, addirittura senza uno Stato (ridotto alle sue funzioni minime di tutore dell’ordine), non si basa né su una lettura seria della storia del capitalismo reale, né su una teoria che si pretende “scientifica” in grado di dimostrare che la gestione del mercato produce – anche tendenzialmente – un equilibrio qualsiasi (a fortiori “ottimale”).
Ma l’euro è stato creato in assenza di uno Stato europeo, che sostituisse gli Stati nazionali, le cui principali funzioni di gestori degli interessi generali dei capitali erano esse stesse in via di abolizione. Il dogma di una moneta “indipendente” dallo Stato esprime questa assurdità.
L’”Europa” politica non esiste. Nonostante si immagini ingenuamente di superare il principio di sovranità, gli Stati nazionali restano gli unici legittimi. Non c’è la maturità politica che farebbe accettare al popolo di una qualsiasi delle nazioni storiche che costituiscono l’Europa il risultato di un “voto europeo”. Lo si potrebbe desiderare, ma resta il fatto che ci vorrà molto tempo perché emerga una legittimità europea.
L’Europa economica e sociale non esiste. Un’Europa dei 25 o 30 Stati rimane una regione profondamente diseguale nel suo sviluppo capitalistico. I gruppi oligopolistici che ormai controllano tutta l’economia della regione (e, dietro essa, la politica corrente e la cultura politica) sono gruppi che hanno una “nazionalità”, determinata da quella dei loro più importanti dirigenti. Si tratta di gruppi che sono prevalentemente inglesi, tedeschi, francesi, e secondariamente olandesi, svedesi, spagnoli, italiani. L’Europa orientale e in parte quella meridionale si trovano in un rapporto con il Nord-Ovest d’Europa analogo a quello che vige nelle Americhe tra America Latina e Stati Uniti. In queste condizioni l’Europa non è che un mercato comune, persino unico, esso stesso parte del mercato globale del tardo capitalismo degli oligopoli generalizzati, mondializzati e finanziarizzati. L’Europa, da questo punto di vista, è, come ho scritto, “la regione più mondializzata” del sistema globale. Da questa realtà, rafforzata dall’impossibile Europa politica, risulta una diversità dei livelli dei salari reali e dei sistemi di assistenza sociale e di tassazione, che non può essere abolita nel quadro delle istituzioni europee quali sono oggi.
2. La creazione dell’euro ha messo dunque il carro davanti ai buoi. I politici che hanno deciso così d’altronde lo hanno talora confessato, sostenendo che l’operazione avrebbe costretto l’”Europa” ad inventare un proprio Stato transnazionale, rimettendo per ciò stesso i buoi davanti al carro. Questo miracolo non è avvenuto, e tutto suggerisce che non accadrà. Ho avuto occasione sin dalla fine degli anni 1990 di esprimere i miei dubbi su questa manovra. La mia espressione (“mettere il carro davanti ai buoi”) è stata recentemente rilevata da un alto funzionario responsabile della creazione dell’euro, che allora si era detto certo che il mio giudizio fosse irragionevolmente pessimista. Un sistema assurdo di questo tipo poteva dare l’apparenza di funzionare senza gravi intoppi – come ho scritto – solo se la congiuntura generale rimaneva favorevole e facile. Bisognava perciò aspettarsi quello che è successo: dal momento che una “crisi” (all’inizio apparentemente finanziaria) colpiva il sistema, la gestione dell’euro doveva rivelarsi impossibile, incapace di dare risposte coerenti ed efficaci.
L’attuale crisi è destinata a durare, e anche ad approfondirsi. I suoi effetti sono diversi, e spesso ineguali da un paese europeo all’altro. Le risposte sociali e politiche alle sfide che essi comportano per le classi popolari, le classi medie, i sistemi di potere politico, sono e saranno quindi diverse da un paese all’altro. La gestione di questi conflitti destinati a svilupparsi è impossibile in assenza di uno Stato europeo, reale e legittimo, e lo strumento monetario di questa gestione non esiste.
Le risposte fornite dalle istituzioni europee (BCE inclusa) alla “crisi” (greca tra le altre) sono assurde e destinate al fallimento. Queste risposte sono riassunte in una sola parola – austerità ovunque, per tutti – e sono analoghe alle risposte fornite dai governi nel 1929-1930. E, come le risposte degli anni ‘30 hanno aggravato la crisi reale, così quelle preconizzate oggi da Bruxelles produrranno lo stesso risultato.
