Le lacrime della signora Fornero

La domanda fondamentale: la giunta dei tecnocrati sa dove sta andando o sono completamente fuori controllo?

1. Domenica 4 dicembre 2011 gli italiani hanno assistito in diretta televisiva alla somatizzazione della crisi capitalistica nella forma del pianto della signora Fornero, membro della giunta tecnocratica di Monti. L’indomani, all’interno della recita giornalistica, i commentatori si sono divisi fra chi ha detto che la signora torinese avrebbe dovuto controllarsi e chi invece l’ha lodata per la sua “umanità” (anche i tecnocrati hanno un cuore!).

Più avanti, interpreterò questo pianto come un sintomo non solo psicologico, ma anche storico e politico. Questa giunta di tecnocrati, rappresentativa dell’evoluzione post-comunista del ceto intellettuale universitario, è in preda ad una contraddizione dialettica (ove la dialettica è sempre una compresenza di opposti in correlazione essenziale). Da un lato, ritengono soggettivamente di sapere che cosa vogliono, e cioè un rilancio dello sviluppo attraverso la completa liberalizzazione e privatizzazione del modello capitalistico. Dall’altro, sono oggettivamente prigionieri di un meccanismo riproduttivo completamente fuori controllo, anche se probabilmente non lo sanno, pieni di spocchia neoliberale e weberiana.
Ma prima, due segnalazioni prese in “rete”.

2. Mentre qui siamo ancora in preda alle simulazioni Destra/Sinistra, altrove gli studiosi hanno proceduto nello studio della riproduzione dei “fondamentali” del meccanismo capitalistico. Si legga l’ottimo saggio di James Petras (datato 28/11/2011), pubblicato su Global Research e tradotto da. www.resistenze.org. Petras studia i meccanismi di decomposizione delle democrazie e la gestione direttamente tecnocratica della riproduzione oligarchica. Chi scrive ha già dedicato uno studio sui meccanismo oligarchici (C. Preve, Il popolo al potere). In Italia questa discussione è resa difficile, ed anzi quasi impossibile, dal clima intellettuale creatosi dalla dissoluzione metamorfica del vecchio bestione-PCI e dal riciclaggio dei suoi intellettuali “organici”, ed anche dalla egemonia dei gruppi intellettuali di origine azionista-operaista, sacerdoti della dicotomia sacralizzata Destra/Sinistra e del sacerdozio eterno dell’antifascismo in palese assenza di fascismo. Petras, sia pure con alcune contraddizioni del tutto secondarie, va invece al cuore dei meccanismi tecnocratici sviluppatisi negli ultimi anni. Leggere per credere.

3. Al sindacalista Cremaschi, che parlava di “fascismo” riferito alla Fiat ed a Marchionne (cfr. Liberazione, 27/11/2011), il pensionato torinese Cesare Allara ha risposto con un modello di chiarezza e di razionalità dialogica che farebbe invidiare Habermas, se quest’ultimo prendesse sul serio la sua stessa teoria dell’agire comunicativo. Allara, vecchio quadro militante dell’autunno caldo 1969-71, scrive: «A ben vedere l’antiberlusconismo liberistico/giustizialistico/moralistico è stato assai più devastante dello stesso berlusconismo. La gioia dell’intellettuale di regime Marco Revelli (un bobbiano di sinistra che copre le spalle al bobbiano di destra Zagrebelsky, nota mia CP), scritta e orale, in occasione della sostituzione di Berlusconi con Monti è il migliore esempio di questa devastazione culturale».

Se la categoria di “fascismo” è la sola categoria politica rimasta in comune sia ai sofisticati intellettuali universitari post-marxisti e weberiani sia alle plebi invidiose disoccupate si crea una situazione kafkiana, simile a quella di una medicina che conosce una sola patologia, la “peste”. Malattia agli occhi? Peste retinica. Malattia alla prostata? Peste prostatica. Malattia al cuore? Peste cardiaca. Eccetera.

