L’ossessione dei tagli alle pensioni, quando tutti i dati smentiscono tutta la canea bipartisan dei tagliatori di professione

Scontato: i tagli alle pensioni stanno al primo posto del Manifesto della Confindustria. Sulla loro necessità si esercitano, in vario modo, pidiellini ed esponenti del centrosinistra. Addirittura assatanato il benpensante Casini. Sempre pronti gli editorialisti strapagati un tanto al chilo. Ad unirli tutti, come voci di un unico coro, la fede nel Dio euro, l’obbedienza alla Chiesa di Francoforte e quella al Papa uscente Trichet, ed ancor di più al Papa entrante Draghi.

L’esercito dei tagliatori è numeroso quanto scarso di argomenti. E quelli che vengono usati sono sempre gli stessi. Incuranti dei fatti e delle cifre reali, costoro sanno solo mandare in onda la stessa litania di sempre: che in Italia si va in pensione troppo presto, che i conti del sistema previdenziale non tengono, che le riforme fatte in precedenza sono quasi per definizione «insufficienti».

In questi anni di istupidimento di massa, la forza della propaganda è stata tale che gli «opinionisti» di lorsignori – gente che ha messo da tempo a riposo la materia grigia per ingrossarsi il portafoglio – hanno potuto permettersi le bugie più grossolane, falsi mastodontici che in qualsiasi altra materia sarebbero stati immediatamente smascherati. Ma sulle pensioni no, dato che i lavoratori devono quasi vergognarsi della loro condizione, mentre i pensionati devono sentirsi in colpa perfino per un qualche allungamento delle speranze di vita.

La conseguenza di questa situazione è che da vent’anni si ascoltano fesserie di ogni tipo e – quel che è peggio – da oltre un quindicennio il sistema previdenziale è sottoposto ad attacchi continui e multiformi, spesso battezzati «riforme», ma di quelle riforme che non gli bastano mai. Il leit motiv del taglio alle pensioni si è fatto in questi anni parossistico, sviluppandosi senza soluzione di continuità e senza che mai se ne vedesse la fine.

Nei giorni scorsi, praticamente in concomitanza con l’ufficializzazione del programma confindustriale, sono usciti numerosi dati sulla situazione pensionistica in Italia. Ovviamente i tagliatori se ne infischieranno come sempre, ma chi vuol costruire un’alternativa politica e sociale ha invece il dovere di evidenziarli, perché si tratta di dati che tolgono ogni credibilità alla propaganda delle classi dominanti.

Per non farla troppo lunga, vediamo per punti gli aspetti principali:

Primo. Il fondo lavoratori dipendenti dell’Inps presenterà nel 2011, secondo le ultime stime, un attivo di 7,3 miliardi di euro. Come si giustifica allora l’«allarme pensioni» che ci viene propinato tutti i giorni?

Secondo. Tra i fondi speciali brilla il passivo (3,8 miliardi) degli ex dirigenti d’azienda, i quali incassano ogni anno la non disprezzabile pensione media di 49.860 euro. Un «dettaglio» che, chissà perché, viene sistematicamente omesso tanto dai politici quanto dai severi analisti confindustriali.

Terzo. Nei primi otto mesi del 2011 le nuove pensioni Inps sono diminuite, rispetto allo stesso periodo del 2010, del 19,4%, passando da 257.940 a 208.134. Si tratta dell’effetto «finestra mobile», il meccanismo truffaldino che sposta il pagamento della pensione ad un anno dopo il raggiungimento dei diritti per i lavoratori dipendenti, ad un anno mezzo per gli autonomi.

Quarto. Viceversa, secondo i dati Inpdap, i pensionamenti sono aumentati del 5,2% nei primi nove mesi dell’anno tra i lavoratori pubblici. Qual è la spiegazione? Semplice, l’attacco furibondo al pubblico impiego (blocco salariale, rinvio del pagamento della buonuscita, minaccia alle tredicesime, eccetera) induce chi ha i requisiti ad andarsene al più presto. Ecco un effetto «collaterale» della politica governativa.

Quinto. Nel 2010, in Italia, l’età media del pensionamento è stata di 61,1 anni per gli uomini e di 58,7 anni per le donne. Nello stesso anno in Francia e in Belgio l’età media è stata di 59,1 anni per gli uomini, mentre quella delle donne è stata di 59,7 anni in Francia e di 59,1 anni in Belgio. Francia e Belgio non sono certo considerati «paesi cicala». Ma qual è la differenza con la mitica Germania? Questi i dati: 61,8 anni per gli uomini, 60,5 per le donne. L’Italia si colloca dunque a metà strada tra Francia e Germania, con scostamenti assai limitati. Come si giustifica allora la ricorrente propaganda, che vorrebbe far credere all’esistenza di differenze abissali?

