L’Italia è diventata una Repubblica presidenziale?
Dire quale sia oggi la forma istituzionale assunta de facto dal nostro disgraziato Paese non è cosa semplice come potrebbe sembrare. Secondo alcuni, viste le gesta e la forma mentis del premier, vivremmo in un sultanato, secondo altri saremmo semplicemente approdati ad una dittatura videocratica. Tutti osservano lo svuotamento dei poteri e delle funzioni parlamentari, per la verità in atto da almeno un ventennio, ma oggi reso plasticamente evidente dal braccio alzato di un paffuto Scilipoti in affannoso soccorso del generoso Paperone che lo ha assoldato.
La perdita del senso del ridicolo è un indice infallibile della profondità dei processi involutivi di questi ultimi anni. Anche un tempo i parlamentari si vendevano, ma meno di oggi e con più pudore. Abbiamo quindi un parlamento con una credibilità pari a zero, quasi contento di non contare più nulla. Nel campo della maggioranza governativa si è ben felici di essere meri esecutori degli ordini del capo, mentre in quello della cosiddetta «opposizione» si vivacchia alla giornata, giocando di rimessa in attesa di tempi migliori. I primi passano il loro tempo cercando di strappare ogni tipo di vantaggio individuale (potere, denaro, poltrone) finché non verrà il momento di passare la mano; i secondi lo impiegano prevalentemente in una serie sterminata di faide interne in vista della riconquista del governo.
Nel frattempo, però, il mondo va avanti, abbastanza incurante di questa casta sempre più separata dalla società. Tutti hanno ormai capito che il parlamento è, al massimo, il luogo dei discorsi, non certo quello delle decisioni. Del resto il pensiero politico dominante degli ultimi decenni è stato apertamente presidenzialista e dunque antiparlamentare. Un parlamento svuotato di poteri, reso ridicolo dai suoi stessi membri, è funzionale alla linea dell’accentramento dei poteri negli esecutivi, fino ad arrivare alla soluzione presidenzialista.
Ma ci sono situazioni in cui, giocoforza, il parlamento sembra ridiventare centrale. E’ il caso che si presenta in questi giorni, dato che si dovrà discutere una cosuccia come la guerra alla Libia. Guerra già iniziata il 19 marzo, ma ora entrata in una nuova fase. L’Italia ha già cominciato a partecipare ai bombardamenti, e lo ha fatto senza un voto parlamentare. Nei prossimi giorni, invece, si voterà, ma che voto sarà?
Il merito della questione – guerra sì, guerra no – sembra svanire nei più biechi tatticismi, in quei giochini di potere che sono la vera specialità dell’attuale classe politica. Nel frattempo, però, c’è chi si preoccupa della tenuta della linea interventista ed atlantista. E si preoccupa di tenere le fila di un sistema politico sbrindellato, affinché il sì alla guerra non corra rischio alcuno. Il nome di questo regista è noto: Giorgio Napolitano, l’amerikano.
L’amerikano del Quirinale
Tutto ciò non è un mistero: da giorni leggiamo sui giornali che Napolitano convoca Berlusconi al Quirinale per assicurarsi che la Lega non faccia scherzi, telefona a destra e a manca per accertarsi che la linea interventista non subisca limitazione alcuna, sproloquia in continuazione per riaffermare che la scelta di aggredire la Libia deve essere confermata in tutti gli aspetti. Molti a sinistra davano al presidenzialismo la faccia ridanciana e volgare del Cavaliere, mentre oggi il suo vero volto è quello cupo e accigliato dell’amerikano passato da Botteghe Oscure al Quirinale, transitando (non dimentichiamolo) dal Viminale.
E’ da tempo che andiamo denunciando il ruolo dell’attuale presidente della repubblica come rottamatore di quella Costituzione repubblicana di cui dovrebbe essere custode. Ed è da tempo che polemizziamo con chi, a sinistra, ha voluto accreditarlo come garante in funzione antiberlusconiana. Garante di che? Per il momento garante di Washington e della Nato, nonché di quell’istituzione oligarchica chiamata Unione Europea. Chi aveva dei dubbi, dovrà chiarirseli definitivamente alla luce dei fatti degli ultimi giorni.
In merito alla decisione di bombardare la Libia, Napolitano ha dichiarato che la Carta delle Nazioni unite consente azioni armate nell’interesse della pace. Già, ma come gli ricorda Danilo Zolo (il Manifesto, 30 aprile), l’art. 2 di quella stessa Carta, esclude che qualsiasi Stato membro possa «intervenire in questioni di competenza interna di un altro Stato». Commenta Zolo a proposito della Libia: «E’ ovvio che questa norma vieta a maggior ragione che possa essere usata la forza per intervenire all’interno di una guerra civile in corso» (…) «In casi come questi la pace internazionale non è in pericolo e questo esclude la competenza del Consiglio di sicurezza ad attribuire a qualsiasi Stato membro il diritto di usare la forza».
Non solo l’attacco alla Libia è contro la Carta dell’Onu; esso contrasta con la stessa – e comunque vergognosa – risoluzione 1973. Seguiamo ancora Zolo: «Il compito (della ris. 1973, ndr) – comunque illegalmente attribuito – è di imporre la No-Fly Zone, ciò che non comporta minimamente il bombardamento di città, di paesi, di rifugi sotterranei etc., e l’uccisione di persone indifese». Ma l’amerikano che siede al Quirinale se ne infischia di simili sottigliezze: l’Onu ha dato alla Nato un pezzo di carta ed esso è sufficiente a coprire ogni tipo di aggressione. Per l’ex ministro degli esteri del Pci «l’ulteriore impegno dell’Italia in Libia è il naturale sviluppo della scelta compiuta dall’Italia a metà marzo sulla base della ris. 1973».