Naturalmente, c’è una logica in questa follia. La prosecuzione (fra poco settantennale) dell’antifascismo in assenza manifesta di fascismo ha rappresentato (e rappresenta) il minimo comun denominatore di correnti disparate, il comunismo (l’antifascismo è più prestabile della dittatura del proletariato e del dispotismo staliniano), l’azionismo (il fascismo rivelazione dei difetti atavici degli italiani, popolo delle scimmie corrotto dai gesuiti), ed infine l’americanismo (no ai dittatori, non importa se rossi o neri). È evidente che una simile risorsa ideologica, per di più gratuita, non poteva essere abbandonata, e doveva essere spremuta come un limone fino all’ultima goccia. È del tutto chiaro che chi avesse osato contestarla poteva aspettarsi accuse di antisemitismo (ma come, non ti unisci anche tu alla nuova religione laica della Shoah?) e di rosso-brunismo, eccetera. Potrei fare i nomi di alcuni ridicoli personaggi che al posto del cervello hanno solo un veleno di scorpioni, ma è inutile annoiare il lettore con un gossip personalizzato.

E mentre il circuito intellettuale politicamente corretto ci deliziava con l’antiberlusconismo, con i vizi atavici degli italiani, con la sacralità tolemaica e geocentrica della dicotomia Destra/Sinistra e con l’eterno antifascismo in assenza di fascismo arrivava la giunta tecnocratica Monti.
Costoro sanno cosa vogliono o sono completamente fuori controllo? Questa è la sola domanda da porsi, non certo se siano peggio o meglio del Cavaliere o se siano di destra o di sinistra. Vediamo.

4. La giunta tecnocratica di Monti è composta di intellettuali universitari. Gli intellettuali devono essere considerati non come un insieme statistico di persone che usano il loro “intelletto” (se così fosse, sarebbe evidente che sono fra i gruppi che lo usano di meno, certamente di meno delle casalinghe e dei tassisti), ma come un gruppo sociale, da esaminare con i metodi della storia, della sociologia e dell’economia. Rimando qui a soli quattro fattori di comprensione:

(I). Gli intellettuali sono un moderno clero, incaricato della mediazione simbolica fra dominanti e dominati. Mentre al tempo del feudalesimo e della società signorile questo clero era composto da preti e religiosi, in quanto la legittimazione della struttura classista della società aveva un carattere religioso-trascendente, oggi la legittimazione classista ha un carattere storico-immanente, e viene gestita da un linguaggio economico, storico e sociologico (cfr. Costanzo Preve, Il ritorno del clero).   

(II). A partire dal settecento, gli intellettuali illuministi, e poi romantici, ed infine marxisti (essendo il marxismo storico un positivismo per poveri fondato sulla ideologia del progresso, meno esistente ancora del paradiso del testimoni di Geova) si pensarono come legislatori ideali, mentre oggi vengono interpellati dai dominanti solo come esperti (cfr. Z. Bauman, La decadenza degli intellettuali).     

(III). Secondo la definizione di Bourdieu, che faccio integralmente mia, gli intellettuali come gruppo sociale sono un gruppo dominato della classe dominante. Sono parte della classe dominante, perché dispongono di un “capitale intellettuale” da vendere sul mercato. Sono un gruppo dominato, perché sono subordinati al comando del vero gruppo dominante della classe dominante, i capitalisti finanziari.

(IV). Secondo le analisi dei due sociologi francesi Boltanski e Chiapello, la “sinistra” storicamente concepita si è costituita fra il 1870 ed il 1968 circa sulla base di una alleanza fra una critica sociale e politica alle ingiustizie del capitalismo, di cui era titolare la classe operaia, salariata e proletaria ed una critica artistico-culturale alle ipocrisie del costume borghese, di cui erano titolari gli intellettuali contestatori-avanguardisti. Dal Sessantotto in poi questa alleanza è finita, perché il capitalismo, diventando post-borghese e post-proletario, ha liberalizzato integralmente i suoi costumi. Il proletariato, vecchio e nuovo, è rimasto senza intellettuali, che sono passati tutti dall’altra parte, e per di più viene continuamente colpevolizzato per essere di “destra”, populista, razzista, leghista, politicamente scorretto, eccetera.

