Lettera aperta a Nichi Vendola
Caro Nichi,
mi dicono che è con questo nomignolo che ami essere chiamato, così dunque mi rivolgo a te. Non per captatio benevolentiae, come capirai leggendo queste righe. Ti tocca sorbire l’ennesima “Lettera aperta”. Ma che vuoi, questo è il prezzo, spero il meno amaro, della celebrità!
Mio padre era anzi, come tantissimi dalle mie parti, uno strozzapreti, e quando mi accompagnava all’asilo delle suore (l’unico che c’era) mi faceva cantare Bandiera rossa, ogni volta che eravamo all’uscio. Erano gli anni limpidi del o stai di qua o di là, “co lu partitu de li puritti”, il PCI, o “co’ quillu de li signori”, la DC – i socialisti essendo “… solo dei traditori come Nenni”.
Col tuo lirismo stucchevole affermi: «Il mio ambiente è stata una culla cattolica. Il cattolicesimo è un pezzo di Mezzogiorno che in Puglia diventa cifra di identità popolare, con una forte connotazione comunitaria, con le forme della sua pietà sempre al limite tra sacro e profano. La religiosità come dono e abbandono e dunque conversione, la religiosità inquieta, grondante di domande, esigente, capace di smarrirsi continuamente mi verrà sollecitata nel corso degli anni ’80 da Don Tonino Bello».
Sulle orme di Francesco invece, la mia terra tutto sacralizza, non conosce il profano. Sono quindi figlio della sola comunità che meritasse questo nome, quella del popolo comunista. Questa sì era sacra, mentre la Chiesa e i preti erano il nemico, il profano simbolo di un’oppressione millenaria, tanto più diabolico perché corrompeva le anime in nome del “primo socialista” – di qui l’adagio popolare: fai quel che il prete dice, mai quel che fa (forse che dalle tue parti i sacerdoti erano diversi?)
Nel 1972 ti iscrivesti alla FGCI. Io, al contrario, capii presto che per raccogliere l’eredità della mia comunità, il suo anelito rivoluzionario, dovevo fuoriuscirne. Nello stesso 1972, tra le fila della “sinistra extrapalamentare”, in aperta opposizione al PCI, feci invece campagna elettorale con il manifesto che candidò Valpreda.
Nei “gloriosi” settanta, mentre eri imparrocchiato nel PCI, fino a diventarne membro del Comitato centrale e a lavorare fianco a fianco coi D’Alema, i Veltroni e gli Adornato, puoi immaginare la “carriera” che facevo io. Tu diventasti dirigente di un partito che si fregiava di ergersi ad ultimo baluardo delle istituzioni statuali, io ero tra coloro che pensavano che solo abbattendole si sarebbe potuta aprire una strada per la liberazione sociale.
Devo supporre che da cattolico quale ti dichiari, avrai ben accolto il “compromesso storico” e il conseguente posizionamento a fianco della DC e dello Stato, ai tempi della miniguerra civile italiana. Io ai tempi di Moro non riuscii a versare una lacrima e, pur non condividendo il delirio militarista, mi sentivo nella stessa barca e, quel che più conta, della medesima sostanza, dei compagni che avevano imboccato la lotta armata. Come capitò a quei tempi a circa diecimila compagni, conobbi in almeno un paio d’occasioni le patrie galere. E siccome lo Stato non dimentica mai, mi ci rimisero nel 2004. Medesima l’accusa: terrorismo. Tu allora eri nuovamente parlamentare: Rifondazione Comunista ti aveva ripescato, malgrado nel 1995 avessi “baciato il rospo” Dini (ora tornato all’ovile berlusconiano) dando il tuo contributo alla scissione dei “Comunisti Unitari”, coi quali paraculescamente intuisti fosse meglio non andare.
Freudiana coazione a ripetere: ora capeggerai la più grave scissione di Rifondazione, quella che porterà, dopo il VII Congresso, alla fondazione di Sinistra Ecologia e Libertà. Mi sono rimasti impressi il tuo volto rabbuiato, le parole sgraziate e i giudizi mostruosi che desti di coloro che ti misero, per il rotto della cuffia, in minoranza. Nessuna traccia del tuo eloquio seducente ed elegante, che così tanto conta nell’accreditare il tuo carisma. Trasudavi odio. Si capiva che ne facesti una questione personale.
