«In una breve introduzione al nuovo piano presentato da SYRIZA si legge che l’esecutivo di Atene assicura che la Grecia si considera “un membro orgoglioso e irrinunciabile dell’Unione europea e un membro irrevocabile della zona euro“. Parole inequivocabili, scolpite nella pietra, che gettano una luce sinistra sul futuro della Grecia. Il demenziale atto europeista di fede del gruppo dirigente di SYRIZA, ha tutto l’aspetto di un suicidio politico».

Adriana Cerretelli, nel suo editoriale su Il Sole 24 Ore di oggi, ragionando sulla concreta possibilità di un imminente (giugno?) default della Grecia in assenza di un nuovo “salvataggio” europeo, scopre l’acqua calda. Leggiamo:
«… rispetto e stabilità delle democrazia si scontrano, infatti con rispetto e stabilità dell’eurozona».
E’ una novità assoluta per il giornale confindustriale, che ha sempre dogmaticamente sostenuto la perfetta corrispondenza tra democrazia e regime della moneta unica.

Il fatto è che se l’uno (l’euro) sopravvive, l’altra (la democrazia) è condannata a morire, e viceversa. La ragione è semplice: le moderne democrazie sono cresciute in simbiosi con le sovranità nazionali. Non si è mai visto, di converso, alcun impero democratico. E ciò vale anche per quello che hanno in testa gli euristi.

Abbiamo segnalato in questi anni a iosa le ragioni economiche della crisi dell’eurozona, quella che oggi viene in primo piano è tuttavia squisitamente politica. Consiste nel contrasto insanabile tra la tendenza imperiale e imperialistica che il mercato unico (e la sua moneta) porta connaturata, e gli stati-nazione. Questi, in quanto corpi storico-sociali determinati, quindi dotati di una loro doppia sostanza, materiale e spirituale resistono, come ogni organismo vivente, alla propria dissoluzione.

L’esito di questo contrasto non è già scritto. Non è vero, come affermano i globalisti, scambiando i loro desiderata con i processi storici reali, che il destino degli stati-nazione sia già segnato. Noi riteniamo che sia vero il contrario: che L’Unione europea non diventerà mai un super-Stato-federale. E non è vero, come ritengono certe sinistre, che scambiano il globalismo con l’internazionalismo, che il superamento degli stati-nazione sia un fatto di per sé progressivo. Se “progressivo” non sta solo per “moderno”, se esso sta a significare uno stato di cose ancorato ai principi universalistici di libertà, eguaglianza sociale e fratellanza tra i popoli, un impero segnato dal predominio  del Moloch della finanza imperialistica e predatoria, sarebbe un esito tragicamente reazionario: il regno supremo del dispotismo di ristrette minoranze plutocratiche, della radicale ineguaglianza sociale, della frantumazione, dell’odio tra i popoli.

Un esempio lampante c’è dato dalla rotta di collisione tra i due poli dell’Unione: la Grecia e la Germania. In Grecia, vero e proprio banco di prova dell’esperimento neo-imperialistico dell’euro, il consenso al governo di SYRIZA, quindi alla sua promessa di porre fine alle distruttive terapie neoliberiste, è oggi all’80%. In Germania, invece, la Merkel ha a che fare con un’opinione pubblica (aizzata dal potente quanto sciovinista quotidiano Bild) che vuole buttare fuori la Grecia dall’eurozona. La crescita di consensi dell’AfD fa il paio con quella dei tedeschi che chiedono la rottura con la Grecia: il 52% (erano il 41% a febbraio). Fratturazioni stanno avvenendo nello stesso partito della Merkel: già una trentina i deputati democristiani che chiedono di lasciare la Grecia “a sé stessa”, mentre un noto parlamentare ha abbandonato la Merkel per protesta contro l’eventuale nuovo “salvataggio” di Atene.

In questo contesto SYRIZA si dimena in penose contorsioni.

