Pare che la signora Merkel abbia chiesto alla Grecia di abbinare alle nuove elezioni del 17 giugno un referendum sull’euro. Il «suggerimento» è stato poi rapidamente smentito. Troppo pesante da digerire anche per gli yes men di Nuova Democrazia e del Pasok. Del resto, una sorta di referendum vi sarà comunque, visto che quello di giugno sarà in primo luogo un voto sull’Europa e sull’euro.
E’ questa una prospettiva che spaventa buona parte di Syriza, la coalizione arrivata seconda alle elezioni del 6 maggio e che oggi molti sondaggi (non tutti) danno al primo posto. Un primo posto che in Grecia vale un premio di maggioranza di 50 parlamentari su 300, pari al 16,6%, roba da far impallidire la legge Scelba e l’attuale Porcellum.
Per incassare il premio Syriza ha bisogno di trasformarsi almeno formalmente in partito, visto che esso non è riconosciuto alle coalizioni. Ma, soprattutto, la formazione guidata da Alexis Tsipras dovrà sorpassare Nuova Democrazia (ND), ora intenta a risucchiare i voti delle altre formazioni di destra.
Se il voto degli inizi di maggio ha infatti visto il sorpasso in discesa di ND nei confronti del Pasok, le elezioni di metà giugno vedranno probabilmente il riaffiorare di una specie di mini-bipolarismo, questa volta con Syriza nel ruolo per decenni rappresentato dal Pasok.
Soffermiamoci allora sui dati del 6 maggio, che hanno letteralmente terremotato la scena politica greca, rendendo impossibile la formazione di un nuovo governo ed obbligando alla ripetizione del voto a soli quaranta giorni di distanza. Per un’analisi più dettagliata di quei dati, rimandiamo all’articolo pubblicato l’11 maggio scorso. Qui vogliamo sottolineare solo 3 elementi: il crollo dei partiti «europeisti» che sostenevano il governo Papademos, il tonfo incredibile subito dal sistema bipolare, la spettacolare avanzata di una sinistra variegata ma unita nel no al Memorandum imposto dall’Unione Europea.
ND è diventata il primo partito, pur scendendo dai 2.295.719 voti (33,5%) del 2009 a 1.192.054 (18,9%). Ciò è dipeso dal tracollo ancora più consistente del Pasok, che è passato dai 3.012.542 voti (44,0%) del 2009 agli attuali 833.529 (13,2%). Insieme, i due partiti che hanno sottoscritto il Memorandum e le misure draconiane che ne sono seguite, hanno perso il 61,8% dei voti che avevano in precedenza, ottenendo – sempre insieme – una percentuale del 32,1%. E’ evidente che questi risultati segnano anche la fine di un bipolarismo (ma sarebbe più corretto dire di un bipartitismo) che ha dominato la scena per decenni. E’ in questo quadro, di crisi delle tradizionali forze di governo e della strutturazione politica che ne determinava l’alternanza al potere, che si è registrato il complessivo avanzamento delle forze di sinistra.
L’avanzata è stata determinata soprattutto dal successo di Syriza, che è passata dai 315.665 voti di tre anni fa (4,6%) a ben 1.061.265 (16,8%), mentre il KKE, pur con una posizione più netta contro l’Unione Europea e l’euro, è cresciuto assai meno, passando comunque da 517.249 voti (7,5%) a 536.072 (8,5%). Da considerare anche il risultato di Sinistra Democratica – formazione nata da una scissione di destra di Syriza, aggregatasi con i fuoriusciti dal Pasok in disaccordo sul Memorandum – che ha ottenuto 386.116 voti (6,1%). Se sommiamo a queste tre formazioni i voti ottenuti dalle liste dell’estrema sinistra (tra le quali il blocco della sinistra anticapitalista Antarsya ha ottenuto l’1,2%), abbiamo che il 33% dei greci ha dato un voto anti-Memorandum di sinistra, dimostrando così che non è affatto detto che la crisi porti sempre ad esiti di destra.
Queste considerazioni ci mostrano quanto rapidamente possa mutare la situazione, anche nel paludoso terreno elettorale, quando il gioco imposto dalla crisi inizia a farsi veramente duro. Ma i dati del 6 maggio sono solo un’istantanea di questa evoluzione, che troverà probabilmente un suo punto di svolta nelle elezioni del 17 giugno.
Cosa è veramente in gioco
Sul manifesto del 18 maggio, Argiris Panagopoulos così sintetizza il modo in cui i due principali partiti cercano di impostare le rispettive campagne elettorali: «Un referendum sull’euro e una buona dose di vecchio anticomunismo. E’ questa la ricetta con la quale i partiti pro-Memorandum provano a scongiurare la vittoria di Syriza e la formazione di un governo di sinistra. Il leader di Syriza, Alexis Tsipras, insiste invece che nelle urne i cittadini dovranno rispondere a un’altra, semplice domanda: cambiamento o Memorandum?».
