Breve storia del sodalizio tra la sinistra di stato e Marchionne
«Sin dall’avvento dell’era Marchionne la sinistra, persino quella cosiddetta alternativa, ha subìto il fascino dell’amministratore delegato della Fiat. Fausto Bertinotti ne tesseva le lodi. Lo collocava tra i «borghesi buoni» e non aveva paura di dichiarare apertamente: “Mi piace”».
(Corriere della Sera del 16 giugno 2010)
Tutto vero. Era solo qualche anno fa. In prima linea tra i fans di Marchionne c’era infatti proprio Bertinotti. Eravamo ai tempi del secondo governo Prodi, quando l’in-Fausto era Presidente della Camera e raccomandava ai suoi di pubblicare su Liberazione un discorso del “compagno padrone” della FIAT. Memorabile a tal proposito la sua intervista proprio a Liberazione del 30 luglio 2006, nella quale l’apologia di Marchionne come “borghese buono” era inscritta nella prospettiva della «alleanza con quel pezzo di borghesia che è disposta ad andare oltre il liberismo» (sic!).
Quell’intervista fu preceduta in verità da non meno sperticati elogi al Presidente della FIAT. Era il 4 luglio del 2006, Festa di Liberazione. Bertinotti discuteva con Paolo Mieli . Ecco quanto scriveva al proposito il Corriere della Sera del giorno dopo:
«MILANO – È finita che ora, dopo le lodi del subcomandante Fausto (Bertinotti), lui è diventato il subcomandante ad honorem Sergio (Marchionne). Almeno per chi la butta sull’ironia. Ultra-prevedibile, d’altra parte: il primo sarà pure, oggi, l’istituzionalissimo presidente della Camera, ma fino a ieri è stato il leader della Rifondazione Comunista, della lotta di classe e dello «sciopero momento di gioia», e dunque ha fatto davvero un po’ effetto sentirlo tessere elogi a quel campione di capitalismo che per definizione è l’ amministratore delegato Fiat. Aggiungeteci che la platea rosso-doc – i duri e puri della festa di Liberazione – ha accolto la quasi apologia con applausi che nemmeno il nome dell’ attuale segretario Franco Giordano ha sfiorato, e la revolucion è servita.
L’uomo della rinascita torinese eroe di Borse e mercati e, adesso, anche del popolo anti-Borsa e anti-mercato? Del padronato e del proletariato? Sì. No. Forse. Nel senso che l’uscita di Bertinotti divide la sinistra. Trasversalmente. Il presidente della Camera ottiene il consenso della base (lotta e governo?), nonché di un’ampia fascia «istituzionale» a partire dal ministro Lavoro Cesare Damiano, citando un Marchionne che obiettivamente «qualcosa di sinistra» nel suo manifesto di corteggiatissimo amministratore delegato lo mette spesso. Il rimbrotto agli analisti, per esempio, strapazzati perchè «vogliono il sangue» dei tagli di personale. O richiami come questo: «Se una società liberale deve continuare a esistere, è nel suo interesse appoggiare chi soffre le conseguenze delle trasformazioni causate dai movimenti dei mercati». Ecco. Qui erano gli applausi. Questo il discorso che Bertinotti vorrebbe «veder pubblicato su Liberazione». Perchè «dobbiamo puntare ai borghesi buoni». E Marchionne, che «non ha accettato l’equazione buona impresa-licenziamenti», lo è: «E mi piace». Cade un tabù. (…) Gli fa eco Alfonso Gianni, «Insomma, qui abbiamo finalmente un manager che esclude l’inevitabilità dei tagli di dipendenti e dimostra che è possibile comunque risanare la prima azienda del Paese. Non è giusto, aprire?». O, per dirla con Ritanna Armeni, anche lei ex portavoce del presidente della Camera: «C’è un manager che dice che licenziare non va bene. Non vedo perchè non dobbiamo essere d’accordo: solo perchè a dirlo è un “borghese”?». Identica la posizione di Valentino Parlato. Sulla stessa linea il ministro del lavoro Damiano: «Ha fatto bene, certo, Bertinotti. Dobbiamo saper distinguere tra manager e manager, tra chi ha una vocazione industriale e, così, difende anche l’occupazione, e chi pensa solo alle stock options e ne ha fatto una filosofia finanziaria dagli effetti perversi…».
