Anche in Spagna gli eurocrati vorrebbero “stabilità”, trucco linguistico per designare un esecutivo prono ai loro voleri con le opposizioni ricacciate in un angolo. Ben difficilmente l’avranno, mentre il Partito socialista (PSOE) rischia addirittura un disastro storico.
Domani si vota in Spagna. Un voto ancora più interessante a soli tra giorni da quello storico della Brexit. Nel frattempo l’Unione Europea fibrilla. I “federalisti” vorrebbero approfittare dell’occasione per rilanciare il loro folle disegno degli “Stati Uniti d’Europa”. Ma siccome questo progetto è palesemente fuori dalla realtà, si “accontenterebbero” di nuove cessioni di sovranità da parte degli Stati nazionali. Anche questo obiettivo appare però al di là delle loro attuali possibilità.
Come potrà impattare in questo quadro il voto spagnolo?
Di certo non sarà un voto di “stabilità”. I tempi del bipartitismo appartengono ormai ad un’altra epoca. Come ci dice l’articolo di Steven Forti, che pubblichiamo di seguito, l’alternativa è tra una “grande coalizione” (che poi tanto grande non sarebbe) tra PP e PSOE od un governo Podemos-PSOE. In un caso come nell’altro (ma il secondo scenario è possibile solo con il sorpasso elettorale di Podemos sul PSOE, con Iglesias primo ministro) vi sarebbero enormi problemi per ognuno di questi partiti. Le difficoltà più grandi saranno comunque quelle che dovrà affrontare il PSOE, che potrebbe addirittura rischiare una netta frattura al proprio interno.
Qui sotto l’articolo di Steven Forti.
Spagna, grande coalizione o governo delle sinistre?
di Steven Forti
Domenica gli spagnoli tornano a votare dopo soli sei mesi. Nuove elezioni dunque, anche se Pablo Iglesias preferisce chiamarle “il secondo turno” del 20 dicembre. Secondo i sondaggi, il Partido Popular (PP) si confermerebbe primo partito, mentre Unidos Podemos potrebbe diventare la seconda forza nel Parlamento di Madrid, superando anche i seggi del Partido Socialista Obrero Español (PSOE). Saranno chiave i risultati di alcune circoscrizioni per determinare la correlazione di forze e le possibili maggioranze di governo. Due le opzioni al momento: o una grande coalizione o un governo di sinistra.
I comizi dello scorso 20 dicembre hanno cambiato radicalmente il panorama politico spagnolo figlio della transizione dalla dittatura franchista alla democrazia. Il bipartitismo imperfetto formato dal PP e dal PSOE, che ha governato il paese dal 1982, si è trasformato in un quadripartitismo a cui si sono aggiunti Podemos a sinistra e Ciudadanos a centro-destra.
I risultati di dicembre non hanno permesso però la formazione di un governo a causa di una situazione estremamente complessa con un Parlamento quanto mai frammentato e di una serie di veti incrociati, a cui si è aggiunta la carente cultura del patto e degli accordi delle formazioni politiche spagnole. Il PP si è limitato a pretendere di poter governare in minoranza in quanto partito più votato, Podemos non ha ceduto alle pressioni per favorire un governo PSOE-Ciudadanos, mentre i socialisti si sono rifiutati di tentare la via di un governo alla portoghese con Pablo Iglesias grazie a un astensione degli indipendentisti catalani e non hanno nemmeno preso in considerazione un governo di grande coalizione con i popolari. L’impasse è stata totale. Dal labirinto spagnolo non se ne è usciti.
Il probabile sorpasso di Unidos Podemos
Le cose potrebbero cambiare il 26 giugno. In primo luogo, perché nessuno vuole andare a nuove elezioni, le terze in un anno. La pressione dei mercati e delle istituzioni europee sarebbe probabilmente insostenibile e la stanchezza, già visibile, nella popolazione aumenterebbe esponenzialmente. A seconda della correlazione di forze nelle Cortes di Madrid, qualcuno dovrà cedere. In secondo luogo, perché praticamente tutti i sondaggi pubblicati nelle ultime settimane presentano un quadro leggermente diverso rispetto a quello di dicembre.
