Intanto Tsipras non ha più il sostegno della maggioranza parlamentare uscita dal voto di gennaio. E quella in Syriza ce l’ha ancora?

Stanotte il parlamento di Atene si è pronunciato. Tsipras ha ottenuto 251 voti su 300. Una maggioranza schiacciante ottenuta grazie ai voti di Nuova Democrazia, Pasok, To Potami. Ma quello di Tsipras non è affatto un successo. La maggioranza che lo ha messo a capo del governo a gennaio non c’è più. Dei 162 voti di cui disponeva ne sono rimasti solo 145. Tra i parlamentari della sinistra del partito due hanno votato contro, 8 si sono astenuti (tra questi due ministri e la presidente della Camera), 7 sono stati assenti. Particolarmente pesante l’assenza di Varoufakis.

Pubblicheremo più tardi il documento presentato dalla Piattaforma sinistra di Syriza. Intanto ci sembra utile proporre ai lettori la versione integrale dell’articolo scritto ieri da Stathis Kouvelakis.

Coloro che conducono la Grecia e la sua sinistra si dovrebbero opporre alla resa.
Chiunque viva, o anche solo segua, gli sviluppi in Grecia conosce fin troppo bene il significato di espressioni come “momenti critici”, “clima di tensione”, “drammatico ribaltamento” e “pressing al limite”. Con gli sviluppi da lunedì qualche nuovo vocabolario dovrà essere aggiunto alla lista: l’”assurdo”.

La parola può sembrare strana, o un’esagerazione. Ma in quale altro modo si potrebbe caratterizzare il rovesciamento totale del significato di un evento incredibile come il referendum il 5 luglio solo dopo poche ore la sua conclusione, da parte di coloro che hanno chiesto un “no” per ricominciare?

Come spiegare che Vangelis Meimarakis, a capo di Nuova Democrazia e Stavros Theodorakis a capo di To Potami – in testa al campo che ha subito una così schiacciante sconfitta Domenica – avrebbero dovuto  diventare i portavoce ufficiali della linea da eseguire per il governo greco? Come è possibile che un devastante “no” al Memorandum delle politiche di austerità debba essere interpretato come un via libera per un nuovo protocollo? E per dirla in termini di senso comune: se erano disposti a firmare qualcosa di peggio e ancora più vincolante rispetto alle proposte del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, qual’era l’obiettivo del referendum e lo scopo del vincerlo?

Il senso dell’assurdo non è solo un prodotto di questa inaspettata inversione. Esso deriva soprattutto dal fatto che tutto questo si sta svolgendo sotto i nostri occhi, come se nulla fosse accaduto, come se il referendum fosse qualcosa di simile a una allucinazione collettiva che termina improvvisamente, lasciando a noi di continuare liberamente quello che stavamo facendo prima. Ma poiché non siamo tutti diventati mangiatori di loto, cerchiamo almeno di fare un breve riassunto di ciò che è avvenuto negli ultimi giorni.

Domenica scorsa, il popolo greco ha scosso  l’Europa e il mondo, rispondendo in massa alla chiamata del governo e, in condizioni senza precedenti per gli standard del dopoguerra di qualsiasi paese europeo, nella stragrande maggioranza ha votato “no” alle proposte esorbitanti e umilianti dei creditori. Sia l’estensione del voto “no” e la sua composizione qualitativa, con il suo enorme vantaggio tra i lavoratori e i giovani, testimoniano la profondità delle trasformazioni che si sono susseguite, o meglio, che si sono cristallizzate in un tempo così breve, nella società greca.

Mobilitazioni di massa del venerdì, il clima “dal basso” che ha prevalso nel corso dell’ultima settimana, per non parlare della ondata entusiasta della solidarietà internazionale, testimoniano l’enorme potenziale che si apre con la scelta del conflitto politico e popolare, invece della ritirata.

Ma da Lunedi mattina, prima ancora che si fossero del tutto spente nelle piazze le grida per la vittoria, il teatro dell’assurdo è iniziato. Sotto l’egida dell’attivamente pro-Sì presidente greco della repubblica, Prokopis Pavlopoulos, il governo ha convocato i capi dei partiti sconfitti per elaborare un quadro di riferimento per la negoziazione ipotizzando l’euro come limite esterno invalicabile della posizione greca e dichiarando espressamente di non aver alcun mandato per lasciare l’unione monetaria. [qui Varoufakis se ne era già andato. Sempre più mi convinco non volesse sottoscrivere personalmente una resa che non condivideva ma che gli altri capi del partito avevano già deciso ndt ].

Il pubblico, ancora avvolto nell’atmosfera gioiosa di Domenica, osserva come il rappresentante del 62 per cento venga subordinato al 38 per cento nel periodo immediatamente successivo di una clamorosa vittoria per la democrazia e la sovranità popolare.

