La protezione civile (di se stessi medesimi) nell’epoca del governo dei tecnici
Un commento a caldo su un’evacuazione senza capo né coda

Chi scrive vive a Castelnuovo Garfagnana, ipotetico epicentro di un ipotetico terremoto, ipotizzato da un sibillino comunicato della Protezione civile (di se stessi medesimi), che ieri sera ha indotto i sindaci della zona a «consigliare» alla popolazione di «uscire di casa e rimanere all’aperto». «Consigliare» è un verbo già di per sé assai significativo, ma come è facile intuire – trattandosi di terremoto – il «consiglio» si è subito trasformato di fatto in un ordine di evacuazione.

Un ordine non formale, che infatti nessuno ha dato. Ed è proprio questo fatto a dircela lunga su come funziona la Protezione civile nel nostro paese. Per ore ed ore non è stato chiaro niente. Né le eventuali evidenze scientifiche che giustificassero un tale allarme, né l’autorità che aveva deciso di muoversi in tal senso, tantomeno la catena di comando che ha portato all’evacuazione.

Ma allora, chi e cosa ha prodotto tutto ciò, spingendo migliaia di persone a riversarsi nelle strade, con enormi disagi specie per le persone più anziane? Forse potrà sembrare eccessivo, ma in effetti c’è un’unica vera spiegazione: la congenita tendenza della classe dirigente a pararsi il sedere. Una spiegazione che trova puntuale riscontro nello svolgimento dei fatti, per quanto è possibile ricostruirli in questo momento (ore 14 di venerdì 1 febbraio)

Prima, però, può essere utile contestualizzare il tutto. La Garfagnana è una zona sismica, anche se dalla scossa del 7 settembre 1920 (che causò la morte di circa 300 persone), non si sono più verificati terremoti disastrosi. La storia dei secoli precedenti (‘700 ed ‘800 in particolare) ci parla di altri eventi sismici di una certa rilevanza, ma assai meno gravi di quello del 1920. Si parla dunque di una zona a rischio, ma non ai livelli di altre parti del paese, ben più pericolose.

Il 25 gennaio si è verificata una scossa di magnitudo 4.8, che ha destato grande preoccupazione ma pochi danni alle cose e nessuno alle persone. Da quel giorno si sono succedute centinaia di scosse, di cui 40 con magnitudo pari o superiore a 2.0. Come si può facilmente evincere dall’apposita tabella dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), la sequenza successiva alla scossa principale è stata assolutamente regolare. Niente che somigli ad una crisi sismica simile a quella dell’Umbria 1997-98 o, in misura minore, a quella della pianura padana-emiliana della primavera scorsa.

Sta di fatto che siamo comunque arrivati a questa evacuazione senza né capo né coda. Ma quello che molti non sanno è che la Garfagnana è stata già nel 1985 la prima (e unica) zona al mondo oggetto di un preallarme sismico. Conviene perciò ricordarlo. Era la sera del 23 gennaio di quell’anno, quando il TG1 dello 20 diramò in diretta – con tanto di passaggio di un improvvisato fogliolino al conduttore – un allarme della protezione civile contenente almeno (a differenza di oggi) alcune precise indicazioni: l’attesa di un terremoto pericoloso nelle successive 48 ore, con l’individuazione di una quindicina di comuni a massimo rischio. La previsione si basava, così si disse, sull’assenza di scosse di assestamento dopo un sisma di magnitudo 4.2 che si era verificato nella mattinata precedente.

Dormimmo fuori casa per due notti, ma per fortuna non vi fu alcun terremoto. Personalmente giudicai allora la scelta del preallarme come giusta e sensata. E’ vero, la previsione si basava soltanto su un’analogia con quanto avvenuto nel 1920 (scossa «premonitrice» il 6 settembre, assenza di scosse nelle ore successive, scossa distruttiva il giorno dopo), ma tuttavia l’adozione di una sorta di «principio di precauzione» anche in materia sismica sembrava un passo avanti rispetto alle sottovalutazioni del passato. Pareva, in un certo senso, una piccola rivincita della comunità scientifica su una politica assai distante da questi problemi. Proprio perché questa era la sensazione ebbi modo di intervenire più volte pubblicamente a difesa della scelta del preallarme.

Purtroppo mi sbagliavo, come avrei capito solo qualche anno dopo. La decisione non era stata né tecnica, né scientifica, bensì eminentemente politica. Si da il caso che a capo della protezione civile ci fosse un certo Giuseppe Zamberletti, uomo di Francesco Cossiga, esperto non di terremoti bensì di questioni militari e (come emerse nei primi anni ’90) in odore di Gladio. Alla luce di tutto ciò il preallarme del 1985 può essere letto, come ormai ammesso da molti, sotto una luce ben diversa: un esperimento di evacuazione con finalità militari. In questo senso si capisce anche la zona scelta. La Garfagnana è infatti poco popolata, con una forte presenza delle strutture di volontariato: due fattori decisivi  nel rendere più gestibile l’emergenza. Naturalmente questa lettura dei fatti di 28 anni fa può essere opinabile. Resta il fatto che nel quarto di secolo successivo nessuno al mondo ha ritentato un simile esperimento, mentre abbiamo visto all’Aquila quanto i geologi della Commissione Grandi Rischi siano ben attenti alle esigenze politiche del governo del momento.

Ma torniamo all’attualità. Qui l’allarme va scemando e gli allarmisti stanno predisponendo la retromarcia. Tuttavia i disagi sono stati molti. Tante le persone terrorizzate, mentre tante altre facevano prevalere un sano e ragionevole scetticismo. Eh sì, perché una cosa è la giusta, sacrosanta, e mai sufficiente consapevolezza del rischio sismico; altra cosa è l’improvvisazione e la spettacolarizzazione di un problema che invece chiederebbe la massima serietà.

Vediamo ora, brevemente, cosa è successo ieri. Alle ore 00,42 si è avvertita una discreta scossa di magnitudo 3.3, con un epicentro leggermente spostato a sud rispetto alle scosse precedenti. A seguito di questo evento, tutto sommato modesto ed in linea con la normale evoluzione del fenomeno, il dipartimento della Protezione civile, a firma Franco Gabrielli, ha trasmesso alle Regioni Toscana ed Emilia Romagna il seguente ed illuminante comunicato:

«Facendo seguito alle precedenti comunicazioni inerenti l’oggetto, si trasmette l’aggiornamento della sequenza dalle ore 6,45 UTC di oggi. In merito, si rileva quanto riportato nell’allegato comunicato, ove si afferma che se resta confermata l’ipotesi che la sequenza sia generata da una struttura orientata NE-SW – dunque trasversale alla catena – nelle prossime ore potrebbero avvenire altre scosse a SW della scossa principale, in prossimità dell’abitato di Castelnuovo di Garfagnana e dell’epicentro del 23 gennaio 1985 (M. 4.2)».

Ora, stando a notizie di stampa, pare che la valutazione delle 6,45 dell’Ingv sia giunta sul tavolo della prefettura di Lucca alle 19,58. E già questo sarebbe sufficiente a descrivere l’efficiente macchina istituzionale, nonché la prontezza e l’ingegno dei suoi uomini.

In ogni caso, evidenziare la probabilità di altre scosse equivale alla famosa ed epica scoperta dell’acqua calda. Grazie dell’interessamento, ma lo sapevamo già. Accennare poi al possibile epicentro, quasi con una previsione chirurgica, quando di fatto non si riesce a prevedere un bel niente, ha dato al tutto un tocco allarmistico davvero sopra le righe. Fra l’altro la nuova faglia che si sarebbe attivata l’altra notte, a differenza di quella principale che percorre la Garfagnana a valle del crinale appenninico ed epicentro della scossa della settimana scorsa, ha dato luogo storicamente a terremoti abbastanza forti ma mai disastrosi. Ma lasciamo perdere, perché il punto fondamentale è comunque un altro: perché evidenziare una banalità (la probabilità di nuove scosse), se non per segnalare un pericolo ben più consistente?

Ora, gli amministratori locali – qui come altrove – raramente brillano per coraggio e perspicacia, ma non possiamo biasimarli se a fronte di un comunicato del genere hanno deciso per l’evacuazione. Il succo del loro ragionamento è stato: «voi vi parate il sedere con un comunicato ambiguo e nulla-dicente, e noi che siamo più stupidi»?  Eh no! «accà nisciun è fess». E via con l’allarme pur sapendo di gettare nel panico tante persone.