Secondo il Centro de Investigaciones Sociológicas (CIS), con un leggero aumento dell’astensione (dal 26,8% al 29%), il PP otterrebbe il 29,2% dei voti e 118-121 deputati (28,7% e 123 a dicembre), Unidos Podemos insieme alle confluenze che si presentano in Catalogna, Galizia, Valencia e nelle Baleari raggiungerebbe il 25,6% e 88-92 deputati, il PSOE il 21,2% e 78-80 deputati (22% e 90 a dicembre), Ciudadanos il 14,6% e 38-39 deputati (13,94% e 40 a dicembre). Gli indipendentisti catalani e baschi confermerebbero sostanzialmente i risultati di sei mesi fa con gli 8-9 deputati di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), i 6-7 di Convergència Democràtica de Catalunya (CDC), i 5-6 del Partido Nacionalista Vasco (PNV) e i 2-3 della sinistra abertzale di EH Bildu.
Come si può notare, le differenze sono lievi, tranne nel caso dei socialisti e di Unidos Podemos. Il 20 dicembre la formazione di Pablo Iglesias aveva ottenuto il 20,68% dei voti e 69 deputati, mentre Izquierda Unida (IU) il 3,68% e solo 2 deputati. Stando ai sondaggi, sembra che la scelta di correre insieme sia stata una mossa azzeccata: Unidos Podemos riuscirebbe nell’impresa di superare i socialisti sia in voti sia in seggi e non sarebbe penalizzato, come in passato, dalle legge elettorale spagnola che premia i grandi partiti soprattutto nelle circoscrizioni con pochi abitanti.
La spada di Damocle del PSOE
La maggioranza assoluta nelle Cortes di Madrid è di 176 deputati. Se i sondaggi si confermano il blocco di centro-sinistra (Unidos Podemos e PSOE) la sfiorerebbe e non avrebbe nemmeno bisogno dell’astensione degli indipendentisti catalani. Il candidato socialista Pedro Sánchez non si è stancato di ripetere che non governerà mai con i “populisti” di Podemos, ma in realtà il PSOE è spaccato al suo interno.
Al di là delle dichiarazioni altisonanti, Sánchez rappresenta un settore più pragmatico che potrebbe arrivare a patti con la sinistra, appoggiato dalla federazione catalana e da quella valenciana del suo partito che governano già in ambito locale e regionale con le confluenze di Podemos. È la vecchia guardia del PSOE (Felipe González in primis) e alcuni baroni, come la presidentessa dell’Andalusia, Susana Díaz, sostenuti dai mass media affini, come El País, che non vogliono nemmeno sentir parlare di Pablo Iglesias. In questo rush finale della campagna elettorale, i socialisti si giocano il tutto per tutto per mantenere il secondo posto, se non in voti almeno in seggi.
La strategia di Sánchez passa per riproporre il patto dell’abrazo di marzo per un governo riformista moderato con il partito di Albert Rivera, sperando che PSOE e Ciudadanos abbiano insieme più deputati del PP e che quindi, in assenza di un’altra opzione, il re Felipe VI affidi loro il mandato esplorativo per formare governo. Il punto chiave è chi conquista la seconda posizione e questo spiega anche i toni duri della campagna. In molte circoscrizioni l’ultimo deputato ad essere eletto si deciderà per un pugno di voti: sono questi i seggi che varranno oro e che potrebbero modificare sostanzialmente gli equilibri in Parlamento. Si tenga presente poi che oltre il 30% degli spagnoli non ha ancora deciso il proprio voto.
Il panico dei socialisti di essere superati da Unidos Podemos si trasformerebbe in disperazione nel caso in cui ci fossero anche i numeri per una maggioranza di centro-sinistra. Con un PSOE seconda forza, i socialisti potrebbero anche decantarsi per un governo alla portoghese, chiedendo l’astensione di Iglesias. Ma se fosse superato da Unidos Podemos, il PSOE si troverebbe tra l’incudine e il martello: o appoggiare un governo di Pablo Iglesias o scegliere una grande coalizione. Si aprirebbe una crisi enorme nel partito e Sánchez sarebbe costretto alle dimissioni. Come spiegare ai propri militanti ed elettori che avendo la possibilità di formare un governo progressista si opti per il PP di Rajoy? Il rischio, questa volta reale, per i socialisti è di fare la fine del PASOK.
Podemos e le confluenze
Iglesias ha giocato molto bene le proprie carte, ripetendo continuamente la sua disponibilità a formare un esecutivo di centro-sinistra con il PSOE. Nel dibattito a quattro in televisione della settimana scorsa, il segretario generale di Podemos è stato il chiaro vincitore. Ma i probabili ottimi risultati di Unidos Podemos sono frutto anche di un intelligente lavoro su più livelli: innanzitutto, raggiungendo l’accordo di coalizione a livello nazionale con IU – il tandem con Alberto Garzón funziona, tra l’altro, molto bene – e, in secondo luogo, chiudendo una serie di accordi fondamentali a livello regionale.
In Catalogna, En Comú Podem – formato da Barcelona en Comú, Podemos, ICV-EUiA ed Equo – si confermerebbe come primo partito, sfiorando addirittura il 30%. Un risultato importante anche per gli equilibri catalani in un momento in cui il movimento indipendentista è in chiaro riflusso e si preannunciano nuove elezioni regionali in autunno. In Galizia, En Marea – formata da Podemos, IU, i nazionalisti di sinistra di Anova e le liste municipaliste che governano a La Coruña e Santiago de Compostela – si confermerebbe come secondo partito, mentre a Valencia la coalizione “A la Valenciana” – formata da Compromís, Podemos e IU – e nelle Baleari Units Podem Més – formato da Podemos, IU e i nazionalisti di sinistra di Més – potrebbero convertirsi in primo partito, spodestando il PP in due dei suoi feudi storici.
Non è, però, tutto rose e fiori. Come si è visto nei mesi scorsi, le confluenze regionali aspirano ad una propria autonomia politica ed a poter formare un proprio gruppo parlamentare nelle Cortes di Madrid. A gennaio, per l’opposizione del Parlamento, si optò per un gruppo “confederale”, ma i deputati di Compromís preferirono sedersi nel gruppo misto. Se a luglio si ripropone la stessa situazione catalani, galiziani e valenciani accetterrano ancora il gruppo “confederale”? Per di più, En Comú Podem difende la celebrazione di un referendum legale sull’indipendenza della Catalogna. Iglesias è dello stesso parere, ma per i socialisti, favorevoli ad una riforma della Costituzione in senso federale, si tratta di una condizione inaccettabile. Nel caso in cui si aprissero degli spiragli per un governo progressista, cederebbe Iglesias su questo punto? E cosa farebbe la confluenza catalana promossa dalla sindaca di Barcellona Ada Colau? Non sarà, insomma, facile gestire questa situazione per Iglesias.
Il fantasma della grande coalizione
Il fantasma che però si aggira per la penisola iberica è quello della grande coalizione. Potrebbe essere alla tedesca con i socialisti al governo con i popolari, ma più probabilmente potrebbe trattarsi di un governo in minoranza del PP con l’astensione del PSOE e di Ciudadanos. In quel caso i socialisti salverebbero capra e cavoli, giustificando l’astensione per evitare la ripetizione elettorale e non permettendo a Unidos Podemos di presentarsi come l’unica forza di opposizione. Bisognerà vedere che condizioni si pongono al PP: quasi sicuramente la testa di Rajoy, che però non sembra intenzionato a farsi da parte, anche perché è ben cosciente che un suo abbandono aprirebbe il vaso di Pandora della successione in un partito ancora impreparato e colpito da continui scandali di corruzione.
C’è anche chi non scarta la possibilità di un governo Monti alla spagnola e chi non esclude un governo di Albert Rivera appoggiato dai due grandi partiti. Per ora si tratta di fantapolitica. In ogni caso, qualunque sia l’opzione di grande coalizione, si tratterebbe di un governo di breve durata con un programma di riforme minimo, in primis quella della legge elettorale e della Costituzione.
Si tenga poi conto di due fattori che potrebbero influenzare il voto e la formazione di un governo in tempi brevi. In primo luogo, il risultato del referendum sul Brexit di questo giovedì: una vittoria del Leave farebbe probabilmente aumentare il voto conservatore (come si comprende, il presente articolo è stato scritto prima del voto inglese, ndr). In secondo luogo, le pressioni dei mercati e delle istituzioni europee. A inizio luglio, proprio i giorni chiave per capire chi otterrà il mandato esplorativo dal monarca, la Commissione Europea deciderà se multare la Spagna con 2 miliardi di euro per il deficit eccessivo (5,1% nel 2015). A questo deve aggiungersi anche che Bruxelles ha già avvisato che il nuovo governo spagnolo dovrà applicare ulteriori tagli di 8 miliardi euro. Per ora tutti glissano, in primis Rajoy che ha promesso di abbassare le tasse, ma allo stesso tempo ha scritto segretamente una lettera alla Commissione in cui garantiva nuovi tagli.
La situazione è estremamente complessa. Bisognerà attendere la nottata di domenica 26 giugno per capire che strada prenderà la Spagna.
Steven Forti è ricercatore presso l’Istituto de Història Contemporanea – Universidade Nova de Lisboa
da Micromega