Giovedì gli scozzesi decideranno se separarsi oppure no dal Regno Unito. Il risultato è incerto, e già questa è un’enorme sorpresa rispetto a quel che ci si attendeva soltanto due settimane fa. Dalla previsione di un successo del no, che all’establishment londinese pareva scontato, siamo infatti passati ad una lotta all’ultimo voto. Ed a Londra è il panico.

La campagna per il no all’indipendenza, fin dall’inizio basata sulla paura, ha rincarato la dose sugli effetti catastrofici di una vittoria del sì: isolamento della Scozia, caos monetario, fuga di capitali, eccetera. In realtà, i politici inglesi – non solo le forze governative, ma pure i laburisti – non sono tanto preoccupati  del futuro dei 5 milioni di scozzesi, quanto dall’indebolimento del Regno Unito e dalla crisi politica che inevitabilmente li investirebbe.

Gli scozzesi hanno tante buone ragioni per votare sì. E così pure la sinistra scozzese. Non a caso sono diverse le personalità e le organizzazioni di sinistra che si sono apertamente pronunciate per il sì. Inoltre, secondo gli ultimi sondaggi, gli elettori che voteranno sì nel campo laburista – partito che è alla testa del fronte del no, dato che i conservatori in Scozia sono considerati semplicemente impresentabili – sono passati in poche settimane dal 18 al 35%.  

Negli strati popolari c’è la legittima attesa di una politica meno liberista. Lo Scottish National Party (SNP), che guida lo schieramento indipendentista, è una forza di ispirazione socialdemocratica che ha nel suo programma la difesa del welfare, una tassazione progressiva ed una maggiore redistribuzione della ricchezza. Forse è anche per questo che la maggioranza degli operai (secondo i sondaggi il 56%) è favorevole all’indipendenza.

Più controversa la questione della futura collocazione internazionale della Scozia. Lo SNP è favorevole alla permanenza nell’Unione Europea, mentre non è troppo chiara la posizione sulla NATO, anche se resta la ferma opposizione alle basi nucleari presenti sul territorio scozzese. Interessante, comunque, la posizione espressa anche di recente dal leader indipendentista Salmond, contraria alla politica guerrafondaia ed alle avventure militari di Londra, in particolare alla partecipazione della Gran Bretagna all’aggressione all’Iraq del 2003.

Cinque motivi per augurarsi la vittoria del sì

Il voto scozzese non riguarda solo gli scozzesi. E’ vero, l’incertezza è grande non solo sull’esito del referendum, ma anche sugli sviluppi che seguirebbero ad una vittoria del sì. Ma ci sono almeno cinque motivi per auspicare che la scelta indipendentista prevalga.

Vediamoli:

1. La Gran Bretagna – L’indipendenza scozzese segnerebbe di fatto la crisi del Regno Unito. Essa sarebbe un colpo non soltanto a quel che resta della vecchia potenza colonialista ed imperialista, ma anche all’attuale ruolo di alleato numero uno della superpotenza americana.

2. Il capitalismo globalista – Dopo i decenni della destabilizzazione dell’est europeo, seguiti al biennio 1989/1991, anche l’occidente imperialista vedrebbe rimettersi in moto i propri confini, ponendo fine tra l’altro all’idea del progressivo superamento degli stati-nazione, cioè ad una delle idee-forza del capitalismo globalista. Da qui il crescente nervosismo della city londinese, segno inconfondibile della portata della posta in gioco.

3. L’Unione Europea – E’ vero che la nuova Scozia indipendente chiederebbe di aderire all’Unione Europea, ma per l’UE l’indipendenza scozzese sarebbe un autentico choc. Intanto, nell’immediato, il perimetro dell’UE si restringerebbe per la prima volta. Poi, la successiva adesione non sarebbe certo automatica né tantomeno scontata, visto che diversi stati (in primo luogo la Spagna) certamente si opporrebbero. In ogni caso, la già scricchiolante costruzione europea non potrebbe che risentirne in profondità.

4. La moneta – Gli indipendentisti scozzesi chiedono di poter continuare ad usare la sterlina. Ma sentite come ha motivato il suo no Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra: «un’unione monetaria tra una Scozia indipendente e il resto del Regno Unito sarebbe incompatibile con la sovranità». Insomma, un’unione monetaria anche tra due soli paesi, peraltro precedentemente uniti, non si può fare. E’ una questione di sovranità. A nessuno, sul continente, fischiano gli orecchi? Non sappiamo come finirà la cosa, ma non possiamo certo escludere la strada della sovranità monetaria, che sarebbe non solo la migliore per gli scozzesi, ma anche quella che dimostrerebbe una volta di più la mostruosità dell’euro, nonché la possibilità oltre che la necessità di uscirne.

5. La democrazia – Ha scritto Massimo Nava (editoriale del Corriere della Sera del 14 settembre) che la vicenda scozzese va letta nel più generale contesto europeo, determinato da «un denominatore comune, che è la causa dello scenario generale: la diminuita legittimità degli Stati nazionali, lo scarso riconoscimento dell’Europa come soggetto politico sovranazionale». In una parola, la crisi della democrazia. Naturalmente, diciamo noi al di là del caso scozzese, la risposta a questa crisi, che è l’altra faccia del concreto dominio delle oligarchie sovranazionali, non dovrà essere sempre e necessariamente quella delle “mille patrie”. Ma che intanto da qualche parte si cominci a rispondere chiedendo democrazia e sovranità è già un bel passo avanti.