Ora sono tutti scandalizzati. Ma qual è il vero problema della sinistra italiana?

La notizia è di qualche giorno fa. Con una nuova giravolta Barbara Spinelli ha lasciato la “Lista Tsipras”. Ma oltre alla piroetta c’è anche una conferma: Spinelli manterrà il seggio a Strasburgo. Il seggio, non la presenza, che nell’apposita graduatoria del 2014 è risultata terzultima con la partecipazione a 3 votazioni su 39 (7,69%!).

Ora, sulle qualità della signora resterebbe ben poco da aggiungere. In tanti hanno già ricordato che nel marzo dello scorso anno aveva “accettato” di candidarsi, ma solo – parole sue – per  «lasciare il seggio a candidati che hanno più energia e competenze». Promessa subito smentita agli inizi di giugno, quando si era tenuta il seggio – ovviamente non per sé, non sia mai detto – ma per il bene della sinistra, del Paese e dell’Europa intera.

Aggiungono i maligni, e noi lo registriamo per dovere di cronaca, che nell’anno trascorso Spinelli non avrebbe versato neppure un euro delle quote previste al gruppo parlamentare. Ma non spariamo sulla Croce Rossa, che già ci pensano i vecchi compagni di cordata. «Incoerente», ha protestato il sellino Fratoianni. E sai che scoperta!

Chi ci segue sa che avevamo denunciato con forza e da subito il ruolo e l’operazione dell’ex compagna di Padoa Schioppa*, come potete leggere QUI, QUI, QUI e QUI.

Perché tornarci sopra adesso, nel momento in cui la Spinelli è ormai sputtanata a 360 gradi? Per un semplice motivo. Perché, al di là delle miserie personali, questa vicenda ci parla più in generale del marasma in cui versa la sinistra italiana. Una sinistra che sente di avere potenzialmente un notevole spazio, lasciatogli dall’operazione neo-democristiana di Renzi, ma che non ha la più pallida idea di come conquistarlo davvero.

Il quadro è abbastanza noto, ma merita di essere ricordato. La “Lista Tsipras” in pratica non esiste più. Dei “promotori” è rimasto solo Marco Revelli, dopo che se ne sono andati anche Gallino e Viale. Un altro europarlamentare, Curzio Maltese, è entrato a far parte – come “indipendente”, una novità assoluta – nella segreteria di SEL. Il partito di Vendola, sebbene ancora alleato di Renzi in tante realtà, vorrebbe far da cerniera tra chi sta uscendo dal Pd e il resto della sinistra. In quanto a Rifondazione, la Direzione della scorsa settimana ha lanciato la «costituente della sinistra», un ipotetico rassemblement della sinistra antiliberista che dovrebbe costituirsi in «sinergia con la “Coalizione sociale” di Landini».

E qui, come nel Gioco dell’Oca, torniamo alla casella di partenza. Cioè alla signora Spinelli, che dichiara all’Huffington Post di voler ora «rappresentare Landini a Strasburgo». Ma il segretario della Fiom non ha ancora deciso cosa fare da grande. Di certo, se dalle parole passerà ai fatti, egli non vorrà dare troppo spazio ai brandelli dell’ex Arcobaleno, e questo spiega il ruolo meramente “sinergico” e complementare che gli attribuisce il preoccupato Ferrero.

Insomma, gli spazi ci sono, ma troppi sono i galli a cantare. La cosa più grave è però un’altra. Ed è che in questa rissa brillano le gomitate, non le idee. Anzi, le idee vengono quasi considerate un’optional, come se bastasse dirsi anti-liberisti ed anti-renziani.

Ed invece non basta affatto. Naturalmente non possiamo che essere felici del diffondersi dell’anti-renzismo, così come dell’anti-liberismo. Ma il renzismo – ed il suo stesso costruirsi tendenzialmente come regime –  affonda le sue radici nella condizione strutturale di un’Italia inserita e schiacciata nel sistema dell’euro. Ed è impossibile lottare concretamente contro il neo-liberismo senza mettere in discussione questo sistema.

Ora, noi siamo realisti, e non possiamo certo illuderci su rapide correzioni di rotta in materia. Ci accontenteremmo perciò di un inizio di discussione sul tema. Ma questo inizio non c’è. Perlomeno non in personaggi come Vendola, Ferrero, Revelli o Landini. Costoro, inclusa la new entry Civati, continuano a non dire una parola nel merito. Ed è un silenzio pesante come un macigno. Una reticenza che spiega la loro scarsa credibilità.

Non si difendono gli interessi delle classi popolari rinchiudendosi in una nicchia a reclamare salario, occupazione e diritti, fingendo di non sapere che questi obiettivi sono incompatibili con l’appartenenza all’eurozona. Fingendo di ignorare la sua manifesta (la Grecia insegna) irriformabilità. Fingendo che non esista, insieme alla questione di classe, una gigantesca questione nazionale, che rischia così di venir lasciata interamente nelle mani della destra.

Noi restiamo fiduciosi del fatto che una sinistra sovranista finirà con l’emergere. Non nascerà però dai personaggi di cui ci siamo fin qui occupati. Costoro, anche dovessero ricredersi (come, sia chiaro, ci auguriamo), arriverebbero sempre tardi. Ecco perché la vicenda di Barbara Spinelli non è da archiviarsi come un semplice “incidente di percorso”, un errore che può capitare a tutti. No, l’accettazione della sua leadership in occasione delle elezioni europee, di ben altro ci parla: di una subalternità culturale, quando non anche politica, ai signori dell’euro, magari in nome di un “internazionalismo” inteso di fatto come mera accettazione della globalizzazione capitalistica.

Inutile scandalizzarsi, quindi, di Barbara Spinelli. Del tutto inutile, fintanto che non ci si saprà liberare di questa subalternità. Che è il vero problema della sinistra italiana.

NOTA
* Naturalmente, così come le colpe dei padri non debbono ricadere sui figli, neppure quelle dei mariti o compagni debbono ricadere sulle mogli o compagne. Tuttavia, al solo sentir nominare il nome di Padoa Schioppa non possiamo fare a meno di ricordarci quel che scrisse sul Corriere della Sera del 26 agosto 2003 a proposito delle famose “riforme strutturali” per l’euro(pa):
«Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere».