Ritratto della borghesia italiana

Si osservi con attenzione la figura qui accanto. Balza agli occhi che Berlusconi è caduto per la seconda volta sullo spread. Salito al potere il 10 maggio del 1994 egli si dimise il 17 gennaio 1995. In sette mesi lo spread col bund tedesco sfiorò quasi il raddoppio. Non vogliamo stabilire una relazione meccanica causa-effetto.

Di sicuro il Cavaliere non cadde solo sotto l’attacco della procura di Milano, ma per l’offensiva congiunta coi cosiddetti “mercati” finanziari internazionali. Lo stesso spartito si è ripetuto in questi mesi del 2011.

Una seconda cosa è evidente, che non c’è alcuna relazione causale tra aumento dello spread e crescita del debito pubblico. Lo spread col bund tedesco è solo un indicatore, uno dei fattori che spinge all’insù la curva del debito, importante perché codetermina il cosiddetto “servizio sul debito”, ovvero gli interessi che il debitore paga sul denaro anticipato in cambio di titoli di stato. Codetermina appunto, poiché l’oscillazione del tasso d’interesse non dipende solo dal differenziale col Bund. Si osservi lo spread dal 1995 al 1998: esso è sceso del 600% e passa, ma il debito è calato a sua volta meno del 10%. Mentre dal 1998 al 2011 esso è schizzato del 560%, ma il debito è cresciuto meno del 20%.

Lo spauracchio del default

Lo spread con il Bund tedesco, al pari del default, non è solo uno spaventapasseri, è un piede di porco della finanza predatoria globale, carolingia in primo luogo, a sottolineare che quella europea non solo non è un’unità statuale ma, propriamente, nemmeno un’Unione, solo un mercato comune attorno alla Grande Germania — che Hitler, fallendo, tentò di costituire con gli eserciti e che si è ricostituita sotto mentite spoglie grazie al Mercato comune e all’euro.

Monti ha ricevuto l’incarico, ci dicono, per “evitare il default dell’Italia”. Vero, a patto di dire che questo default danneggerebbe, prima ancora che il popolo lavoratore italiano, i “mercati”, leggi le potenti consorterie del capitalismo-casinò. L’insolvenza sul debito sarebbe per l’Italia il male minore, mentre causerebbe la fine dell’euro, il funerale dell’unione europea e una vera e propria catastrofe per il mondo finanziario globale, quella tricolore compresa. Lo stanno a dimostrare tutti i casi di default a grappolo recenti, da quelli delle tigri asiatiche negli anni ’90, a quelli della Turchia, del Brasile e dell’Argentina. Tutti paesi che anche grazie ai default vedono da anni correre il Pil con percentuali anche più alte della Cina. Per questo la campagna terroristica sulla minaccia di un’insolvenza non è nemmeno negli interessi del capitale industriale italiano, è orchestrata esclusivamente per nome e per conto della rendita finanziaria globale.

Quindi gli squali non demordono, continuano ad attaccare i titoli italiani. Malgrado Monti sia stato presentato in pompa magna come colui che “avrebbe riconsegnato credibilità all’Italia” la borsa di Milano oggi [14 novembre] è crollata del 2% e lo spread risalito a 500 punti. Ancor più preoccupante il dato dell’asta odierna dei Btp a cinque anni.

Scrivevamo il 7 novembre scorso:
«C’è un evento minaccioso alle porte che mette fretta alla letargica e bizantina casta politica italiana: lunedì 14 novembre. Che succede il 14 novembre è presto detto: c’è la prossima asta di titoli di stato. Il Ministero dell’Economia deve collocare una decina di miliardi. Saranno piazzati tutti? E a quale rendimento? Mentre scriviamo siamo già prossimi al 7%, la soglia considerata il limite oltre il quale il default è possibile». [Berlusconi patatrac]
L’evento fatidico è giunto col risultato che sebbene il Ministero dell’economia abbia ridotto, per non sbattere il muso, la quantità di titoli in vendita, e malgrado la richiesta abbia superato l’offerta, gli interessi a cui i titoli sono stati piazzati hanno toccato il picco del 6,20%, un punto in più di un mese fa. Un segnale davvero minaccioso, non solo per Monti, ma per i partiti che recalcitrano e chiedono garanzie prima di dare la fiducia.

Chi scommetteva che gli avrebbero dato una cambiale in bianco evidentemente si sbagliava. La ragione non è che non si fidano del bocconiano, che è un loro uomo paladino liberista. La ragione è che essi non si fidano più di nessuno, nemmeno di se stessi, per la semplice ragione che la crisi non è venuta dall’Italia, che essa investe i fondamentali delle economie occidentali. Per la semplice ragione che la questione decisiva non sono nemmeno i debiti pubblici in quanto tali, ma il fatto che siamo entrati in una nuova recessione e, come la storia insegna, in recessione si produce meno ricchezza, i tributi riscossi scendono e gli stati indebitati rischiano comunque di andare in default e il sistema bancario in bancarotta.