Martedì scorso, il governo, con nessuna nuova “proposta” da fare, trasferisce le sue attività a Bruxelles per la riunione straordinaria dell’Eurogruppo e, come è assolutamente logico, si ritrova di fronte a un nuovo e ancora più duro ultimatum. Il giorno dopo Euclide Tsakalotos inaugura i suoi doveri di ministro delle Finanze (nell’interesse della brevità si passa sopra il fatto delle dimissioni di Yanis Varoufakis , semplicemente si nota che si trattava di una imposizione dei creditori) inviando al meccanismo europeo di stabilità (ESM), l’organizzazione che gestisce la maggior parte del debito greco, una lettera di richiesta di un nuovo prestito di € 50 miliardi di euro, che sarà accompagnato, naturalmente, da un terzo memorandum. Si prevede, infatti, che il parlamento inizierà il Lunedi a votare la rilevante normativa che approvi la scelta.

La lettera prosegue con Tsakalotos che fa riferimenti alla Grecia che si impegna “per onorare i suoi obblighi finanziari nei confronti di tutti i suoi creditori, in modo completo e tempestivo”.
E ‘ovvio che, nonostante le assicurazioni che si son sentite dopo l’esito del referendum per il “riavvio dei negoziati da zero”, i “negoziati” continuano esattamente da dove si erano interrotti, con i Greci che abbassano la sbarra alla squadra avversaria ad ogni passo del cammino.

Lo stesso giorno, in attesa delle nuove “proposte” greche, che dovevano essere “affidabili e dettagliate”, il primo ministro Alexis Tsipras si rivolge al Parlamento europeo e dichiara che “se il mio obiettivo fosse stato quello di portare la Grecia fuori dall’euro, subito dopo la chiusura delle urne non sarei andato a fare le dichiarazioni che ho fatto, e non avrei interpretato il risultato del referendum non come un mandato per una rottura con l’Europa, ma come un mandato per rafforzare i nostri sforzi negoziali in modo da arrivare a un accordo migliore”.

Ciò equivale a un più o meno aperto riconoscimento del fatto che il risultato del referendum è stato interpretato con un fine specifico in mente, quella di negoziare a tutti i costi ed evitare una spaccatura.

Nello stesso discorso, il primo ministro delinea molto brevemente la filosofia che per molte settimane ha uniformato l’intero assetto della parte greca e alla quale la parentesi del referendum non ha portato il minimo cambiamento:

In queste proposte abbiamo evidentemente preso un impegno forte per raggiungere gli obiettivi di bilancio che sono necessari, sulla base delle regole, perché ci rendiamo conto, e rispettiamo, il fatto che la zona euro ha delle regole. Ma ci riserviamo il diritto di scelta, il diritto di essere in grado come un governo sovrano, di scegliere dove dovremo posizionare, e aggravare, il carico fiscale, in modo da essere in grado di raggiungere gli obiettivi di bilancio richiesti.

Così il quadro è dato: è quello delle misure restrittive e degli avanzi di bilancio sicuri, del puntare al rimborso del debito. È incontestabilmente il quadro del memorandum. Il disaccordo è sulla “ripartizione degli oneri”. Si tratta di una (presunta) “socialmente più giusta” variante di austerità, che sarà presentata come “redistribuzione” allo stesso tempo in cui perpetuerà la recessione (ogni riferimento a un impegno per misure anti-recessione è stato cancellato) e l’impoverimento della maggioranza.

Nel frattempo, e mentre queste rassicurazioni lenitive vengono proposte per demolire ciò che è rimasto degli impegni programmatici di Syriza, c’è un inasprimento dello stato d’assedio che nel paese è perdurante, con la Banca centrale europea che tiene chiuso il rubinetto della liquidità e abbassa ancora di più il valore delle obbligazioni bancarie, conducendo inevitabilmente al collasso.

Eppure, nonostante la gravità della situazione e nonostante il fatto che attraverso l’imposizione dei controlli sul capitale una parte della strada sia già stato coperto, nessuno, a parte Costas Lapavitsas e alcuni quadri della piattaforma sinistra, sta parlando di basilari ed auto-evidenti misure di auto-protezione che sono rese necessarie dalle circostanze di questo tipo, a partire dal controllo pubblico e la nazionalizzazione del sistema bancario.

La spiegazione di questo è ovviamente molto semplice: qualsiasi iniziativa di questo tipo porrebbe la Grecia con un piede fuori dall’euro cosa che il governo è completamente indisponibile a fare, nonostante il fatto che anche gli economisti mainstream come Paul Krugman affermano che “la maggior parte del costo è già stato pagato”, e che è giunto il momento per la Grecia “di raccogliere i frutti”.