In lingua italiana, ovviamente, l’«ulteriore impegno» va tradotto come «bombardamenti», ma la falsità e l’ipocrisia tipica dell’intero ceto politico italiano trova un naturale cultore nel viscido Napolitano. A questo punto, però, come ricorda ancora Zolo, siamo di fronte non solo ad una plateale violazione del diritto internazionale, ma anche ad un presidente della repubblica che calpesta a ripetizione la stessa Costituzione italiana.
L’Italia è già una Repubblica presidenziale?
E’ chiaro, perciò, quanto sia assurdo il voler considerare ancora oggi Napolitano come «custode» della Costituzione», quando ne è invece il primo affossatore al pari di Berlusconi. Per qualcuno il presidente della repubblica è semplicemente un «supplente», che si fa carico delle difficoltà del governo a governare e di quelle dell’opposizione parlamentare a costruire una soluzione alternativa. Ma è questo il ruolo previsto dalla Costituzione?
Quasi nessuno si pone questa domanda. Eppure non ci sembra proprio una questione secondaria.
Lasciamo perdere i casi umani, come quello di Asor Rosa, il quale ancora ieri è arrivato a scrivere che una volta stabilito il principio (per lui positivo ed auspicabile, vedi articolo del 14 aprile) dell’intervento «dall’alto», può sì accadere che venga usato in direzione sbagliata sulla Libia, ma (testuale) «può darsi che la prossima occasione sia quella buona»!!! E lasciamo perdere gli ultra-atlantisti del Pd che vorrebbero ancora più bombe sulla Libia, ma dove sono gli anti-presidenzialisti di sinistra che pure, e giustamente, tuonano sempre contro i progetti presidenzialisti della destra?
Con Napolitano il presidenzialismo si è già imposto. Certo, la Costituzione non è stata ancora modificata, ma non illudiamoci che lo sfondamento operato dal Quirinale in questi anni resti senza conseguenze. Solo nelle ultime settimane, Napolitano è intervenuto non solo sulla Libia, ma anche sul rapporto con l’Europa e due giorni fa perfino sull’unità sindacale, dove ha lasciato chiaramente intendere la sua preferenza per un sindacato corporativo e collaborazionista. Detto in altre parole: la Cgil deve ricondurre la Fiom alla ragione, affinché il modello Marchionne venga finalmente accettato dall’intero sindacalismo confederale. Anche qui ha esercitato una funzione di supplenza?
La cosa più significativa è proprio il continuo interventismo presidenziale, ormai quasi quotidiano, l’intromissione in temi politici rispetto ai quali dovrebbe svolgere una funzione super partes, l’assidua collaborazione dei suoi uffici con quelli di Palazzo Chigi nella stesura delle leggi. Come non vedere il salto qualitativo ormai avvenuto? Certo, i giustificazionisti diranno che, a prescindere dal merito, tutto ciò avviene a causa della situazione d’emergenza che vive il paese.
Se solo questo fosse il motivo, Napolitano, senza forzare i propri poteri, dovrebbe inviare un messaggio alle camere per spiegare la necessità dello scioglimento delle stesse. Cosa che non fa e che non vuol fare, non per svolgere un ruolo neutrale e di «garanzia», bensì per tenere in vita l’attuale governo: oggi affinché faccia la guerra alla Libia senza esitazioni, domani per garantire all’Europa il gigantesco massacro sociale che si va preparando.
Se una supplenza c’è, di questo si tratta. Washington ha così trovato il suo vero referente nella confusa situazione romana, e così pure le oligarchie europee. E se questa è la funzione, figuriamoci quale può essere il riguardo per la carta costituzionale, calpestata ogni giorno dall’amerikano del Quirinale.
Domani il parlamento discuterà delle diverse mozioni sulla Libia. Tutto lascia pensare che i tatticismi prevarranno alla grande sull’esigenza della chiarezza. Ci si dividerà su tutto, ma non sulla fedeltà atlantica. In questo modo Berlusconi la farà franca un’altra volta, la Lega incasserà un po’ di propaganda, il Pd farà la figura a cui è da sempre abituato, i centristi saranno più «responsabili» dei transfughi che li hanno lasciati per i più sicuri lidi berlusconiani, l’Idv s’arrampicherà sugli specchi per spiegare il cambio di posizione rispetto al voto di marzo. E le bombe italiane continueranno a cadere su Tripoli.
Vorremmo tanto sbagliarci, ma è questo lo scenario più probabile, nonostante l’abbaiare lumbard del padre del mitico Trota. In ogni caso su una cosa siamo certi di non poterci sbagliare: il ruolo di Napolitano, il vero regista del partito interventista e bombardatore. A 100 anni esatti dall’aggressione dell’Italia giolittiana, che vide una forte opposizione della maggioranza dei socialisti, la guerra alla Libia si ritrova oggi come protagonista decisivo proprio un ex-Pci. Segno di un’involuzione che non ha bisogno di commenti, e che la totale sudditanza alla Nato rende ancora più grave.