In apparenza solo tattica elettorale, ma così non è. Se per ND il richiamo della foresta al compattamento, reazionario ed anticomunista, ha in primo luogo l’obiettivo di recuperare i voti di formazioni nate da altrettante scissioni dal partito oggi guidato da Antonis Samaras (Alleanza Democratica, LAOS e Greci Indipendenti), a sinistra le cose sono assai più complesse. Cosa accadrebbe, infatti, se Syriza riuscisse a vincere ed a formare un governo anti-Memorandum?
A questa domanda non c’è ancora una risposta. Syriza – a differenza degli omologhi italiani della Fds – ha un credito prezioso che gli deriva dal non aver collaborato con la sinistra sistemica, rappresentata dal Pasok. Una posizione mantenuta anche nelle consultazioni per la formazione del nuovo governo, seguite al voto del 6 maggio. Questo credito potrà forse essere decisivo per vincere le elezioni, ma ancora non ci dice molto sul programma di un eventuale governo di sinistra. Il no al Memorandum, unito al sì ad un’Europa da «riformare», non è infatti molto convincente.
E’ presto per capire come andranno davvero le cose a giugno. Negli ultimi giorni sono spuntati alcuni sondaggi che danno di nuovo in testa ND. L’ultimo, realizzato per Alpha Tv, gli dà il 26,1% contro il 23,7% di Syriza. Vedremo. In termini generali, visto da uno qualunque dei paesi dell’Unione, il nuovo voto greco suonerà come un giudizio pro o contro l’UE. Certo, in primo luogo pro o contro la sua politica ed i suoi diktat, ma in definitiva un giudizio sulla natura e sulle prospettive future dell’Unione.
A questo dato di fatto non si sfugge. Se i partiti filo-UE riusciranno alla fine a prevalere ben poco cambierà. La crisi, aggravata dalle pesanti misure recessive ed antisociali, continuerà a mietere le sue vittime (in un anno il reddito medio dei greci si è ridotto del 25%!), senza peraltro rendere realistica una permanenza nell’eurozona. E’ ormai opinione diffusa tra gli economisti che per l’uscita della Grecia dall’euro la questione non è più il se, ma semmai il quando e il come.
Se invece un governo di sinistra anti-Memorandum vedrà alla fine la luce certe risposte non potranno più essere rimandate. Non siamo tra coloro che pensano che l’Unione Europea sia in qualche modo riformabile. E’ questa invece la prospettiva a cui sembra guardare Syriza, quanto meno una sua parte consistente, che ritiene che una svolta negli indirizzi europei possa partire proprio dalla Grecia. Da qui la tentazione di una rinegoziazione del Memorandum che in realtà non sembra avere molti spazi.
Giunti dove siamo giunti la Grecia ha solo una possibilità per fermare il massacro sociale in atto: azzerare il proprio debito pubblico, cancellando in primo luogo proprio quello contratto con i prestiti europei. Una prospettiva che certo non entusiasmerà nessuna capitale dell’Unione, e pur tuttavia l’unica che darebbe il segno di una vera svolta, la sola efficace per fermare la spirale recessiva in atto. Quanto sia realistica una simile ipotesi i lettori sono in grado di giudicarlo da soli.
Possiamo forse comprendere che Syriza voglia giocare quest’ultima carta, magari in base alla considerazione che anche per l’UE l’uscita della Grecia rappresenterebbe un bel problema, sia sul piano politico che su quello economico. Ma poi? Cosa accadrebbe dopo il no europeo? Quale altra possibilità vi sarebbe – salvo il cedimento all’UE – se non quella dell’uscita dall’Unione e dall’euro?
Ecco, mentre ci auguriamo un successo delle forze della sinistra greca anti-Memorandum, non possiamo tacere su quanto possa essere pericolosa e controproducente l’attuale rimozione di questa prospettiva che – proprio perché la più probabile – richiederebbe invece un programma e delle proposte precise per un governo popolare, che riconquisti la sovranità nazionale, e che decreti le misure immediate per uscire dalla gabbia costruita dall’UE e dalle oligarchie finanziarie internazionali.
La rimozione dei problemi finisce per disorientare anziché creare coscienza, tanto più in un momento come questo. Le elezioni sono importanti, ma più ancora del voto la vera prova del fuoco sarà rappresentata dalla capacità di offrire risposte radicali, efficaci e concrete al dramma sociale che attanaglia il paese.
Non si vince senza superare questa prova. E nessuna vittoria avrebbe senso senza misurarsi con successo con essa. Hic Rhodus, hic salta!