Il Financial Times di ieri ha pubblicato in anteprima stralci del piano in 26 pagine che il governo greco ha presentato in cambio di nuovi aiuti per evitare il default. Scrive il Financial Times che le misure adombrate da Atene “sono in linea con le attese dei creditori” — che oggi non sono più le grandi banche d’affari private, bensì gli stati dell’eurozona, la Bce e il Fmi. Il Ministero delle finanze greco, da parte sua, assicura che le misure proposte — lotta all’evasione fiscale, vendita delle frequenze televisiva, nuove privatizzazioni, tassazione dei giochi online, ecc. — sono in linea con l’accordo del 20 febbraio scorso con l’Eurogruppo e porteranno ad un attivo di bilancio del 3,9% sul Pil, rispetto al 3% chiesto dai creditori.

Diciamo le cose come stanno: siamo davanti ad un nuovo passo indietro di SYRIZA. Al netto di alcune briciole per conservare l’ampio consenso di cui il governo di Tsipras gode — aumento graduale del salario minimo, ripristino parziale della contrattazione collettiva, tredicesima per le pensioni minime —, il piano presentato da Atene sta in sostanziale continuità con quello imposto al precedente governo di Samaras. In altre parole il Programma di Salonicco con cui SYRIZA ha ottenuto la sua vittoria elettorale è stato derubricato, stracciato.

Vedremo se questo penoso cedimento sarà sufficiente per convincere gli euro-oligarchi a concedere alla Grecia i quattrini necessari ad evitare il default ed il “privilegio” di restare nell’eurozona. La risposta al quesito non tarderà molto. Lo sapremo nelle prossime settimane. Un fatto è certo: la decisione finale sarà presa a Berlino, dipenderà dalla battaglia politica in seno alla cupola politica tedesca. La Merkel accetterà di rimandare la cacciata della Grecia solo se potrà dire di avere vinto e quindi di aver piegato ed umiliato SYRIZA.

Ci sono le condizioni perché ciò accada?
Sì, ci sono.

Dopo il mezzo accordo del 20 febbraio, noi abbiamo evitato di parlare di “grande tradimento di SYRIZA”. Abbiamo invitato alla prudenza, sottolineando non solo le condizioni difficilissime e l’isolamento in cui si trovava il nuovo governo greco, ma il carattere aleatorio di quell’accordo. Infatti gli euro-oligarchi lo respinsero, chiedendo molto di più e ponendo Atene davanti alla decisione di rompere ed abbandonare l’euro. Col nuovo piano rivelato dal Financial Times, SYRIZA, pur di restare nell’eurozona, ha deciso di cedere ai diktat euro-tedeschi.

In una breve introduzione al nuovo piano presentato da SYRIZA si legge che l’esecutivo di Atene assicura che la Grecia si considera «un membro orgoglioso e irrinunciabile dell’Unione europea e un membro irrevocabile della zona euro». Parole inequivocabili, scolpite nella pietra, che gettano una luce sinistra sul futuro della Grecia. Il demenziale atto europeista di fede del gruppo dirigente di SYRIZA, ha tutto l’aspetto di un suicidio politico.

Tsipras e il ristretto gruppo che lo affianca sembrano avere deciso di immolarsi sull’altare dell’Unione europea. Non hanno tuttavia il diritto di trascinare in questo crudele sacrificio il loro popolo. Con un ben altro mandato essi sono stati infatti portati al governo dai greci. Se non sono anch’essi degli oligarchi questo mandato dovrebbero riconsegnarlo nelle mani dei cittadini che glielo hanno dato sperando che SYRIZA avrebbe segnato l’attesa svolta.

Se non si dimetteranno convocando nuove elezioni, se faranno come Papandreu — che nel 2011 annunciò un referendum per far decidere ai cittadini sui diktat europei ma che poi annullò ignominiosamente a causa delle minacce degli eurocrati —, non solo vorrà dire che essi avranno accettato di diventare servi e gauleiter dei poteri forti euro-tedeschi; avremo avuto l’ennesima dimostrazione che tra Unione euro(pea) e democrazia non solo non c’è corrispondenza ma irriducibile contrasto.