Disunione europea

Quali conseguenze del flop del vertice di Bruxelles?

Mercoledì 23 maggio sera c’è stato l’ennesimo vertice dell’Unione europea, compresi i dieci paesi che non hanno l’euro — siamo oramai a ben 24 vertici europei dedicati alla crisi dell’euro dall’autunno del 2008!

Al capezzale dei convenuti proprio la moneta unica e le eventuali conseguenze dell’uscita della Grecia dall’eurozona. Tra conferme, smentite e rettifiche è certo che il ritorno dei greci alla dracma è considerato inevitabile, di qui la necessità di approntare “piani d’emergenza” per far fronte allo sconquasso.
«L’Institute of International Finance parla di mille miliardi di dollari di perdite nel caso di un’uscita di Atene». [Vittorio da Rold, Il Sole 24 Ore del 24 maggio 2012]. In barba alle rassicurazioni in senso contrario gli oligarchi europei si preparano quindi al “divorzio consensuale”. I lettori ci perdoneranno se ci citiamo, ma questo esito noi lo davamo per scontato in tempi meno sospetti, quando tutti ci condannavano come “catastrofisti”. [vedi: Bye Bye euro del dicembre 2010]

 Tab. 1. L’andamento della bilancia dei pagamenti italiana. Si esportava (e l’economia cresceva) dopo la svalutazione del 1992. Crollo delle esportazioni, invece, con l’arrivo dell’euro del 1° gennaio 1999.

Che poi lo scotto di una uscita della Grecia consista in 900 miliardi d’euro, questa è un’ottimistica ipotesi di scuola. Fatti i conti, dato che l’esposizione delle banche europee alla Grecia è di circa 100 miliardi di euro, l’ipotesi in questione stima che l’effetto contagio possa consistere in circa 800 miliardi. Un costo simile sarebbe in effetti sopportabile dall’Unione. 

Il guaio è che certe previsioni sono del tutto aleatorie. L’ipotesi in questione, secondo alcuni analisti, calcola al ribasso l’eventuale contagio del default greco. Il contagio potrebbe essere ben più devastante, causando un collasso doppio: veri e propri crack dei sistemi bancari europei, in primis quelli dei Piigs, Spagna e Portogallo anzitutto. Tanto per fare un esempio, lo stesso Istituto di cui sopra calcola che «gli attivi problematici [eufemismo per dire traballanti, Nda] delle banche spagnole si collocano tra i 218 e i 260 miliardi, contro i quali risultano insufficienti le riserve di 190 miliardi che gli istituti di credito avrebbero accantonato. Per Goldman Sachs se ne dovrebbero accantonare altri 84» [Luca Veronese, Ibidem]

Tab. 2. La forbice salari profitti dopo l’arrivo dell’euro

Se ad esempio si diffondesse il panico, ma diciamola meglio, se le grandi banche d’affari e i fondi che detengono titoli di stato spagnoli e obbligazioni delle banche spagnole — l’esposizione delle banche estere solo sul debito pubblico spagnolo è da capogiro: 400 miliardi e passa di euro [dati Bis, Il Sole 24 Ore del 22 maggio 2012]— iniziassero a sbarazzarsene si innescherebbe una spirale che farebbe impallidire la cifra stimata di 900 miliardi. Il contagio, l’effetto a catena, travolgerebbe immediatamente i paesi “meno virtuosi”, Italia compresa. Un terremoto che travolgerebbe l’eurozona e i sogni di gloria basati sulla moneta unica.

Da Bruxelles e Francoforte diffondono messaggi tranquillizzanti, ma in verità essi non sottovalutano affatto, né la fuga dei depositi dalle banche greche [-250 miliardi di euro in due anni; Fonte Der Spiegel], né quella in corso dalla banca spagnola Bankia, la quarta del paese (nata dalla fusione di sette casse di risparmio fallite) malgrado sia stata nazionalizzata.  Cosa ci sia nel mirino della finanza predatoria (quindi di tutto il sistema delle banche d’affari o d’investimento, europee incluse) ce lo dicono gli indici di borsa di Madrid: le banche spagnole hanno subito una polverizzazione dei loro valori di borsa: Santander -22%, -54% Banesto. Il crollo dei valori delle banche, indice infallibile del timore di crack a catena, riguarda ovviamente anche altri paesi, tra cui Portogallo, Italia e Francia.

