Il Ddl «stabilità» è arrivato in parlamento
Hanno negato di aver fatto una nuova manovra. Ma ormai tutti hanno compreso che si tratta soltanto dell’ennesima menzogna del governo Monti. Una menzogna da 13 miliardi di euro, giusto per non perdere l’abitudine. La manovra toccherà, e pesantemente, milioni di famiglie. Le stesse già tartassate da questo governo come da quello precedente.
Per nascondere questa verità hanno fatto il giochetto sull’Irpef, una finta restituzione, nel migliore dei casi più che compensata dall’aumento dell’IVA e dal taglio delle deduzioni e delle detrazioni fiscali, nel peggiore (quello dei redditi sotto i 15mila euro) un’autentica presa in giro, dato che per questa fascia più povera ci sarà solo da pagare l’incremento dell’IVA senza alcuna contropartita.
Il «governo dei professori» continua così la sua rapina ai danni del popolo lavoratore. Questa volta il furto è articolato e sminuzzato in mille provvedimenti, in modo da renderlo meno evidente. Ma i rapinatori hanno lasciato ugualmente ampie tracce del loro passaggio. Il parlamento modificherà alcune delle norme approvate? Probabilmente sì, ma solo i dettagli, lasciando inalterato il senso complessivo della manovra. Nel centrosinistra, Vendola si vanta di aver imposto al Pd di andare oltre l’«agenda Monti», un «oltrismo» volto ad un indefinito futuro che non può certo cancellare un presente nel quale il Pd dà pieno sostegno politico e parlamentare al governo Monti. E gli atti del governo, inutile dirlo, contano assai più della cosiddetta «agenda».
I cardini della Legge di stabilità sono sostanzialmente due: 1. i nuovi tagli, 2. l’insieme delle misure fiscali. I tagli colpiscono i soliti settori: i lavoratori pubblici, la sanità, la scuola. Ai lavoratori pubblici si tagliano ancor di più i salari, mentre si buttano fuori dalla scuola migliaia di precari. In quanto alla spesa sanitaria, si riduce di un altro miliardo di euro, come se non fosse già stata falcidiata con i tagli degli ultimi anni.
Ma è sul fisco che il governo ha dato il meglio di se. L’aumento dell’IVA, che si diceva di voler impedire, scatterà di un punto il primo luglio del 2013. Come se non bastasse, con il taglio delle detrazioni e delle deduzioni fiscali, grazie sopratutto alla cosiddetta «franchigia» di 250 euro, lo stato aumenterà di un importo equivalente le tasse per milioni di famiglie, da chi ha da pagare un mutuo, a chi ha i figli all’università, ma la casistica è vastissima.
Al momento della stesura finale del Ddl da consegnare al parlamento c’è stata qualche marcia indietro. Il governo ha infatti rinunciato a due misure annunciate nei giorni scorsi: la tassazione delle pensioni di invalidità e delle indennità di accompagnamento, il taglio dei permessi previsti dalla legge 104 per l’assistenza ai disabili. Ma nessuno si illuda. E’ questa una tecnica ormai consolidata. Si annuncia di tutto e di più, per poi «rinunciare» a qualcosa, fingendo così di avere una qualche sensibilità sociale. Intanto si è posto l’obiettivo, e il momentaneo passo indietro servirà soltanto a prendere meglio la rincorsa per la prossima manovra, di certo non troppo lontana nel tempo.
Quel che non può sfuggire a nessuno è l’accanimento con le fasce popolari. Abbiamo già visto che chi sta sotto i 15mila euro di reddito avrà solo aggravi fiscali, ma verrà colpito (190 euro di maggior tassazione) chi paga un mutuo per la casa, mentre aumenteranno sensibilmente le tasse sulla liquidazione, un’ennesima misura volta a costringere i lavoratori a versarla nei fondi pensione integrativi. Non parliamo poi dei lavoratori pubblici: per il blocco dei contratti (e dunque il mancato recupero dell’inflazione) a fine 2014, secondo stime della Cgil, avranno cumulato una perdita media di 240 euro al mese.
Di fronte a questa rapina permanente, cosa dice il teatrino della politica? Praticamente niente. Pdl e Pd dicono sì di non essere d’accordo – le elezioni si avvicinano e non potrebbero fare altrimenti – ma senza il loro voto verrebbe bocciata non solo la manovra, ma anche il governo che l’ha proposta. Ed è ovvio che questo non vogliono e non possono farlo. Prepariamoci dunque a lunghe sceneggiate, a qualche tira e molla nelle aule parlamentari, ma ben sapendo che non potrà di certo cambiare la direzione di marcia intrapresa.
Intrapresa non da oggi, ma da anni. E diventata «vangelo» con il governo Monti.
E’ questo il nocciolo della questione. Serve a ben poco dibattere questo o quel provvedimento, se non si mette in discussione tutto l’impianto. E, prima ancora, se non si ribaltano le premesse da cui tutto nasce: la subordinazione all’Unione europea, la folle idea della «irreversibilità» dell’euro, l’accettazione del peso di un debito pubblico sempre più insostenibile, l’adesione ai dogmi liberisti e mercatisti.
Ragionare su questa ennesima stangata – altro che «non manovra» – a questo serve: a capire la spirale in cui ci stanno avvolgendo. Una dinamica greca, certo con ritmi e modalità italiane, ma pur sempre senza uno sbocco che non sia quello di sofferenze sempre più pesanti per il popolo lavoratore. La «cura» applicata dal governo ha un solo ed unico obiettivo: garantire i potentati finanziari che il debito verrà onorato, pagare le cedole e tirare avanti.
Anche la Legge di stabilità ce lo conferma. La «cura» che dovrebbe guarire il malato deprime ancor di più l’economia, e nuove manovre si imporranno, anche a voler prescindere dall’applicazione delle folli regole del Fiscal Compact. Una spirale infinita, che potrà essere spezzata solo da una rottura rivoluzionaria, unica alternativa ad un’agonia senza fine.