«Un monito per tutti i paesi europei»
Il primo gennaio entrerà in vigore in Ungheria la nuova costituzione, approvata nell’aprile scorso, con 262 voti a favore e 44 contrari. A favore hanno votato il partito Fidesz e i democristiani, contro Jobbik. I socialdemocratici, che sono stati al governo per anni, seguendo servilmente le politiche imposte dalla Bce e dall’oligarchia europea, hanno invece boicottato il voto, denunciando la nuova costituzione come profondamente antidemocratica.
Il che è assolutamente vero.
Essa accontenta Bruxelles e Francoforte, stabilendo come regola costituzionale che il debito pubblico deve restare al di sotto del 50% del Pil, ma per quanto concerne i principi e le regole fondamentali la nuova costituzione è reazionaria su tutta la linea e avrebbe fatto invidia, tanto per dire, alla Spagna franchista. Già nel suo preambolo la nuova costituzione si aggancia alla tradizione monarchica ovvero all’antica “sacra corona”, a Dio e al cristianesimo come religione di Stato. La nuova Costituzione tira poi in ballo, suscitando le proteste di Slovacchia, Serbia e Romania, l’orizzonte Grande Ungheria.
Il risultato è un miscuglio di liberismo, nazionalismo revanchista e di fondamentalismo cristianista.
Sul piano dei diritti democratici, la svolta reazionaria è ancora più profonda, al punto che contro la nuova Costituzione si sono levati mugugni sia dall’Unione europea che dalla Casa Bianca.
A ragione i socialdemocratici ungheresi affermano che la nuova Costituzione viola i principi su cui l’Unione europea è stata fondata. La protesta dei socialdemocratici ungheresi è in effetti stata raccolta da diverse forze del Parlamento di Strasburgo le quali non escludono di chiedere ufficialmente l’esclusione dell’Ungheria dalla Ue.
E’ significativo, in queste circostanze, il silenzio della Commissione europea di Bruxelles.
Quest’ultima, sempre pronta a mettere il naso nelle politiche di bilancio degli Stati o a installare al governo suoi fiduciari, come Monti o Papademos, lascia correre, tace sul vero e proprio golpe bianco della maggioranza parlamentare di Budapest che di fatto trasforma l’Ungheria in un una semi-dittatura reazionaria nel cuore stesso dell’Europa.
L’Ungheria è un monito per tutti i paesi europei. Indica quale sbocco può produrre la gravissima crisi economica e sociale e il collasso dell’euro e dell’Unione europea. La schiacciante vittoria elettorale della destra reazionaria di Fidesz è infatti il risultato di tre fattori: la crisi economica e sociale, la grande disillusione verso il progetto europeista e, terzo, il fatto che la sinistra socialdemocratica è considerata a livello popolare come responsabile del disastro sociale e una servile agenzia dei poteri sovranazionali europei.
In questo caso è interessante notare che Jobbik (vedi Capire il nuovo populismo) ha votato contro la nuova Costituzione. Chi, prigioniero della sindrome antifascista, vedeva in questo movimento il nemico fondamentale, non si avvedeva che il pericolo vero veniva sì da destra, ma dalla destra populista costituzionale e in doppio petto.
In questo senso l’Ungheria può essere considerata un laboratorio in cui le classi dominanti sperimentano le possibili vie d’uscita alla crisi sistemica. Ciò che accade in Ungheria riguarda dunque anche l’Italia.
Il fallimento certo della cura Monti, potrebbe produrre una svolta a destra delle masse, una svolta che potrebbe essere intercettata politicamente da ciò che il blocco sociale leghista-berlusconiano tiene in grembo.
Questa minaccia va sventata, ma può essere sventata solo a patto che la sinistra sappia generare dal suo seno una nuova forza politica rivoluzionaria che parli alla maggioranza del popolo e che sappia indicare un’alternativa complessiva al crollo dell’euro e dell’Unione europea, che sappia tenere assieme sovranità e giustizia sociale, democrazia e indipendenza, il tutto nell’orizzonte di una fuoriuscita socialista dal marasma capitalistico.