Un semplice conclusione emerge da tutto questo: con le mosse che ha compiuto la scorsa settimana, il governo non ha ottenuto altro che un pieno ritorno all’intrappolamento precedente da una posizione molto più favorevole, sotto la pressione di un ancora più implacabile soffocamento economico. Esso è riuscito a sperperare l’iniezione potente di capitale politico del referendum a tempo di record, seguendo in tutti i punti la linea di coloro che si erano opposti e che hanno tutte le ragioni per sentirsi vendicati, pur essendo stati sconfitti alle urne.

Ma il referendum è accaduto. Non era un’allucinazione da cui tutti si sono ormai risvegliati. Al contrario, l’allucinazione è il tentativo di ridurla ad un temporaneo “sfiato di vapore” prima di riprendere la corsa in discesa verso un terzo memorandum.

E sembra che il governo stia proprio su questa strada suicida. Ieri, in tarda serata, ha inviato a tutti i membri del parlamento (deputati) un testo frettolosamente scritto di dodici pagine, scritte in inglese da esperti inviati dal governo francese e basato sulla  richiesta di Tsakalotos per un prestito di € 50.000.000.000 alla ESM.

Questo non è altro che un nuovo pacchetto di austerità – in realtà, una “copia e incolla” del piano Juncker respinto dall’elettorato qualche giorno fa. Il suo nucleo è fin troppo familiare: avanzi primari, tagli alle pensioni, aumento delle IVA e altre imposte e una manciata di misure per dare un leggero sapore di “giustizia sociale” (ad esempio, un aumento del tasso di imposta sulle società da due punti). Il documento è stato approvato da tutti i principali ministri tranne Panos Kammenos, capo del partito Greci Indipendenti (ANEL), e Panagiotis Lafazanis, il leader della Piattaforma sinistra.

Il Parlamento è stato chiamato a votare su questo testo oggi, secondo le stesse procedure di emergenza che sono state precedentemente denunciate con forza da Syriza. In molti aspetti questo processo può essere considerato un “colpo di stato parlamentare” in quanto il parlamento è chiamato a votare su un testo che non è né un disegno di legge, né è un accordo internazionale, dando una sorta di carta bianca per il governo a firmare un accordo di prestito.

Ma questa approvazione parlamentare è stata esplicitamente impostata come condizione per ogni ulteriore trattativa da parte del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble.

Come era prevedibile, e probabilmente anche pianificato, questa proposta di accordo ha scatenato un putiferio all’interno Syriza. Per il momento, la maggior parte delle reazioni forti sono venute dalla Piattaforma di sinistra e altre correnti di sinistra di Syriza, come KOE, l’organizzazione maoista che ha quattro parlamentari. Durante l’incontro drammatico di oggi del gruppo parlamentare di Syriza, Lafazanis, Ministro dell’Energia e leader della Piattaforma sinistra, ha detto che l’accordo è “incompatibile con il programma di Syriza” e “non offre una prospettiva positiva per il Paese”. I ministri della piattaforma di sinistra dovrebbero dimettersi oggi.

Thanassis Petrakos, uno dei tre relatori del gruppo parlamentare di Syriza e un membro di spicco della Piattaforma Sinistra, ha dichiarato:

«Il “no” del referendum è stato un radicale e di classe “no”. Alcuni compagni altolocati insistono sulla logica del “non c’è altra strada”. Dobbiamo preparare l’uscita dalla zona euro e dirlo chiaramente alla gente. La sinistra ha un futuro quando apre le sue ali verso l’ignoto, non verso il nulla. Coloro che insistono sulla scelta di rimanere nell’euro qualunque sia il costo dovrebbero sapere che si tratta di un disastro. Abbiamo bisogno di uscire per inaugurare un nuovo percorso. I primi passi sono il controllo pubblico delle banche e della banca centrale greca e un giro di vite sull’oligarchia».

Si dice che anche Varoufakis si sia opposto all’accordo, così come alcuni deputati del gruppo dei “cinquantatre” (l’ala sinistra della maggioranza), anche se in una riunione interna svoltasi ieri un divario significativo è apparso tra i quadri delle fila e gli intermedi, fortemente contrari all’accordo, e i parlamentari, molto più inclini a sostenerlo. [rischiano di perdere la base. I parlamentari si sono incollati alla cadrega, chi deve metterci la faccia in mezzo alla gente non vuole…..molto indicativo!]
La votazione che si svolgerà in tarda serata sarà certamente di importanza cruciale per gli sviluppi futuri, ma anche per il futuro di Syriza.

Qualunque cosa accada nelle prossime ore e giorni, una cosa deve essere chiara: ogni tentativo di annullare la volontà popolare per il capovolgimento dell’austerità e dei memorandum, corrisponderà ad hybris nell’antico senso greco del termine. [sdegno, vendetta degli Dei] Chiunque osi guidare la patria, e la sinistra, alla resa ed al disonore dovrebbe essere pronto ad affrontare la corrispondente nemesi.

traduzione di Enea Boria