Distratti dalla tragedia greca i più non si aspettavano che la catena dell’Unione europea si sarebbe rotta a Nord, tantomeno che la Gran Bretagna si sarebbe dimostrato l’anello che per primo si sarebbe spezzato.

Eppure bastava ricordare gli esiti di tutti i referendum nazionali che hanno preceduto la Brexit: Francia, Olanda, Irlanda, per citare i più importanti. Dappertutto la maggioranza dei cittadini ha disubbidito alle élite europeiste, che ne sono uscite con le ossa rotte.

Il referendum britannico, in magnitudine, supera di gran lunga quelli che lo hanno preceduto. Sta diventando senso comune che Brexit innesca un processo a catena che potrebbe condurre alla dissoluzione della Unione europea. E’ giusto questo senso comune? Sì lo è.

Diciamola così: Brexit annuncia ufficialmente che l’Unione europea ha imboccato la via del tramonto. Di più: è un fattore che accelera e velocizza il processo inevitabile di decomposizione della Ue a trazione tedesca.

Ma questo che vuol dire? Vuol dire che siamo appena entrati in una nuova tappa della crisi europea, che diventa così, usando un concetto caro a Gramsci, “crisi organica”: non più solo economica e finanziaria, ma politica, istituzionale e geopolitica. Non si uscirà da questa crisi organica in modo indolore. Le élite oligarchiche dominanti tenteranno con ogni mezzo di difendere la loro mostruosa creatura, di resistere per non farsi da parte. E’ per loro questione di vita o di morte. Entriamo insomma in una fase che sarà segnata da nuove e più profonde turbolenze politiche, da instabilità sociale crescente, e questo nella cornice di un progressivo marasma economico e finanziario. Siamo precipitati in un ciclo lungo, in un vortice che, sul piano psico-caratteriale, non si presta ai deboli di cuore, alle anime belle, a chi ama la vita tranquilla.

Ora la domanda che si pone è questa: il destino avrebbe già scritto la storia futura? Detto altrimenti: l’esito di questa vicenda è già predeterminato?

No che non lo è. Siamo solo alle prime battute di una guerra prolungata, che decide le sorti del nostro continente e del mondo intero. Per usare un’analogia che sta nella storia europea: una nuova “guerra dei trent’anni” che sarà segnata da numerose battaglie, da vittorie precarie e sconfitte momentanee, da capovolgimenti di fronte, da miasmi d’ogni sorta. Seguirà quella che, per restare all’analogia, sarà una nuova “Pace di Westfalia”. