Un ciclone che non ha travolto solo l’ammucchiata montiana

Che dalle elezioni siciliane potesse venire una spallata decisa contro il sistema politico era nell’ordine delle cose. Essa è stata più potente del previsto, ed ha preso due forme: l’astensione di massa e il voto massiccio al M5S.

Per la prima volta dalla nascita della Repubblica si è recata al voto meno della metà degli aventi diritto. Un esodo clamoroso dei cittadini da chi pretende di rappresentarli. Di più: un divorzio, pensiamo irreversibile, tra la società civile e l’intero sistema politico e istituzionale, che esce quindi da questa prova, gravemente ferito, privato di ogni parvenza di legittimità democratica.

Non è difficile immaginare come il sistema politico reagirà a questa potente spallata: non facendo un passo indietro sulla strada che da tempo ha oramai ridotto la democrazia ad una farsa, ma con un ulteriore passo in avanti, verso un regime oligarchico blindato. 

Proprio la Sicilia sarà il cantiere per gettare le fondamenta di una dittatura della minoranza. Pd e alleati cantano vittoria per aver superato le destre e tirano diritto pur sapendo di rappresentare meno di un sesto dei siciliani —su quattro milioni di aventi diritto essi hanno infatti ottenuto solo 617mila voti. La loro arroganza è pari alla loro debolezza. La Sicilia entra in una fase di instabilità politica ancor più acuta di prima. E’ facile dunque prevedere che il centro-sinistra, per assicurare un governo pur che sia, chiederà il soccorso alle destre battute. Pur senza il velo dei “tecnici” avremo a Palermo una continuazione del governo-ammucchiata Napolitano-Monti.

Proprio Napolitano e Monti escono con le ossa rotte dalle elezioni siciliane. Presi tutti assieme i partiti che sorreggono il governo “dei tecnici” hanno ottenuto poco più di un terzo delle preferenze degli aventi diritto al voto — 1milione e 450mila voti. Una conferma palese di quanto da tempo andiamo dicendo: lo schieramento trasversale che sostiene il governo Monti è una minoranza nel paese.

La spallata, come dicevamo, ha preso anche la forma dell’avanzata del M5S. Il candidato dei “grillini”, in una regione in cui essi non godevano di un alcun radicamento (solo pochi mesi fa nelle elezioni comunali di Palermo non erano andati oltre il 5%) si è piazzato terzo e, dato ancor più sorprendente (ricordiamoci il “voto disgiunto”) la lista M5S ha superato sia Pd che Pdl. Non c’è alcun dubbio che l’indignazione sociale ha scelto i “grillini” come principale canale di espressione. Un fenomeno da cui non si può prescindere che tuttavia non va esagerato: i 368mila voti ottenuti dal candidato del M5S rappresentano un decimo dei siciliani e meno di un quinto della massa degli astenuti. 

La maestria con cui Grillo manipola gli attrezzi della “società dello spettacolo” spiega in buona parte il loro successo, che dipende tuttavia, anzitutto, dalla loro determinazione nell’andare incontro e rappresentare l’incazzatura e lo sdegno contro tutti i partiti della “seconda Repubblica” e in particolare contro il governo Monti, il suo europeismo di ferro le sue liberiste politiche d’austerità.

Se quelle siciliane sono state una prova generale delle prossime elezioni politiche nazionali di primavera esse ci dicono che siamo alle porte di un terremoto generale che seppellirà il governo Monti e metterà una pesante ipoteca sul tentativo delle classi dominanti di continuare l’esperimento montiano sotto mentite spoglie. La maggioranza degli italiani darà un’altra più devastante spallata a questo regime putrescente, essa non solo chiede una generica svolta politica, chiede una radicale inversione di rotta rispetto alle politiche di macelleria sociale imposte in nome dell’Unione europea e della salvezza della moneta unica.