Si capisce in questa situazione il cosiddetto credit crunch: le banche non solo non si fidano e non si prestano soldi tra loro, ma non hanno trasferito al mercato che percentuali irrisorie dei mille miliardi presi a prestito dalla Bce. E si capisce anche come, in questo marasma, la finanza speculativa, possa non solo fare lauti guadagni, ma essere il dominus. E’ chi dispone di liquidità ingente che determina i flussi dei capitali, quindi l’andamento delle borse nonché il mercato dei debiti sovrani.

L’altro dominus è la Germania, che non recede dalla sua posizione oltranzista per cui i paesi indebitati se la debbono cavare da soli, portando fino in fondo il salasso: azzeramento dei disavanzi pubblici, riduzione del debito sul Pil, malgrado la recessione. 

Al recente vertice la Merkel ha ribadito, semmai ce ne fosse stato bisogno, la sua ferma opposizione alla cosiddetta “mutualizzazione dei debiti sovrani europei”, ovvero agli Eurobond. La ragione è semplice: nell’attuale situazione la Germania, sia lo Stato che le aziende e le banche tedesche, data la corsa all’acquisto dei loro bund (per cui l’interesse offerto è praticamente negativo) possono finanziarsi a costo praticamente zero. Un vantaggio che secondo Berlino viene prima del rischio che, spingendo gli altri paesi in recessione, l’industria tedesca venda meno mercanzia. Alle spalle della moneta unica e dell’unione, la Germania si comporta come uno Stato-nazione egemonista, che considera l’euro la propria moneta sovrana.

Che soluzioni poteva assumere il vertice europeo in questa circostanze? Nessuna. Infatti siamo alle prese con la pura e semplice paralisi. Il peggio deve quindi ancora venire. A meno che… 
A meno che, appunto, la Germania non accetti anche essa una cessione di sovranità, la stessa che ha chiesto e ottenuto dai suoi stati-vassali (tra cui il nostro). La soluzione, per porre fine alla speculazione sui debiti sovrani, sarebbe l’effettiva integrazione politica e fiscale europea, trasformando l’Unione in un effettivo stato unitario, per quanto federale. Questo implica riscrivere i Trattati di Maastricht e gli altri che l’hanno seguito, fino al Fiscal compact appena partorito. Ammesso che si voglia farlo (e la Germania non vuole farlo) ci vorrebbero molti anni. Troppi data la velocità della crisi finanziaria e la profondità della recessione.

Insomma: l’Unione va verso la disgregazione e l’euro verso la fine. Prima del crollo, tuttavia, l’eurocrazia ha a disposizione un’ultima chance. Quale? la Bce potrebbe dare avvio ad una terza misura di tamponamento in tre mosse: portare i tassi di interesse a zero, una terza operazione di finanziamento delle banche (Ltro, Long Term Refinancing Operation), e addirittura acquistare, questa volta direttamente in asta, ingenti quantità di titoli di Stato. Anche questo dipende dalla luce verde tedesca. Staremo a vedere, di sicuro queste misure devono essere adottate in settimane, non in mesi. 

E comunque sia, si tratterà pur sempre di misure tampone, che certo non fermeranno l’apocalisse, poiché quest’ultima ha cause nei fondamentali delle economie capitalistiche occidentali, oramai entrate in una depressione di lungo periodo. C’è tuttavia chi insiste nel bendarsi gli occhi, trastullandosi con l’idea che alla fine la catastrofe sarà evitata (illusione che unisce i più, da Monti alla sinistra “radicale”), che dall’euro non si può ormai tornare indietro, e che l’unione sia condannata a sopravvive. Ma i fatti dimostreranno di avere una testa più dura della loro.