Adesso molti si chiedono come finirà la cosa. Il problema principale non sembra la sicurezza delle persone, ma vedere chi resterà con il cerino in mano. Questa mattina si è tenuta, a Pieve Fosciana, una riunione dei sindaci a porte rigorosamente chiuse. Noi, dunque, non c’eravamo, ma un uccellino ci ha detto che il problema che aleggiava sulla discussione non era tanto il pericolo sismico, quanto quello di fare una gigantesca figuraccia. Pericolo che i sindaci vorrebbero comprensibilmente scaricare su Franco Gabrielli, atteso a Castelnuovo alle 14,30. Vedremo chi dovrà dare il contrordine, sempre sperando che non venga deciso di attendere ancora, magari nell’incoffessabile speranza di una qualche scossetta, che consenta di poter dire: «Beh, avete visto, scuote ancora. Magari abbiamo esagerato ma l’allarme era fondato».

Gabrielli ora dice che: «Nessuno ha mai parlato di evacuazione, perché ritenevamo che vi fossero delle condizioni che non modificassero il quadro generale, che resta comunque quello di una situazione di pericolosità…». E ancora: «Questo è il frutto avvelenato della sentenza de L’Aquila». Eh già, l’Aquila! Ma non sarà colpa nostra se lì i sapientoni della Commissione grandi rischi accettarono di fare da megafono alle richieste di tranquillizzazione di Bertolaso, di cui Gabrielli era il più stretto collaboratore.

In attesa degli eventi, e lasciando perdere le umane miserie di chi non ha il minimo coraggio delle proprie azioni, concludiamo con una considerazione di carattere generale.

Sulla base dei fatti esposti non è difficile giungere alla conclusione che la Protezione civile più che altro protegge se stessa. Una protezione politica e personale dei propri dirigenti, generalmente pescati negli alti apparati dello Stato (Gabrielli è stato un alto dirigente dell’Antiterrorismo, nonché direttore del Sisde…). Insomma, se il terremoto è un serio problema, la Protezione civile è un’indecorosa via di mezzo tra la farsa e il dramma. Il tutto allietato da sindaci che non trovano di meglio che lanciare allarmi via twitter…

Ma tutto ciò ci parla di una questione assai più grande: il degrado dell’intera classe dirigente del paese ad ogni livello. Almeno, l’uomo della Nato Zamberletti non si nascondeva. Questo invece – un «tecnico» nell’era del «governo dei tecnici» – lancia il sasso e nasconde tecnicamente la mano, parandosi tecnicamente il sedere. Un giochino che fa male ad una popolazione che ha buone ragioni per temere il terremoto, ma ragioni ancora più grandi per chiedere un minimo di serietà. Una dote del tutto assente nella classe politica e negli attuali apparati dello Stato. Anche un terremoto (che per fortuna non c’è stato) questo ci insegna.

 

PS: Alla fine arrivò Salomone – Poche ore dopo la pubblicazione di questo articolo, nel tardo pomeriggio del 1° febbraio, è stata fischiata la fine dell’allarme sismico. Così come la motivazione che ne aveva decretato l’inizio non si reggeva in piedi, quella che ne ha motivata la fine non è certamente più seria. Ma la situazione tragicomica di un allarme di cui nessuno si assumeva la paternità era diventata ormai insostenibile.

Il patetico annuncio – «la situazione si è evoluta in maniera positiva» – è arrivato dopo una riunione tra Gabrielli e i sindaci della zona. Come avevamo scritto il problema per costoro, ormai impegnati in una sorta di gioco del cerino, era quello di evitare che la figuraccia si ingigantisse ancor di più. Hanno quindi deciso di spartirsela salomonicamente (la figuraccia) in tre parti uguali: ai tecnici dell’Ingv è toccata la colpa di avere redatto una nota troppo allarmistica, alla Protezione civile di non averla tradotta in burocratese politicamente corretto (e perciò comprensibile dagli amministratori), a questi ultimi è toccata la qualifica – peraltro accettata da buona parte di costoro quasi fosse un requisito essenziale per fare i sindaci – di perfetti ignoranti. Insomma un 33% di colpa e di ridicolo per ciascuno, che non vorrebbe far troppo male a nessuno: una bella fotografia di come funziona oggi l’Italia.