3. Ciò che si sarebbe potuto fare durante gli anni ‘90 avrebbe dovuto essere definito nel contesto della creazione di un “serpente monetario europeo”. Ogni nazione europea, rimasta di fatto sovrana, avrebbe quindi gestito la sua economia e la sua moneta secondo le sue possibilità e i suoi bisogni, anche limitati dalla apertura commerciale (il mercato comune). L’interdipendenza sarebbe stata istituzionalizzata dal serpente monetario: le monete nazionali sarebbero state scambiate a tassi fissi (o relativamente fissi), rivisti di volta in volta attraverso aggiustamenti negoziati (svalutazioni o rivalutazioni).
Si sarebbe allora aperta una prospettiva – lunga – di un “indurimento del serpente” (che preparava forse l’adozione di una moneta comune). I progressi in questa direzione sarebbero stati misurati dalla convergenza – lenta, progressiva – dell’efficienza dei sistemi di produzione, dei salari reali e dei benefici sociali. In altri termini, il serpente avrebbe facilitato – e non ostacolato – un progresso possibile attraverso una convergenza verso l’alto. Questa avrebbe richiesto politiche nazionali differenziate che si ponevano questi obiettivi, e i mezzi per perseguire queste politiche, tra gli altri il controllo dei flussi finanziari, cosa che implica il rifiuto dell’assurda integrazione finanziaria deregolata e senza frontiere.
4. La crisi dell’euro in corso potrebbe fornire l’occasione per abbandonare l’assurdo sistema di gestione di questa moneta illusoria e la creazione di un serpente monetario europeo in consonanza con le reali potenzialità dei paesi interessati.
Grecia e Spagna potrebbero iniziare il movimento, decidendo di: (i) uscire (“temporaneamente”) dall’Euro; (ii) svalutare; (iii) introdurre il controllo sui cambi, almeno per quanto concerne i flussi finanziari. Questi paesi sarebbero allora in una posizione di forza per negoziare efficacemente il riscaglionamento dei loro debiti, dopo una revisione contabile, il ripudio dei debiti connessi con operazioni di corruzione o di speculazione (alle quali gli oligopoli stranieri hanno partecipato e da cui hanno tratto anche un buon profitto!). L’esempio, ne sono certo, farebbe scuola.
5. Purtroppo la probabilità di un’uscita dalla crisi con questi mezzi è probabilmente vicino allo zero. Perché la scelta della gestione dell’euro “indipendente dagli Stati” e il rispetto della sacralità della “legge dei mercati finanziari” non sono i prodotti di un pensiero teorico assurdo. Si addicono perfettamente al mantenimento degli oligopoli ai posti di comando. Sono parti dalla costruzione europea complessiva, concepita essa stessa esclusivamente e integralmente per impedire la messa in discussione del potere economico e politico esercitato da questi oligopoli, a loro esclusivo vantaggio.
In un articolo pubblicato su molti siti web, dal titolo “Lettera aperta di G. A. Papandreou ad A. Merkel”, gli autori greci di questa lettera immaginaria mettono a confronto l’arroganza della Germania di ieri e di oggi. Per due volte nel ventesimo secolo le classi dirigenti di questo paese hanno perseguito il progetto chimerico di modellare l’Europa con mezzi militari, ogni volta sovrastimati. Il loro obiettivo di leadership di un’Europa concepita come “una zona di marco”, non è a sua volta basato su una sovrastima della superiorità dell’economia tedesca, di fatto relativa e fragile?
L’uscita dalla crisi sarebbe possibile soltanto se e nella misura in cui una sinistra radicale osasse prendere l’iniziativa politica della formazione di blocchi storici alternativi “anti-oligarchici”. Ho scritto che l’Europa sarà di sinistra o non sarà,. Il riallineamento delle sinistre elettorali europee all’idea che “l’Europa così com’è è meglio che non avere l’Europa” non permette di uscire dalla situazione di stallo, che richiede la decostruzione delle istituzioni e dei trattati europei. In mancanza di ciò il sistema dell’Euro, e dietro di esso quello dell’”Europa” così come è, affonderanno in un caos il cui esito è imprevedibile. Si possono allora immaginare tutti gli “scenari”, compreso quello che si pretende di voler evitare, la rinascita di progetti di ultradestra. In queste condizioni la sopravvivenza di una Unione europea perfettamente impotente o la sua implosione non fa molta differenza per gli Stati Uniti. L’idea di un’Europa unita e potente, che costringa Washington a prendere in considerazione le sue opinioni e interessi è un’illusione.
6. Ho esposto in modo conciso questa mia riflessione per evitare ripetizioni, visto che ho trattato diversi aspetti dell’impasse europea in scritti precedenti:
L’egemonismo degli Stati Uniti e la cancellazione del progetto europeo, Sezione II, 2000;
Al di là del capitalismo senile, capitolo VI, 2002;
Il virus liberale, Capitolo V, 2003;
Per un mondo multipolare, Capitolo I, 2005;
La crisi, uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi?, Capitolo I, 2008.
da l’Ernesto Online
Traduzione di Andrea Catone