Vedremo se questo governaccio di farabutti asserviti alla finanza predatoria globale resisterà fino alle elezioni di primavera. Di sicuro il fragile equilibrio su cui da un anno si sorregge è squassato. E’ in questo contesto che va forse interpretata la minaccia di Berlusconi di sfiduciare il governo. Comunque vada Monti è un cadavere che cammina e le classi dominanti debbono correre ai ripari. Ha ragione Antonio Polito: «Il significato delle prossime elezioni è dunque segnato: sarà una conta tra chi pensa che l’Europa sia la causa e chi pensa che l’Europa sia la soluzione dei nostri problemi». [Corriere della Sera, 29 ottobre]

Il ciclone “grillino” non ha solo travolto lo schieramento governativo, ma pure le altre forze d’opposizione. Quasi clamoroso il flop dell’alleanza tra Italia dei Valori, Sel e Federazione della sinistra. Partiti lancia in resta, gli artefici di questa fotocopia infedele di Syriza, a malapena, con la loro candidata, hanno superato la soglia di sbarramento. Ma il dato più eclatante è il risultato delle singole liste: Sel, Fds e Verdi non vanno oltre un penoso 3% tutti assieme.

Davanti a questo rovescio potrebbe apparire consolante l’1,60% ottenuto dalla lista dei Forconi di Mariano Ferro. Non è evidentemente così. Anche i Forconi sono stati travolti dal ciclone Grillo. Ma questo basta a spiegare l’insuccesso? Genuini rappresentanti della rivolta popolare che ha messo a ferro e fuoco la Sicilia nel gennaio scorso i dirigenti dei Forconi si sono illusi che solo in virtù di questo loro essere avrebbero potuto riversare il consenso nelle urne. Non solo noi li avevamo messi in guardia, che una cosa è porsi alla testa di una rivolta di strada e tutta un’altra la capacità di sfondare elettoralmente. Sfondamento che implica intercettare un ampio voto di opinione, che va ben al di la delle migliaia di protagonisti della fiammata di gennaio. Nella “società dello spettacolo”, dove la contesa politica è diventata una commedia urlata, o stai al gioco, o sei tagliato fuori. Tanto più quando l’esibizione passa per i media e la Tv. 

Ne è secondario l’aspetto propriamente politico. Il profilo programmatico dei Forconi, man mano che la campagna elettorale diventava furibonda, è come evaporato. Non ha avuto un impatto. Mentre Grillo, anche se solo con furbesche e ardite battute, toccava tutti i grandi e dirimenti nodi della crisi sistemica, i Forconi, fatta salva la rivendicazione orgogliosa della rivolta di gennaio, non sono andati oltre ad un timido sindacalismo sociale. La sicilianità, l’appello in prima battuta allo Statuto siciliano, non hanno portato frutti, non fosse che perché oramai sono deboli luoghi comuni. Non ha pagato l’aver schivato questioni politiche dirimenti come l’Unione europea, la moneta unica, quale alternativa al governo Monti e con chi allearsi per portarla avanti. Infine, prevedendo il blackout mediatico, una campagna elettorale di quelle dimensioni, chiedeva a maggior ragione una forte e capillare organizzazione, una macchina elettorale potente, e i Forconi erano ben lontani dal possederla. 

Adesso Mariano Ferro e i Forconi si trovano davanti al dilemma: come andare avanti? Attraversato il Rubicone che divide un movimento sociale da quello squisitamente politico che faranno? Torneranno sui loro passi? Si rifugeranno in una posizione movimentista, di attesa della rivolta che verrà? O si decideranno a fare il salto per dar vita ad una forza politica degna di questo nome? Per farlo debbono riprendere non solo fiato, ma uscire definitivamente dallo stato di indeterminatezza programmatica e strategica. 

Sarebbe un suicidio, così a noi sembra, imboccare la via di fuga dell’indipendentismo sicilianista. Si cristallizzerebbe lo stato di minorità, un’effimera autoconsolazione. I Forconi possono e debbono, invece, guardare con più attenzione alla situazione italiana ed europea, decidere con chi proseguire il cammino, e unire le proprie forze con quelle che non solo resistono all’offensiva della globalizzazione liberista ma che possiedono una idea chiara dell’alternativa di governo e di società.

 

da SollevAzione