«L’Italia è oramai un protettorato di Francoforte»
Un commento a caldo del vertice europeo di mercoledì
«Che le borse esultino è di cattivo presagio. Anche i titoli General Motors a Wall Street schizzano in alto quando il Consiglio di amministrazione vara un piano di licenziamenti di massa, così questa mattina (ieri – ndr) gli indici di Piazza Affari sono saliti, non appena, tra l’altro, si sono sapute le gravissime misure antipopolari che il governo Berlusconi ha promesso di adottare. Se le borse europee salgono vuol dire che la grande finanza predatoria globale sente odore d’affari, che un altro giro di giostra è alle porte, ovvero di sperpero di risorse pubbliche per soccorrere il traballante sistema bancario».
«L’euro è per ora in sicurezza, e così le banche. E le borse vanno a razzo», così titola il Corriere della Sera on line di questa mattina (ieri – ndr) a commento del vertice europeo conclusosi mercoledì notte. E’ presto per dare un giudizio oculato sulle decisioni adottate a Bruxelles. L’incontro si è concluso a tarda notte, per cui si conoscono solo i titoli, non lo svolgimento, non le concrete misure che saranno adottate. L’impressione è che quello raggiunto sia solo un accordo-tampone, più precisamente una dichiarazione d’intenti, che non sventano, ma rimandano, il tracollo dei debiti sovrani e la bancarotta di alcune grandi banche. Che le borse esultino è di cattivo presagio. Anche i titoli General Motors a Wall Street schizzano in alto quando il Consiglio di amministrazione vara un piano di licenziamenti di massa, così questa mattina gli indici di Piazza Affari sono saliti, non appena, tra l’altro, si sono sapute le gravissime misure antipopolari che il governo Berlusconi ha promesso di adottare. Se le borse europee salgono vuol dire che la grande finanza predatoria globale sente odore d’affari, che un altro giro di giostra è alle porte, ovvero di sperpero di risorse pubbliche per soccorrere il traballante sistema bancario.
La sola cosa certa è l’hair cut, ovvero il taglio del 50% del valore dei titoli di stato greci. Ciò ha come conseguenza che le banche europee e greche (ma questo non vale per la Bce) che hanno in pancia questi titoli subiranno un taglio netto delle cifre che teoricamente dovrebbero incassare. Di qui il contestuale soccorso per evitare il loro fallimento: il vertice ha sì deciso che le banche sistemiche (troppo grandi per fallire, troppo grandi per poter essere salvate — una novantina per l’esattezza) si debbano ricapitalizzare, ma ciò avverrà appunto grazie all’iniezione di 106 miliardi (di cui 14,7 a quelle italiane) di soldi pubblici. Nulla di nuovo sotto il sole; la solita tecnica della socializzazione dei debiti privati. Tocca poi vedere se questa ricapitalizzazione sarà reale o di facciata, ovvero dovremo non solo vedere a quali valori saranno calcolate le esposizioni bancarie, ma pure vedere che peso avranno le cosiddette cartolarizzazioni — uno dei maldestri trucchi di bilancio con cui si trasformano i debiti in crediti.
Che queste misure possano davvero mettere al riparo le banche europee (praticamente quelle della gran parte dei paesi) dal rischio di un fallimento è tutto da vedere. Non ci vorrà molto tempo per verificarlo. Già varie volte, dopo il collasso di Lehman, era stata cantata vittoria, per poi tornare al panico e a ulteriori salvataggi in extremis. Un fatto è certo, la Grecia è andata in default, per quanto esso sia stato programmato e, con eufemismo, considerato “tecnico”. Col che abbiamo avuto ragione noi, che già un anno e mezzo fa lo avevamo previsto, di contro ai demiurghi d’Europa e ai loro economisti embedded che sostenevano il contrario. Che questo hair cut eviti definitivamente il contagio, anche questo è tutto da vedere. Ove tutti tasselli non andassero al loro posto, e tra questi una robusta crescita economica a scala continentale e la tenuta dei sistemi finanziari nordamericano e inglese, il tutto andrà gambe all’aria in un baleno.
Un giudizio a parte merita, ma ci torneremo più approfonditamente nei prossimi giorni, il capitolo del fondo salvastati, o Efsf. Dalla cifra del tutto incapiente di 440 miliardi esso sarà portato a quella, corposa, di mille. Ma chi ci metterà i quattrini in questo fondo? Gli stessi stati europei indebitati fino al collo? E’ come se io staccassi un assegno ad una banca con cui sono in debito, con un assegno di una seconda banca in cui sono a mia volta sotto. Guadagnerei qualche giorno di tempo, ma ove non avessi la somma al momento in cui l’assegno verrà bancato, esso andrà in protesto. Che per gli Stati equivale, appunto, al default. Per forza questi quattrini devono metterli quelli che ce l’hanno e ce l’hanno solo il Fmi, i paesi cosiddetti Bric e la Cina anzitutto. Staremo a vedere se Pechino, che già rischia grosso con la montagna di crediti con cui tieni in piedi gli Usa, si imbarcherà in un’impresa di tale azzardo. Di certo, se lo farà, sarà in cambio di bocconi importanti dell’economia e degli asset europei, mica solo dei PIIGS.
L’ultimo capitolo della saga riguarda l’Italia. Il Summit ha preso atto con favore delle misure draconiane e liberiste promesse da Berlusconi — Tremonti non ha firmato la famigerata lettera d’impegno a Barroso, cosa potrebbe significare lo vedremo a giorni. L’avevamo detto, ad agosto, che la “manovra”, malgrado i suoi cinque ritocchi, avrebbe avuto vita breve. Et voilà, detto fatto. Altre lacrime e sangue, per le masse popolari, niente per i ricchi. Per i ricchi, anzi, solo sfacciati vantaggi.
Abbiamo già parlato di queste misure, svelando anche come le promesse del governo, in riferimento al disavanzo, al pareggio di bilancio, e all’abbassamento al 113% del rapporto debito Pil entro il 2014 (gatta da pelare furbescamente lasciata al governo che verrà) siano altamente velleitarie e comunque implichino misure supplementari rispetto alle quali quelle odierne sono bazzecole. Il bellimbusto Berlusconi, a domanda se tutto questo non rischi di provocare aspri conflitti sociali, ha risposto che no, che noi non siamo come la Grecia. Ma chi la fa se l’aspetti. Ne vedremo delle belle, in questo paese. E quando le vedremo sarà ora di decidere se, tenendo conto del rapporto costi-benefici, varrà la pena restare nell’Unione europea o meno, sputare sangue per tenere in piedi il Moloch-euro o no.
Intanto di una cosa tutti debbono prendere atto: che l’Italia, già commissariata ad agosto è, dopo questo summit, precipitata a livello di protettorato, scippata del tutto degli ultimi brandelli di sovranità. Una cosa è certa, se Berlusconi ha dovuto chinare la testa davanti all’ultimatum di Francoforte e dell’ asse carolingio (a proposito: siamo sicuri che esso sopravviverà a lungo?), i suoi avversari di centro-sinistra, sotto l’egida di Napolitano se , si sono dimostrati dei veri e propri lacché. Criticano il Cavaliere, ma solo perché non è sufficientemente “credibile”, ovvero non abbastanza supino ai ricatti dei virtuosi-strozzini, perchénon ubbidisce come un servo ai padroni franco-tedeschi.
Col che abbiamo una conferma che non dall’interno del sistema verrà chi salverà questo paese, ma solo dall’esterno. Un profeta? Noi la chiamiamo sollevazione popolare, se poi la Provvidenza ci assiste, può pure darsi che essa sarà annunciata da un Giovanni Battista.