5. Già. Politicamente scorretto. Il ceto intellettuale universitario è oggi nella sua grande maggioranza caratterizzato da un profilo che potremo definire Politicamente Corretto (rivendico di averne fatto da tempo oggetto di studio analitico). Il Politicamente Corretto è uno stadio di una lunga metamorfosi dialettica di illusioni e di delusioni. Filosoficamente è caratterizzato dal laicismo, dal relativismo e dal nichilismo, con preferenza verso Max Weber (il nuovo papa intellettuale che ha spodestato Hegel e Marx). Politicamente è di centro-sinistra, antifascista in assenza di fascismo, multiculturalista, ha sostituito la vecchia lingua francese con la nuova lingua inglese (e quindi l’esistenzialismo con l’empirismo e con lo scetticismo, molto british), è contro il totalitarismo (e dunque con Hannah Arendt, politicamente molto corretta perché ebrea e donna), ed è convertito al neoliberismo, ai diritti umani ed all’interventismo umanitario con bombardamenti NATO incorporati.
Sulla base di studi storici durati da più di mezzo secolo vi prego di credermi: si tratta di uno dei profili intellettuali più orrendi di tutta la storia universale comparata.

6. Una volta inquadrata la natura sociologica della giunta Monti possiamo passare ad una sua analisi storico-filosofica. E l’analisi storico-filosofica non può basarsi sulla morale dell’intenzione di Kant e sulla avalutatività di Max Weber, articolo di fede per intellettuali universitari. Dovrà basarsi sul metodo dialettico di Vico (l’eterogenesi dei fini), di Hegel (il percorso fenomenologico delle forme contraddittorie di coscienza soggettiva) ed infine di Marx (l’analisi delle forme di falsa coscienza necessaria agli agenti storici). Combinando insieme i metodi di Vico, Hegel e Marx, ed applicandoli alla giunta tecnocratica di Monti (si ricordi il rimando a James Petras), risulta il seguente modello:

(I). Soggettivamente, è chiaro che costoro sanno che cosa vogliono: un rilancio della crescita sulla base dell’adozione integrale di un modello anglosassone di capitalismo, concorrenza sfrenata e liberalizzazione integrale. In poche parole, non solo la fine di un secolo di riformismo socialdemocratico, ma anche la fine di un modello europeo di capitalismo. Questo non potrebbe avvenire in Italia senza la mediazione attiva dei rinnegati nichilisti del vecchio PCI (di cui si ricordino il bombardatore del Kosovo D’Alema e della Libia Napolitano, il “comunista” preferito da Kissinger), la feccia sociologica peggiore sedimentata dalla storia italiana.

(II). Oggettivamente, quello che costoro soggettivamente vogliono non potrà mai essere fatto, perché il meccanismo capitalistico globalizzato e finanziarizzato è diventato fuori controllo. I greci sapevano già bene che non si può giocare con l’illimitato (apeiron). Essi chiedono sacrifici per poter incrementare ulteriormente il meccanismo impazzito di questa riproduzione fuori controllo, non più limitata da fattori esterni (sostanzialmente due: modi di produzione precapitalistici e comunismo storico novecentesco). Essi chiedono sacrifici in nome della “ripresa dello sviluppo” (soggettivamente) per portarci verso il baratro (oggettivamente).

Faccio ammenda per aver scritto un intervento errato (cfr. Il tempo della vaselina). Non vaselina, ma lacrime e sangue. Costoro sono pericolosissimi, e non considero purtroppo opposizione i satelliti del PD Ferrero e Diliberto. Di Vendola e Grillo non parlo neppure, in base al comune senso del pudore.

7. Ed ora il pianto della signora Fornero. Lo valuto positivamente. Nella stessa mattina, questo esempio di animale universitario si era distinto in politicamente corretto, umiliando un gruppo di giovinastri aspiranti politicanti perché senza “donne” (intendo, donne in quanto donne, secondo il conformismo femminista di genere). Mi ero detto: tipico comportamento universitario politicamente corretto. E poi è scoppiata in lacrime. Monti e Draghi, serpenti british senza anima, non lo avrebbero fatto mai. Se il complesso di colpa si intrufola nel gruppo sociale più osceno della storia umana, forse non tutto è ancora perduto. Almeno speriamo.