(Corriere della Sera, 5 luglio 2006)
Ricapitoliamo: “Dobbiamo puntare ai borghesi buoni”; “Marchionne, che non ha accettato l’equazione buona impresa-licenziamenti” (Bertinotti); “abbiamo finalmente un manager che esclude l’inevitabilità dei tagli di dipendenti e dimostra che è possibile comunque risanare la prima azienda del Paese” (Alfonso Gianni); “C’ è un manager che dice che licenziare non va bene. Non vedo perchè non dobbiamo essere d’accordo” (Ritanna Armeni); “Dobbiamo saper distinguere tra manager e manager, tra chi ha una vocazione industriale e, così, difende anche l’occupazione, e chi pensa solo alle stock options e ne ha fatto una filosofia finanziaria dagli effetti perversi” (Cesare Damiano).
Ora, senza voler parlare dei regimi infernali che Marchionne ha imposto nelle officine Fiat, a cominciare da quelle brasiliane, turche e polacche; anche volendo sorvolare sul regime di tirannia che al loro interno vi vige, o anche dimenticando i reparti confino per gli operai e la corruzione sistematica dei sindacalisti al suo servizio; ora che chiude Termini Imprese e punta una pistola alla tempia degli operai di Pomigliano; ora che anche la FIOM, dopo anni di leccaculismo in FIAT si ribella; ora, dicevamo, Bertinotti ha fatto autocritica. L’accettiamo? L’accettiamo, tanto così in basso c’è sceso da solo, nessuno ce lo ha spinto.
Tuttavia, nonostante il Ceo FIAT abbia preso tutti questi imbecilli per il naso, malgrado si sia aumentato lo stipendio del 40 per cento, passando da 3,4 milioni di euro a 4,8 all’anno (mentre chiede lacrime e sangue agli operai), non è che a sinistra il fronte militante pro-Marchionne si sia sfaldato. Il fronte di-sinistra-pro-Marchionne è più saldo che mai e riafferma il suo sostegno al capo FIAT. Di Epifani, che ha dato addosso alla sua stessa FIOM, già sappiamo. Pierluigi Bersani condanna anche lui la Fiom e parteggia per Marchionne. Il vice segretario del PD Enrico Letta si è spinto a dire che “quello della FIAT non è un ricatto autoritario”, ma una manna per il mezzogiorno. Il più agguerrito è Piero Fassino: «Se Marchionne non avesse fatto tutto quel che ha fatto finora, non ci troveremmo qui a discutere di Fiat perché la Fiat non esisterebbe». Fassino va giù ancor più pesante «… che la ristrutturazione non sia un’eccezione per Pomigliano ma riguardi ogni singolo stabilimento era ovvio». Al coro non poteva non aggiungere la sua voce stridula il sindaco di Torino Sergio Chiamparino: «Non mi pento degli apprezzamenti che gli ho rivolto. Anzi, non capisco come il sindacato non possa cogliere l’occasione che viene offerta: credo che nel referendum il sì all’accordo vincerà e quindi penso che la Fiom dovrà ripensarci». Non riportiamo per carità di patria l’apologo dell’onorevole Colaninno, figlio d’arte. Il ruolo di voce-bianca-tutto-sommato-scema se l’è preso un padre nobile de il manifesto, Valentino Parlato: «La colpa non è di Marchionne. Lui è schiavo di una situazione impostagli dal capitalismo. Non è che lui è cattivo, è costretto a compiere certi passi».
D’Alema tace. Lui è in Cina per incontri ad alto livello coi dirigenti “comunisti”. E’ lì poiché la sua fondazione, “Italiani Europei”, vuole organizzare un simposio qui in Italia per meglio capire il modello cinese e come funzionino in Cina le relazioni industriali. E visto che contro lo sfruttamento disumano gli operai cinesi sono proprio in queste settimane protagonisti del più potente movimento di scioperi dall’avvio delle riforme denghiste, D’Alema avrebbe detto ai suoi compari: “Non stupitevi. Se c’è il capitalismo, c’è lotta di classe”. Chissà se D’Alema avrà il coraggio di ricordarlo, al suo ritorno, ai suoi amici di partito, che in questa lotta stanno quasi tutti dalla parte del padrone.
da http://sollevazione.blogspot.com/