Rimuovere il tabù della questione nazionale

Se fosse vero che ieri il Senato, votando per la “decadenza” da parlamentare di Berlusconi avesse posto fine allo psicodramma, allora sì, allora avremmo mestamente festeggiato. Lo avremmo fatto per due semplici ragioni. La prima è che avremmo avuto un nemico giurato in meno, la seconda è che il blocco avversario più importante, quello degli armigeri dell’euro-dittatura col Pd in prima linea, sarebbe stato privato del principale argomento con cui ancora riesce ad ingannare tanti cittadini ed ottenere il loro consenso — alcuni davvero per rabbindolarli, altri, i ceti sociali che con l’euro si sono ingrassati, per assecondarli.

Ma Berlusconi non esce affatto di scena, ne rimarrà anzi al centro, da guastafeste indistruttibile. Ragione per cui avremo ancora tra i piedi il più indigesto frutto del berlusconismo: l’antiberlusconismo. C’è quindi poco da festeggiare, tanto più perché la momentanea umiliazione di Berlusconi non da un vantaggio alle forze antagoniste bensì a quelle sistemiche.

Ma come, ci chiederanno allibiti tanti compagni ossessionati dal Berlusca, voi non lo detestate? E come non potremmo detestarlo? Lo odiamo anzi, perché non solo rappresenta un crasso e picaresco  capitalista. Lo odiamo per il ripugnante mondo valoriale e simbolico che incarna. Odio che non è affatto invidia, come a Lui piace pensare. L’invidia infatti si nutre di ammirazione.

A questi compagni rispondiamo che accanto al piano etico-valoriale e morale ce n’è uno squisitamente politico che, pur essendo connesso a quello, in sede di giudizio, va tenuto distinto dal primo. La battaglia politica è, ricordiamolo, la disciplina o l’arte di cambiare la società, quindi tattica e strategia per mutare i rapporti di forza, per indebolire il fronte avversario e di converso rafforzare il proprio.

Se è così vale il principio che è sempre meglio avere un nemico invece che due. La devastazione sociale causata dalla crisi e quindi anche dalle politiche euriste, ha indebolito il blocco dominante che fa dell’euro un totem e dell’Unione un dogma. Questo blocco è oggi debole, lo diventerà ancor di più col tempo, così che potrà essere battuto e mandato in frantumi; sconfitta che potrebbe finalmente aprire la via, attraverso una generale sollevazione popolare, ad un profondo cambiamento sociale.

Il problema è appunto che, come da tempo andiamo sostenendo, il fronte berlusconiano, dopo tanti stop and go, potrebbe esso entrare a gamba tesa nella battaglia, ficcandosi tra noi e il blocco dominante  impugnando la bandiera della sovranità politica, dell’abbandono dell’eurozona. Non dopodomani ma oggi, visto che siamo alle porte della campagna per le elezioni europee, che saranno il decisivo banco di prova per verificare quanto diciamo. Le frattaglie berlusconiane hanno già fatto questa scelta di campo: la Lega Nord, Fratelli d’Italia, La Destra. Forza Italia reloaded, potrebbe fare altrettanto, diventando il perno di un blocco sociale di massa reazionario.

Un blocco sgangherato, un’accozzaglia di liberisti e statalisti, di nazionalisti e globalisti, ma con la potenza mediatica e finanziaria del Berlusca e usando linguaggi demagogici e nazionalisti punteranno a rappresentare e mobilitare il sempre più forte disagio contro le politiche austeritarie ed euriste, una rabbia che non dilaga solo tra le file del proletariato e del ceto medio pauperizzato ma pure in quelle di strati borghesi che non hanno saputo o voluto usare i vantaggi forniti a suo tempo dall’euro per darsi alla speculazione finanziaria.

Una simile scesa in campo potrebbe essere letale per le forze sovraniste rivoluzionarie e democratiche ancora deboli e minoritarie. A quel punto, dato il declino irreversibile del blocco eurista, le destre riorganizzate (o ciò che potrebbe venir fuori dal loro seno) potrebbero loro pilotare e gestire l’uscita dall’euro, con le conseguenze sociali e politiche che ognuno (tranne alcuni intellettuali in cerca d’autore e privi di scrupoli) può facilmente immaginare — nel senso che le conseguenze dell’inevitabile shock sarebbero fatte pagare salate al mondo del lavoro salariato. Per non parlare del rischio di una svolta istituzionale decisamente autoritaria, che come sappiamo è nel Dna dei berluscones.

