Bombe italiane sulla Libia: bombe berlusconiane e “democratiche”, ma soprattutto bombe quirinalizie

Nel Pci era l’«americano», un mese fa – all’inizio dell’aggressione alla Libia – l’abbiamo definito l’«ipocrita». Ora, che ha benedetto la decisione di Berlusconi di passare ai bombardamenti, c’è solo un modo per definirlo: guerrafondaio. Guerrafondaio, alla faccia di quella Costituzione di cui si vorrebbe fedele custode. Guerrafondaio, alla faccia di quella «sinistra» che lo difende a prescindere ogni volta che apre bocca.

«L’ulteriore impegno dell’Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall’Italia a marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa da me presieduto e quindi confortata da un ampio consenso in Parlamento». E’ questa la benedizione quirinalizia alla scelta dei bombardamenti.

Si era partiti con la «no fly zone», con il pretesto della protezione della popolazione civile. Ma fin da subito si sono colpiti obiettivi che con la «no fly zone» niente avevano a che fare. La posizione italiana restava però defilata: un po’ per la solita «furbizia», un po’ perché gli interessi non coincidevano con quelli degli aggressori più scatenati, i francesi in primo luogo. Sta di fatto che il governo si vantava di non partecipare ai bombardamenti.

Ora, dopo le forti pressioni americane, e dopo che le trattative con il comitato di Bengasi hanno assicurato che l’Eni avrà i suoi pozzi, la decisione di bombardare la Libia. Una decisione gravissima, presa dal governo, ma prontamente avallata dal Pd. La guerra di Libia ha infatti degli effetti apparentemente paradossali sulla situazione politica italiana. Sia la maggioranza che l’opposizione parlamentare sono divise al loro interno. Nella maggioranza la Lega per ora dice no, mentre anche numerosi esponenti del Pdl si dichiarano contrari. Nella minoranza l’Idv è contro, mentre il Pd è a favore ma vorrebbe far pagare un prezzo a Berlusconi, come non si sa.

Non sappiamo quali contorcimenti tattici si vadano preparando. Atteniamoci perciò ai fatti. Il fatto decisivo è che quello che era un evidente pretesto – la protezione della popolazione civile – è ormai una plateale menzogna. Ed i principali propagandisti di questa menzogna, per quel che riguarda il nostro Paese, sono proprio Berlusconi e Napolitano, la presidenza del consiglio e quella della repubblica.

In Libia, per chi non l’avesse ancora capito, non è in corso una semplice repressione del regime contro gli oppositori. In Libia è in corso una guerra civile, nella quale, come in tutte le guerre civili che si rispettino, si spara da entrambe le parti. Se c’è un problema di protezione dei civili, c’è da una parte come dall’altra. Forse qualcuno si preoccupa di proteggere la parte rimasta con Gheddafi?

Ma per favore! Se l’Italietta del centocinquantesimo vuole festeggiare il centenario dell’aggressione alla Libia rinnovando il proprio spirito coloniale che lo faccia assumendosene la responsabilità. Tanto alle balle «umanitarie» ormai non crede più nessuno. E se vengono dalle più alte cariche istituzionali vengono credute ancor di meno.

Sotto molti aspetti la situazione italiana è tragica, ma come sempre la farsa prevale. Il no della Lega potrebbe trasformarsi in un nì, poi forse in un sì. Berlusconi ha detto che: «Con Bossi è tutto a posto». Staremo a vedere. E nel Pd, la capa dei senatori, Finocchiaro, ha subito rintuzzato violentemente Di Pietro, reo di aver criticato il Quirinale. E poi molti si chiedono come mai Berlusconi è ancora al suo posto…

Non è escluso che oggi Bersani si inventi qualche mossa parlamentare per far pagare qualche prezzo alla maggioranza, ma al momento si limita ad osservare l’ovvio, e cioè che il governo una sua maggioranza non ce l’ha. Già, non ce l’aveva neppure a marzo, ma fu proprio lui a fornirgliela. Andrà allo stesso modo? Vedremo. Per adesso Bersani si dice favorevole ad un «intervento nello stretto mandato Onu, fatto per evitare che Gheddafi massacri le popolazioni ribelli». Ipocrisia al cubo di chi ama nascondersi dietro a formule astruse senza chiamare le cose con il loro nome: bombe, bombe berlusconiane, ma anche «democratiche». E molto, ma molto quirinalizie.