La Ue sostiene la Spagna come la corda l’impiccato

«C’è solo una conclusione da trarre da tutto questo, anche se i costi a breve termine potrebbero essere profondi, la Spagna deve lasciare la moneta unica. La Spagna è dannata se lascia, ma dannata per l’eternità se rimane. La politica dell’Eurozona così com’è non offre alcun plausibile ritorno alla prosperità».

Il governo di Rajoy segue lo spartito: una manovra finanziaria per un ammontare di tagli di 40 miliardi (obbiettivo dichiarato: portare il deficit pubblico al 4,5% nel 2013 dall’8% del 2011) che sarà un salasso micidiale per il popolo lavoratore spagnolo. Recepite in pieno le “raccomandazioni” dell’Unione europea e della Bce. Contro questa cura da cavallo sono in corso in Spagna diverse proteste sociali, degli Indignatos e dei sindacati ufficiali.

Ma i tagli di Rajoy non basteranno. Non c’è solo la spesa pubblica da tenere sotto controllo ma lo spettro del crack bancario. Terrorizzati i “mercati” esigono che Madrid chieda ufficialmente l’aiuto europeo, che entri in pista il fondo salvastati Esm, che siano finalmente sborsati i miliardi promessi a giugno. Si dice che Madrid chiederà 40 miliardi di prestiti alla Ue per ricapitalizzare le banche in bancarotta. Rajoy prende tempo. Per mesi ha promesso che mai la Spagna avrebbe fatto la fine di Grecia, Irlanda e Portogallo.

Le figuracce di Rajoy non si contano. A febbraio dichiarò che le banche spagnole non avevano bisogno di un euro. A giugno confessava che Bankia (la nuova banca nazionalizzata risultato della fusione delle case di risparmio fallite, il tutto fatto coi soldi dei cittadini) necessitava di 19 miliardi. Nei giorni scorsi ha bellamente affermato che il deficit finale di Bankia sarebbe stato di 60 miliardi.

L’eventuale richiesta sarebbe la sua fine politica. Per di più: i 40 miliardi saranno sufficienti? «Per diversi broker sarebbe più esatto parlare di 150 miliardi, pari al 15% del Pil». [Wall street italia]. Una cifra enorme che non è detto sia risolutiva. La prolungata bolla finanziaria ed edilizia spagnola ha contribuito a creare quel mostro che è il suo sistema bancario, che ha dimensioni ciclopiche, il 340% del Pil del paese.

Risultato, come scrivevamo qualche giorno fa: «I crediti dubbi, praticamente inesigibili, degli istituti di credito spagnoli hanno sfiorato i 170 miliardi di euro, il 10% di tutti i prestiti. Un record assoluto giunto dopo 16 mesi consecutivi di aumenti delle sofferenze. Contemporaneamente è continuata la fuga dalla banche spagnole. I depositi nelle banche spagnole a luglio ammontavano a 1.508 miliardi, 74 miliardi in meno del mese precedente. Su base annua la fuga dei capitali privati dalla banche iberiche è stata di 206 miliardi, un 12% in meno del luglio 2011». Che poi l’eventuale crack della banche medie e piccole lasci indenni i due giganti Bbva e Santander, è tutto da vedere.

Dove possa andare a finire la Spagna seguendo le terapie recessive chieste da Ue e Bce è chiaro: in una depressione prolungata e col popolo alla fame. Per questo (vedi foto sopra) anche in Spagna prende le mosse il dibattito sull’abbandono della moneta unica.

Come osserva Jeremy Warner:

«Oltre che a lasciare l’unione monetaria e dichiarare default sui suoi debiti in euro, che per il momento anche i catalani ribelli non sembrano volere, c’è una via d’uscita per la Spagna? La risposta più probabile sembra essere no.
L’adesione all’Unione monetaria impedisce ai paesi periferici l’applicazione di adeguate strategie monetarie. La moneta unica ha anche negato all’Europa il naturale meccanismo di mercato dei tassi di cambio liberamente fluttuanti per correggere le carenze in termini di competitività [bilancia dei pagamenti, Ndr] e di ridurre il debito estero.
C’è solo una conclusione da trarre da tutto questo, anche se i costi a breve termine potrebbero essere profondi, la Spagna deve lasciare la moneta unica.
La Spagna è dannata se lascia, ma dannata per l’eternità se rimane. La politica dell’Eurozona così com’è non offre alcun plausibile ritorno alla prosperità». [Spain must leave the euro, The Telegraph, del 27 settembre]

da SollevAzione