Sesto. La fonte dei dati riportati al punto precedente è l’Ocse. Ma questi sono solo una fotografia attuale di un quadro fortemente dinamico. Come sanno bene i lavoratori vicini alla quiescenza, le pensioni di anzianità sono armai ad esaurimento, anche le donne vedranno alzarsi progressivamente i limiti per la pensione di vecchiaia a 65 anni, mentre dal 2013 questi limiti saliranno per tutti a causa del meccanismo di agganciamento all’«aspettativa di vita». Infine le stesse «finestre mobili», che non si capisce perché debbano chiamarsi così, dato che sono soltanto un mezzuccio per spostare ancora più avanti il momento della pensione, verranno aumentate di un mese all’anno a partire dal 2012 anche per chi ha raggiunto i 40 anni di contributi. In questo modo nel 2012 si avrà la pensione solo dopo 41 anni ed un mese, nel 2013 dopo 41 anni e due mesi e così via. Non è difficile capire che, per l’effetto di tutti questi interventi, nei prossimi anni l’età media di pensionamento dei lavoratori italiani è destinata a crescere a dismisura.

Settimo. Questa crescita dell’età pensionabile effettiva sarà maggiore di quella di altri paesi europei. Un risultato di cui il presidente dell’Inps, Mastrapasqua, già si vantava un anno fa, prima degli ultimi interventi di luglio ed agosto. Leggiamo cosa dichiarava nell’autunno 2010 al Corriere della Sera: «Direi che sulle pensioni si è fatta la riforma strutturale più coraggiosa della manovra: si tratta del miglior biglietto da visita per i mercati che devono valutare il nostro bilancio».

Ottavo. Fin qui i dati sull’età pensionabile. E quelli sul valore delle pensioni? Vogliamo forse dimenticarci che il sistema contributivo prepara per i giovani di oggi un futuro di pensioni da fame, inferiori al 45% del salario? E vogliamo scordarci che la «salvezza» che gli viene proposta è quella di gettarsi nelle braccia dei pescecani dei fondi integrativi?

Nono. Ci sono altri dati da evidenziare, quelli che riguardano le pensioni di invalidità, accompagnamento e reversibilità, che sono giusto i capitoli sui quali si prefigge di intervenire il governo con la cosiddetta «delega assistenziale». Sapete qual è l’importo delle pensioni di invalidità? 260 euro al mese. E quelle di accompagnamento? Queste, ci viene spiegato, sono più «ricche» ed ammontano mediamente a ben 487 euro al mese. Una cifra superata dalle pensioni di reversibilità che hanno un importo medio di 533 euro al mese. Ma che sprechi, signora Marcegaglia! Davvero uno scandalo, signor Draghi!

L’elenco dei dati pensionistici è risultato un po’ lungo, e tuttavia avremmo potuto continuare. Ma chiunque può capire come siamo di fronte ad una mistificazione gigantesca, dalla quale occorre difendersi con forza.

Resta da capire il perché di questa ossessione. Certo, taglia oggi, taglia domani, i conti pensionistici non possono che migliorare per l’Inps e peggiorare per i lavoratori. Ma ormai tutti sanno che siamo al fondo del barile e c’è rimasto ben poco da raschiare. Sicuramente il peggioramento del sistema previdenziale pubblico è anche un grimaldello per spingere verso la previdenza privata, ma non risulta che i fondi integrativi se ne stiano seriamente avvantaggiando.

Si tratta allora soltanto di una «cosa ideologica», come ha detto perfino il ministro Maroni riguardo all’insistenza confindustriale? Sicuramente c’è dell’altro – magari l’obiettivo di una futura riduzione dei contributi a carico delle aziende – ma l’aspetto ideologico è davvero forte. Per le sanguisughe confindustriali abituate a nutrirsi di soldi pubblici, continua ad essere comodo l’alibi dei baby pensionati: non esistono nella realtà, ma riempiono facilmente un immaginario costruito ad arte.

Questo imbroglio ha però fatto il suo tempo. Non ne dubitiamo: l’attacco alle pensioni andrà avanti, ma si scordino il relativo consenso di cui hanno goduto in passato. Certi inganni possono durare a lungo, ma pretendere che possano funzionare per l’eternità, per giunta a dispetto dell’evidenza, è davvero un po’ troppo.