L’uno divisosi in due significa che avremo a che fare con due nemici, non uno soltanto.

Ciò avrà delle implicazioni enormi per le forze sovraniste rivoluzionarie e democratiche. Non occorre un grande sforzo d’immaginazione per prevedere che una buona parte dell’area sovranista che in questi ultimi due anni, anche grazie a noi, è venuta emergendo, sarà attratta e satellitata dalla calamita belusconiana. Certi amici di oggi diventeranno nemici. Se non accadrà il contrario, il distacco di  pezzi importanti della sinistra dalla gabbia europeista, il risveglio dal loro sonno ipnotico, la lotta sarà impari e la svolta reazionaria di cui è gravida la società italiana (come del resto tutte in Occidente) da possibile diventerà altamente probabile. A quel punto saremo già entrati in un’altra fase, quella della resistenza democratica contro l’avventura reazionaria.

Non per questo i nostri detrattori hanno ragione nel sostenere che la battaglia sovranista per liberarci dall’euro-regime non va impugnata perché così facendo non faremmo che agevolare la possibile svolta reazionaria. Non si combatte questa minaccia facendo gli esorcismi, o addirittura mettendosi sotto la sottana  delle oligarchie euro-globaliste e delle loro protesi politiche locali. Ciò otterrebbe l’effetto contrario, equivarrebbe a lasciare campo libero al moto reazionario. Si combatte questa minaccia, ben al contrario, occupando la prima linea della lotta per riconquistare la sovranità nazionale e, con essa, quella democratica e popolare, diventando insomma i campioni della battaglia per uscire dall’euro e difendere la Costituzione.

Non è né plausibile né ammissibile che a causa del rischio futuro di una svolta reazionaria all’insegna di un nazionalismo fascistoide si dimentichi che oggi il nemico principale è fino a prova contraria il regime eurista, oligarchico, liberista e globalista. E’ esso che occupa tutti i gangli del sistema: finanziari, bancari, industriali, culturali e istituzionali.

Fa ribrezzo, in molte zone della sinistra, il solo alludere alla questione nazionale. Assistiamo così ad uno strano connubio, ad un vero e proprio inciucio tra i settori politici istituzionali asserviti alle oligarchie finanziarie (per le quali le nazioni e i loro ordinamenti sono catene da spezzare), e interi pezzi dell’estrema sinistra extra-isituzionale che condannano a priori il concetto di nazione in nome di un malinteso internazionalismo. Questo connubio va spezzato. Non è possibile che forze antagoniste genuine fungano da quinta ruota del carro dei veri dominanti.

Il tabù della questione nazionale va rimosso. Prima è meglio è. E’ sotto gli occhi di chi voglia vedere che il nostro Paese sta morendo sotto il giogo dell’euro-regime; che col ricatto del debito esso subisce un embargo di fatto; che è stato soggiogato come se avesse scatenato e perso una guerra, obbligato quindi a pagare umilianti “riparazioni”. L’Italia è stata privata della sua indipendenza effettiva, governata da dei Quisling che obbediscono a poteri esterni sovraordinanti, incaricati di spennare popolo e nazione affinché i debiti siano saldati.

Tutto questo, seppure in modo ancora confuso, sta facendo capolino tra i cittadini, è destinato a diventare senso comune. Questa percezione si manifesta già in tutti i focolai di lotta che stanno accendendosi qua e là. Questo senso comune pulsante e ancora primitivo, non c’è dubbio, sarà un collante delle future battaglie sociali. Occorre incontrarlo per puntarlo contro i dominanti invece di fare gli scongiuri e sputargli addosso; attraversarlo per innervarlo di contenuti rivoluzionari, democratici e socialisti, ingaggiando una lotta senza quartiere contro il fascistume che farà leva sui pregiudizi e i sentimenti sciovinisti e xenofobi che allignano tra le masse, senza confondere perciò le masse con i demagoghi reazionari che vorrebbero mettersi alla loro testa.

Come già detto si può essere socialisti e libertari, internazionalisti e patrioti.