Quello che al massimo può fare Monti metterci una toppa, facendo si che non sia peggio del buco. E, come urlato da Il Sole 24 Ore, deve fare presto. E poi, si dirà Monti tra sé e sé, che Dio me la mandi buona.

Perché Monti non ce la farà

Abbiamo detto che il disegno-Monti è ambizioso: è non solo economico, ma sociale, politico e istituzionale. Non si tratta solo di sistemare i conti dello Stato. Le forze potenti che lo sorreggono chiedono una vera e propria rifondazione del sistema-Italia, ovvero: smantellamento dello stato sociale, deregolamentazione del mercato del lavoro, scardinamento delle corporazioni e del clientelismo, della corruzione e del malaffare imperanti nella cosa pubblica, un sistema bipolare snello, più poteri all’esecutivo, uno svuotamento delle assemblee elettive, una legnata alla casta politica. In estrema sintesi un liberismo forte a scoppio ritardato, un’accelerazione dell’americanizzazione del paese, forse con qualche contrappeso alla tedesca. Questo, in soldoni, il disegno-Monti.

Non ce la faranno perché devono vincere ostacoli e difficoltà insormontabili. Si dice che i greci non diventeranno mai tedeschi. Figuriamoci se gli italiani diventeranno anglosassoni. Un incubo che è un sogno solo per ristrettissime élite. I popoli non sono come bastoni storti raddrizzabili da qualche avanguardia liberale di tecnocrati. Questo è tanto più vero dopo  il periodo berlusconiano, che ha saputo diventare egemone nel paese proprio grazie a questa sua capacità di rappresentare quello che, nel bene e nel male, costituisce l’anomalia sociale e antropologica italiana.

Ma v’è un’altro ostacolo, ben meno metapolitico, che Monti ha davanti a se e su cui cadrà. Si chiama borghesia italiana. Una borghesia che altri definirono stracciona, per descrivere i suoi tratti costitutivi clientelari, nepotistici, truffaldini. Una classe che non ha mai saputo davvero diventare egemone, se non attraverso l’ausilio di forze esterne a sé. Che non ha mai saputo incarnare, pur alla maniera liberale, il bene comune. Che mai si è fatta Principe della nazione. Una classe che non solo non ha mai esitato a schiacciare le classi proletarie nei momenti cruciali, ma che ha sempre furbescamente fregato lo Stato stesso che la proteggeva. En passant: di qui, anche il mostro del debito pubblico. La famigerata piccola borghesia gli è corsa meschinamente sempre appresso, a fare da truppa cammellata. Berlusconi se ne va ma il berlusconismo resta: non è peccato rubare, arraffare, far man bassa, l’importante è non essere colti con le mani nel sacco!
Una classe infame, politicamente miserabile, vigliacca.

Monti annuncia che la sua politica sarà equa. E’ una balla. Per rientrare dal debito pubblico, per abbassarlo dal 120 al 70-80% del Pil, occorrono qualcosa come 300-400 miliardi nell’arco di cinque anni. I minuscoli (non egemoni) settori “illuminati” del capitale dicono che ci vuole una patrimoniale severa, essi sanno che la povera gente, già depauperata dai governi della seconda repubblica, ha ben poco oramai da dare.

E’ qui che Monti si gioca tutto. Noi scommettiamo che non solo non ci riuscirà, che non ci proverà nemmeno, perché sa di doversi scontrare con la borghesia in questione, che considera una tale patrimoniale alla stregua di un esproprio bolscevico. Una borghesia che vuole le nozze coi fichi secchi, ovvero che a pagare i debiti con cui essa si è ingrassata sia la povera gente.

Infatti che voci circolano in queste ore?

Che Monti metterà mano alle pensioni — facciamo notare che allungare di cinque anni la vita lavorativa di un salariato che andrebbe in pensione con 1500€ mensili, equivale e rubargli, oltre che un diritto all’ozio, 150mila€! Questa si che è una patrimoniale di classe — farà una “patrimoniale leggera”, e in questa rientrerà il balzello antipopolare dell’Ici. Molti italiani dovranno così pagare l’affitto della casa di loro proprietà, ad altri che ancora pagano il mutuo verrà sottratta dalle banche o da Equitalia.

Una patrimoniale sui poveri insomma, una nuova tassa sul grano. Senza considerare ciò che al popolo lavoratore verrà tolto coi tagli allo stato sociale e la privazione dei diritti democratici.

La coperta è corta. Per non mettere le mani nelle tasche dei ricchi, appeso ai voti dei rappresentanti politici di una classe infame, Monti dovrà dunque colpire di brutto il popolo lavoratore. Per evitare la rivolta populista della borghesia, rischia di aprire la strada alla sollevazione popolare e proletaria.
Che sia la benvenuta!