Senz’altro interessante l’intervista rilasciata da Casaleggio a il Fatto Quotidiano del 20 aprile. Alcuni nostri lettori ci hanno subito segnalato la risposta pelosa sull’euro. Alla domanda: “La campagna elettorale sarà giocata contro l’euro?”, Casaleggio ha risposto:

«Noi non abbiamo impostato la campagna elettorale sull’uscita dall’euro. Ma per rimanere dentro l’Europa (e intendiamo l’Europa economica, perché quella politica non c’è, è scomparsa) noi pretendiamo di avere delle garanzie e di poter far sentire la nostra voce come Stato italiano. Noi vogliamo uscire solo se non avremo garanzie e la nostra voce non sarà ascoltata. Ma non diciamo: l’euro è sbagliato. Diciamo: l’applicazione del sistema euro non sempre è gestibile. Il fiscal compact, per esempio. Ormai è chiaro che in Italia il Pil non aumenterà, l’altra variabile su cui intervenire è il debito pubblico. A farlo diminuire ci hanno provato tutti: ci ha provato Tremonti, Monti, Letta, ci sta provando Renzi, ma ormai è normale che ogni anno noi ci portiamo a casa centinaia di miliardi di debito pubblico in più. Con la speranza che non aumenti lo spread, sennò le cose peggiorano ulteriormente. L’euro è un problema, non in sé, ma come viene gestito».

Niente di nuovo sotto il sole. L’ideologo riconferma la linea oramai ben nota di M5S, quella del manifesto in sette punti in vista delle elezioni europee (vedi accanto). Un ambiguo “NI” all’euro. Ci si poteva aspettare che Casaleggio andasse più in profondità, che spiegasse il NI. Evidentemente non ne è capace. Che l’economia non fosse il suo forte lo si sapeva. In medio stat virtus, qui banalmente comincia e banalmente qui finisce il discorso su una questione dirimente, che evidentemente si preferisce non dirimere. Una posizione che di scientifico, di rigoroso, non ha niente, e che forse non si giustifica solo con un elettoralismo tendente al paraculo.

Questa posizione mediana tra pro-euro e anti-euro ha evidentemente radici più profonde, che attengono alla natura sociale e di classe della sua creatura, l’M5S, un movimento che come altre volte abbiamo segnalato, è un “movimento borghese, ma che, come movimento borghese pensa di barcamenarsi tra keynesismo e liberismo. Ciò emerge chiaramente dalla supercazzola con cui Casaleggio risponde alla domanda: “Chi se la prende con l’euro dice che la crisi italiana non dipende da corruzione, burocrazia, sprechi, evasione fiscale…”:

«L’euro e l’Europa non devono essere un alibi. Noi abbiamo oggi 800 miliardi di spesa. Di questi, 100 sono tasse sul debito. Degli altri 700, possiamo tagliarne 200. Io discuterò con l’Europa sulla gestione, ma non per questo sono esonerato dal fare pulizia a casa mia».

Tabella n.1 Spesa pubblica al lordo degli interessi

Roba da mettersi le mani nei capelli! Lo sanno anche i profani che la spesa pubblica italiana, al netto degli interessi sul debito, è inferiore alla media europea, e molto più bassa di paesi dalla tripla A (per quanto ancora?) come la Francia [vedi Tabella n.1].

Invece di parlar a vanvera, in compagnia di tanti “economisti” di regime, Casaleggio potrebbe tentare di informarsi, basta poco. Forse il Nostro non c’è, ci fa. E se ci fa non è solo per raccattare voti, ma per la ancora meno nobile ragione di non inimicarsi i settori di alta borghesia che lo stanno corteggiando, quelli che lo avevano inopinatamente invitato nel settembre scorso al Forum Ambrosetti.

Che Casaleggio non fosse un anticapitalista lo sapevamo. Ora sappiamo, al di là della chimera del reddito di cittadinanza, che non è nemmeno un keynesiano. E’ di una gravità inaudita che un leader politico oramai di prima grandezza, tanto più di un movimento che pretende di essere alternativo al blocco bipolare di regime, dica, sulla questione della spesa pubblica,  le stesse idiozie dei servi che dice di combattere.

Tabella n.2. Andamento della spesa pubblica italiana

Suggeriamo a Casaleggio di fare mente locale alla Tabella n.2, dalla quale si evince, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il debito pubblico si impennò a partire dal 1981, ovvero dal cosiddetto divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, che inaugurò un vero e proprio nuovo regime di politica monetaria. In piena offensiva liberista, sotto la pressione di Fmi, Banca mondiale e tecnocrati della Comunità europea, alla banca d’Italia veniva proibito di garantire in asta il collocamento dei titoli di Stato. Quello fu il tornante che si rivelerà decisivo: l’ingresso dell’Italia nel capitalismo-casinò, l’adozione della terapia liberista per entrare poi nel club dell’euro.

Il 7 dicembre scorso, tentando si spiegare l’indifferenza per certi versi ostile di M5S rispetto al nascente movimento di protesta del 9 dicembre, scrivevo:

«la principale causa politica è il religioso legalitarismo, il rispetto di M5S delle leggi e delle autorità costituite, quindi il vero e proprio timor panico della lotta diretta e dell’azione di massa. Al fondo la spiegazione sta nella natura stessa del movimento “grillino”, che non è né cucca né noce, né di governo né tantomeno un movimento di lotta. Forte sul web, su facebook, non è minimamente in grado di stare nel sociale. I suoi attivisti sono in gran parte virtuali, impregnati oltretutto da una inguaribile mentalità elettoralistica».  [M5S E IL 9 DICEMBRE: NÉ DI LOTTA NÉ DI GOVERNO]

Come abbiamo scritto altre volte, per M5S vale un criterio generale: un movimento politico il cui gruppo dirigente non si considera anticapitalista è giocoforza un gruppo borghese, che si colloca insomma nel campo del capitalismo.

Sento sussurarmi all’orecchio: “e come avete potuto votare l’anno scorso M5S se lo considerate un movimento borghese?”. Proviamo a ripetere come la vediamo.

Il fatto è che in quel campo, tanto più adesso, è in corso una lotta accanita, che lascerà sul campo diversi cadaveri. Non abbiamo cambiato opinione. In queste circostanze, già eccezionali e segnate dall’assenza nel campo da gioco di un protagonista sovranista rivoluzionario, non è solo utile ma necessario sostenere tatticamente quei movimenti che, pur con tutti i limiti, contrastano il regime dominante, che mettono i bastoni fra le ruote al nemico principale.

Che avessimo visto giusto in occasione delle elezioni del febbraio 2013, solo dei testardi prevenuti possono negarlo. La gran parte delle battaglie ingaggiate da M5S, seppure solo sul piano parlamentare, è stata giusta — a dimostrazione che in M5S c’è una corrente ben più avanzata del calvinistico “Casaleggio pensiero” e che prima o poi se ne separerà.

Vale questo criterio anche per le imminenti elezioni europee? Ne stiamo discutendo in redazione e in Mpl.

da sollevAzione