Non tutti i mali vengono per nuocere

Sotto una pioggia prevista battente, questo fine settimana, avvengono due fatti importanti, connessi tra loro malgrado ogni apparenza. In ordine: la manifestazione No Monti Day, e le elezioni per il Parlamento siciliano.

Perché la manifestazione contro il governo Monti (per l’esattezza Napolitano-Monti) sia importante è evidente. Ad un anno oramai dall’insediamento dei “tecnici”, — un governo che ha rappresentato una svolta profonda per il nostro paese, non solo e non tanto per la sua sfrontata politica antipopolare, ma perché esso simboleggia il fatale assoggettamento del paese alla tecno-nomenklatura europea — avremo modo di misurare la forza effettiva della sinistra antagonista.

Un eventuale fallimento avrebbe ripercussioni grandi su questa sinistra, che non potrà vivacchiare per forza d’inerzia, che dovrà finalmente interrogarsi sul suo destino. Chiunque pretenda di avere un destino, di candidarsi a rappresentare gli interessi del popolo lavoratore, deve anzitutto dare risposte di tipo strategico. Che futuro può esserci  per forze che davanti ad una crisi sistemica, davanti alla tendenza dell’Unione e dell’euro all’implosione, tacciono? Che si limitano alla riproposizione di vecchi schemi, riformistici e sindacalistici? Sulle questioni dirimenti del debito pubblico, dell’appartenenza all’Unione europea, dell’euro, la piattaforma non dice niente.

La ragione di queste reticenze è evidente: per quanto antagonista questa sinistra non riesce, per quanti sforzi faccia, a rompere il suo cordone ombelicale con la sinistra sistemica. Un cordone doppio in verità e per questo difficile da recidere: materiale e simbolico. Materiale perché la sinistra radicale è inclusa nello stesso habitat di quella sistemica. Simbolico perché essa, sotto un malinteso internazionalismo, non ha il coraggio di gettare alle ortiche l’Unione europea, di mollare il suo frutto più velenoso, la moneta unica, e quindi di difendere la sovranità nazionale.

L’idea di chi ha promosso il No Monti Day balza agli occhi: quella di dar vita ad una Syriza italiana. E’ un’idea illusoria. La coalizione Syriza non sarebbe mai diventata seconda forza della Grecia se negli anni non si fosse radicalmente opposta ai governi di “sinistra” del Pasok, se non avesse incontrato le forme anche radicali di resistenza sociale. Mentre qui da noi, col pretesto dell’antiberlusconismo, buona parte della sinistra radicale ha sostenuto il prodismo, condividendo scandalose responsabilità politiche e governative, tra cui la marcia verso il suicidio europeista.

La sensazione di chi scrive è che il 27 non sarà un successo. Non tutti i mali, tuttavia,  vengono per nuocere. Chissà che non si apra finalmente, tra le forze più dinamiche della sinistra radicale, un riflessione seria sul che fare e sul che proporre?

Il secondo fatto importante di questo fine settimana sono le elezioni siciliane. E’ oramai chiaro a tutti che queste elezioni sono una prova generale di quelle che ci saranno in primavera. Gli occhi di tutti, da quelli di Monti e dei partiti che lo appoggiano, per finire con quelli nostri, sono puntati sulla Sicilia.

Quanti voti prenderanno i “montiani” (Pd, Pdl e terzopolisti)? Quanti andranno alle forze d’opposizione a vario titolo anti-montiane? Se i primi, com’è teoricamente possibile, non riuscissero ad ottenere una solida maggioranza, avremmo un risultato deflagrante. E se ce la facessero ad ottenere la maggioranza sarà essa abbastanza consistente da non avere profonde ripercussioni nazionali?

Dall’altra parte abbiamo lo schieramento che va dai Grillini ai Forconi, passando per la Syriza italiana, l’alleanza tra Fds e Sel. Se le liste della protesta sociale ottenessero un risultato eclatante sarebbe un vero e proprio terremoto politico di portata generale. In questo senso, anzitutto, diciamo che quelle siciliane sono una prova generale di quelle di primavera. Un simile esito ci direbbe una cosa, che sotto la cenere di una  sostanziale pace sociale arde il fuoco di un conflitto sociale incontenibile.

Vedremo poi, nell’arcipelago delle opposizioni, chi si affermerà e chi, eventualmente, sarà messo fuori gioco. I sondaggi sono poco attendibili, tanto più perché essi captano male forze politiche nuove come grillini e forconi. Se il M5S avrà un successo strepitoso (si parla di un’affermazione tra il 15 e il 20% in una situazione in cui i grillini erano quasi inesistenti) sarà un indicatore di quel che sta avvenendo in tutto il paese, ovvero che quello sarà il canale che prenderà il malessere, la sorda protesta popolare.

Se la lista tra Fds e Sel supererà a malapena lo sbarramento del 5% (come sembra) sarà la tomba della Syriza italiana. Sel e parte della Fds sprofonderanno nel pantano del Pd e  Rifondazione entrerà nel ciclo finale della sua crisi.

Restano i Forconi di Mariano Ferro. I sondaggi sono ballerini: danno risultati che oscillano tra una forchetta del 2% e del 8%. Il travolgente ingresso in campo del M5S, non c’è dubbio, ha reso l’impresa dei Forconi difficilissima. Superare lo sbarramento è impresa ardua. Inutile nascondersi che non superarlo sarebbe una sconfitta. Se i Forconi, genuina espressione della protesta degli strati sociale massacrati dalla crisi, riusciranno a sfiorare il 5%, cadrebbero in piedi, riceverebbero il mandato a proseguire la battaglia. Una battaglia, come sempre afferma Ferro, che non si svolge nel Palazzo, ma per le strade e nelle piazze.

 

da SollevAzione