Tuttavia la questione era politica al massimo grado. Per quanto aleatoria e arlecchinesca fosse l’ammucchiata che impedì la tua intronizzazione, quella maggioranza non ci sarebbe mai stata se non fosse stato per la natura estremistica contenuta nella mozione di cui eri capofila. Venivate dalla patetica sconfitta subita (aprile 2008) da quell’altra ammucchiata suicida rappresentata da L’Arcobaleno, fortemente voluta da Bertinotti e da te. Dopo essere stati inopinatamente (si fa per dire) espulsi dal Parlamento, avesti la faccia tosta di andare ad un congresso di comunisti (luglio successivo) rincarando la dose. Lungi dal fare autocritica chiedesti loro di cambiare casacca e di abbandonare i loro ideali, proponendo null’altro che una Bolognina in sedicesimo. Molti di quelli che ti si opposero la presero non solo come una provocazione politica ma come un affronto morale. Diciamocelo: andasti al Congresso per sciogliere per sempre il partito ben sapendo di causare la scissione, solo che eri certo di vincere tu e di buttar fuori l’ala sinistra. Per te L’Arcobaleno non era quindi, un escamotage tattico, quanto piuttosto una mossa tattica in vista della tumulazione del PRC.
Ed hai forse ragione ad irridere certi dirigenti attuali del PRC, come Ferrero (già Ministro della Solidarietà Sociale nel secondo Governo Prodi) che hanno fatto gli gnorri.
Dov’erano quando, nel novembre 2005 affermasti, vittima di un malcelato narcisistico cupio dissolvi ma col tuo solito linguaggio immaginifico «Io voglio mettere in discussione e bruciare la mia tradizione culturale, quella di chi non si dichiara ex, ma comunista»? Dov’erano quando diventasti, nell’aprile 2005, “Governatore” di Puglia grazie all’appoggio di svariati rottami del ceto politico come come DS, UDEUR, Margherita, DC Uniti ecc. ed in virtù di meccanismi istituzionali ed elettorali plebiscitari e antidemocratici? Dov’erano quando, nell’esercizio delle tue funzioni, ti circondasti di corrotti e ladri come Alberto Tedesco e Sandro Frisullo? Quando il cocainomane, puttaniere e berlusconiano Gianpaolo Tarantini vinceva tutte, ma proprio tutte, le gare d’appalto per la sanità pugliese? Dov’erano quando i numerosi comitati popolari pugliesi ti contestavano per le tue inusitate decisioni in merito alla politica ambientale ed energetica tutte favorevoli a certi chiacchierati gruppi industriali?
E’ vero: il riconoscimento di una (inquietante) coerenza, fin dai tempi della parrocchia, ti è dovuto. C’è un filo rosso che unisce i passaggi cruciali della tua carriera: dal primo sostegno al governo Dini, al governatorato pugliese, passando per l’Arcobaleno fino alla scissione del PRC e alla fondazione di un tuo partito personale in perfetto stile berlusconiano. Hai, con infaticabile tenacia, perseguito il medesimo obbiettivo: in barba alle tue cazzate mistico-religiose, il sordido potere secolare.
Ora ti candidi addirittura a capo del governo.
I maligni alla D’Alema sostengono che oramai ti sei montato la testa. Può darsi. Ma vista la miseria incalcolabile della casta politica che dirige a fasi alterne questo paese disgraziato, non si capisce perché tu non dovresti ambire a diventarne capobanda. In effetti, non fosse perché come rabdomante sei decisamente più scaltro e abile di loro, gli stai una spanna sopra. Te lo riconoscono in tanti, da Luca Casarini a Luca… Di Montezemolo. Penitenti i tuoi stessi ex-compagni-nemici di Rifondazione, implorano ora la tua clemenza e sono disposti a riconoscerti il ruolo di leader di un’eventuale nuovo coacervo di centro-sinistra ove, come ha fatto il Bersani, gli gettassi il salvagente di qualche seggio parlamentare. Il tuo incontenibile carisma ha addirittura valicato i confini italiani visto il recente encomio del Financial Times, che hai infatti messo in bella mostra nella prima pagina del tuo sito col titolo ovviamente anglo-monarchico inequivoco: «Il Financial Times incorona Nichi».
Mi rendo perfettamente conto che dall’altezza della tua postazione il pensiero mio ti appaia del tutto irrilevante. Tuttavia sento che noi irrilevanti – quelli che non si fanno ipnotizzare dai tuoi pomposi discorsi sul “paese migliore”, il “principio speranza” (ahimé, pure E. Bloch hai trascinato nel pantano politico in cui benissimo galleggi) e “la lotta che non sia una scena di guerra” – siamo non meno numerosi dei chierici che ti osannano come nuovo profeta.
Racconti che un giorno un pescatore di Mola di Bari ti regalò la fede di sua madre e affermi che quell’anello «Rappresenta per me una specie di matrimonio con il popolo». Un’altra delle tue suggestive evocazioni. Voglio sperare che al popolo darai il diritto al divorzio. Sento che sarà un divorzio che ti seppellirà.