L’alibi del referendum-trappola del maggio 1989

La situazione è oramai al limite del grottesco. A parte alcune lodevoli eccezioni, il grosso della sinistra italiana non solo non vuole ammettere che la moneta unica e i trattati su cui la Unione europea si è costituita sono stati una colossale fregatura per le masse popolari. Non vuole ammettere che l’euro è destinato a scomparire, ed anzi si aggrappa ad esso come un devoto alla divina Provvidenza.

Per restare alla metafora religiosa, è come se il destino di questa sinistra fosse segnato da un inesorabile peccato originale. E’ vero infatti che questa sinistra fu artefice e campione del disegno europeista.

Ricordiamo il referendum d’indirizzo che si svolse l’11 giugno del 1989. Per quanto solo consultivo, esso diede mandato al governo di procedere verso l’Unione con risultati plebiscitari. Votarono l’88% dei cittadini e i SI furono l’88%. Tra tutti i referendum per l’Unione svoltisi nei paesi europei, quello italiano diede insomma il risultato più eclatante.

I gruppi dirigenti di vari raggruppamenti della sinistra italiana si fanno ancora scudo di quei risultati per sostenere che essi non fanno che rispettare la “volontà popolare”.

Non sta scritto da nessuna parte l’obbligo di inseguire la “volontà popolare”. Se un popolo decidesse di andare al macello il dovere di partiti che si rispettino non è quello di inseguire le pulsioni suicidiarie ma quello di contrastarle. Un partito che si rispetti non si limita a “rappresentare” passivamente la “volontà popolare”, ma cerca anzi di plasmarla e di indirizzarla verso quello che considera il bene comune.

Ma il punto è un altro. Il consenso dei cittadini italiani, col famigerato referendum del maggio 1989 fu estorto con l’inganno. Vale la pena ricordare quale fu il quesito. Eccolo:
«Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione della Comunità europea in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?».

Come si evince facilmente, la formulazione non tirava in ballo né l’euro né i dogmi neoliberisti che saranno poi sacramentati nei Trattati di Maasctricht. Il quesito anzi faceva leva sui sentimenti democratici dei cittadini e prospettava infatti sì una cessione di sovranità, ma non alla banca privata come la Bce, o ad organismi oligarchici europei (come la Commissione europea), bensì ad un parlamento europeo. Si chiedeva infine la redazione di una Costituzione che alludeva ad un processo costituente squisitamente politico che avrebbe dovuto implicare un successivo passaggio referendario. Non parve vero, agli architetti di quel referendum-trappola del 1989, farsi scudo del’Art. 75 della Carta costituzionale [1], e far sottoscrivere agli italiani che l’eventuale Costituzione europea sarebbe stata sottoposta alla ratifica, non dei cittadini, ma… “degli organi competenti degli Stati”.

Vale la pena ricordare che in altri paesi i cittadini bocciarono sonoramente nei referendum l’europeismo oligarchico: i NO alla Costituzione europea vinsero in Francia nel maggio 2005 e in Olanda nel giugno 2005. Mentre i NO all’adozione dell’euro vinsero in Danimarca nel settembre del 2000 e in Svezia nel settembre 2003. In Irlanda i cittadini bocciarono a più riprese i ripetuti tentativi di stravolgere la loro Costituzione cedendo sovranità (nel giugno 2001 e poi nel giugno 2008).

Tutti sanno come sono andate le cose. Ricevuto il mandato, anche grazie all’appoggio incondizionato delle sinistre di allora, le cricche politiche dominanti procedettero a passo di corsa verso tutta un’altra strada, quella che porterà ad un’Unione antidemocratica, con una devoluzione dei poteri verso organismi oligarchici sovranazionali per di più seguaci delle dottrine economiche neoliberiste e monetariste.

Un quarto di secolo è passato da quel referendum. Malgrado le cose abbiano preso la piega che hanno preso e l’Unione sia in preda allo sfascio, queste sinistre non danno segni di resipiscenza. Anzi, esse si stanno incaponendo, vogliono difendere l’indifendibile ad ogni costo. Questo porterà al definitivo suicidio delle sinistre italiane, lasciando alle destre, molto più furbe, la possibilità di cavalcare l’antieuropeismo che cresce ogni giorno di più tra le masse popolari.

Sarebbe bello se gli italiani fossero chiamati adesso, per una seconda volta, con un referendum d’indirizzo costituzionale (sulla base del precedente del 1989), ad esprimersi. Non con un quesito truccato però, chiedendo loro se accettano che tutto sia deciso da organismi europei privi di ogni legittimità democratica, se accettano le politiche di austerità crudele imposte dai Trattati come quelli di Maastricht e del Fiscal compact, che la politica monetaria sia decisa da una banca privata svincolata da ogni controllo pubblico qual è la Bce.

Non abbiamo dubbi che anche in questo caso avremmo un risultato plebiscitario.
Se una sinistra potrà mai rinascere in questo paese, rinascerà solo se saprà, non solo incontrare e rappresentare il crescente disprezzo popolare per quest’Europa realmente esistente, ma indirizzarlo verso un recupero della sovranità nazionale, quindi democratica e popolare.

NOTE

[1] La tanto decantata Costituzione italiana vieta di sottoporre a referendum, tra l’altro, trattati internazionali. L’Italia, paese uscito sconfitto dalla seconda guerra, al pari di Germania e Giappone, dovette accettare, imposte dai vincitori, clausole limitative sia della sovranità nazionale che di quella popolare.

Recita l’Art. 75. della Costituzione italiana:
«È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

da sollevAzione