La Grecia si è arresa, i greci no

La Grecia piange, le Borse sorridono. E’ questa la fotografia del «giorno dopo». Ma c’è un altro modo di guardare agli eventi di ieri: se la Grecia si è arresa, i greci no. Le fiamme di Atene non hanno fermato il voto parlamentare, ma hanno reso evidenti le condizioni in cui è avvenuto. Un voto contro il volere del popolo greco, un voto che annulla ogni parvenza di sovranità nazionale, la morte manifesta della democrazia parlamentare.

Gli stessi reportage della grande stampa, tutta invariabilmente europeista, non hanno potuto negare né la portata né la natura della manifestazione di ieri ad Atene. Un corteo gigantesco, popolare e combattivo, l’esatto contrario del solito cliché della «manifestazione pacifica, guastata da pochi “facinorosi”», meglio se etichettabili come black bloc. Salvo rare eccezioni, anche i media hanno dovuto riconoscere la polarizzazione che si sta determinando. Da un lato il governo insediato dal «golpe europeo» di novembre e la sua scricchiolante maggioranza, dall’altro la gran parte dei lavoratori e del popolo greco.

E’ un fatto, riportato ampiamente dalle cronache, che i giovani che ieri si sono battuti contro la polizia hanno avuto il plauso degli altri manifestanti. E se molte restano le divisioni e le incertezze politiche nel campo dell’opposizione, cresce invece la sintonia tra i diversi segmenti della società greca che non intendono piegarsi al diktat europeo.

C’è un fatto simbolico che tratteggia la situazione meglio di mille discorsi. Tra le vittime dei lacrimogeni di ieri c’è anche Manolis Glezos, un combattivo novantenne che il 30 maggio del 1941 si arrampicò sull’Acropoli per strappare la bandiera nazista che vi sventolava dall’invasione dell’aprile di quell’anno. Per ironia della sorte Glezos, che è stato ricoverato in ospedale, è anche il presidente del Consiglio Nazionale per le Riparazioni dell’Occupazione Tedesca.

Riparazioni che non ci sono mai state. Ci ricorda il perché un articolo del Telegraph. Al fine di dare ossigeno all’economia tedesca, nel quadro della Guerra Fredda, la Germania venne salvata dai creditori di allora. «Nel 1953 Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Francia, Grecia e gli altri firmatari del London Debt Agreement garantirono al Cancelliere Konrad Adenauer una riduzione del 50% su tutto il debito tedesco, che corrispondeva al 70% di alleggerimento per le scadenze lontane. Ci fu una moratoria quinquennale per i pagamenti degli interessi» (dal Telegraph del 13 febbraio, tradotto da comedonchisciotte.org). Per i greci questo accordo significò la rinuncia al pagamento dei danni di guerra.

Oggi, a parti rovesciate, i killer europei (tedeschi in testa), non hanno invece avuto dubbi sul da farsi. Si affami la Grecia, la si metta in ginocchio per anni, forse decenni, quel che conta è garantire gli interessi delle banche e degli aguzzini della finanza predatoria mondiale.

Che gli uomini dell’UE (e del FMI) siano ormai percepiti come invasori della peggior specie ce lo dice il comunicato di un sindacato di polizia che è arrivato a chiedere l’arresto degli emissari della troika. Il governo Papademos, il Monti greco, dovrebbe andarsene (il condizionale è d’obbligo in questi casi) ad aprile, per lasciare spazio alle elezioni politiche anticipate. Del resto, il voto di ieri ha mostrato una consistente erosione della stessa maggioranza parlamentare. Non solo l’estrema destra del Laos è passata all’opposizione, tra le stesse file della maggioranza bipartisan Pasok-Nuova Democrazia i voti contrari sono stati 43, nonostante la certezza dell’espulsione immediata dai rispettivi partiti, espulsione puntualmente decretata subito dopo il voto.

Lo sbandamento nel campo delle classi dominanti è evidente. L’insopportabilità della situazione per le classi popolari pure. Le misure approvate ieri sono pesantissime, basti ricordare il taglio dei salari minimi e il licenziamento di 150mila dipendenti pubblici entro il 2015, ma esse sono solo le ultime in ordine di tempo. I capitoli di questo attacco selvaggio al popolo lavoratore sono noti – pensioni, sanità, scuola, aumento dell’IVA e delle tasse sulla casa, tagli salariali a ripetizione, liberalizzazioni e privatizzazioni -, un elenco certo non dissimile a quello di casa nostra, ma applicato ad una situazione economica e sociale assai più fragile.

I dati sulla recessione greca parlano da soli. E’ dal 2008 che il Pil è in diminuzione. Meno 2,04% nel 2009, -4,47% nel 2010, -6% nel 2011. Una progressione che ha tagliato 35 miliardi di ricchezza prodotta su un Pil che oggi vale circa 230 miliardi, il che significa una contrazione complessiva dell’economia di oltre il 13%. E per il 2012 si prevede un ulteriore (e ottimistico) -3%…

Che speranza ha un Paese in queste condizioni? Nessuna. I killer europei lo sanno, ma il loro scopo non è «salvare» la Grecia, bensì succhiargli ogni euro derivante dagli interessi da usura che gli sono stati imposti. Almeno finché sarà possibile. Gli strozzini non si nascondono infatti che, prima o poi (e più prima che poi), la Grecia dovrà dichiarare un default ben più pesante di quello «concordato» ed in via di definizione. E sanno anche che la Grecia dovrà uscire dall’euro, dato che una moneta sopravvalutata del 33%, in base ai dati del FMI, non lascia scampo alcuno.

Se la prima cosa da fare è opporsi agli strozzini, la seconda dovrà essere dunque l’uscita dall’euro e dall’UE. Un’uscita non subita, ma decisa consapevolmente nell’interesse del popolo greco. Che la lotta in corso possa sfociare in un’autentica sollevazione, in grado di rovesciare l’attuale potere politico, dipende anche da questo. Solo un solido programma d’emergenza, ed una direzione politica determinata a realizzarlo, possono trasformare la rabbia popolare in una sollevazione per l’alternativa.

Questa è oggi la vera posta in gioco. E non sarà difficile per il lettore trovare tante analogie con la situazione italiana. Non a caso gli esorcisti nostrani (a partire dal golpista Napolitano) recitano il mantra dell’Italia «che non è la Grecia». Certo che non lo è, altro non fosse che per il diverso livello della ricchezza nazionale, per quanto disegualmente distribuita. Ma oltre alle differenze bisogna guardare anche alle similitudini.

Esse vanno dall’elevato livello del debito, alla stringente spirale recessiva; dalla medesima insostenibilità dell’euro, al comune degrado della classe dirigente (non solo quella politica). E, non dimentichiamolo, Grecia ed Italia sono due Paesi commissariati. Non sarà un caso se Monti e Papademos sono stati insediati negli stessi giorni dalle oligarchie finanziarie europee e d’oltreoceano. Monti riuscirà laddove Papademos ha fallito? Oppure i due altro non sono che dei modesti curatori fallimentari? Lo vedremo tra qualche mese, ma intanto è necessario prepararsi alla lotta. Ed in questo speriamo di essere simili ai greci.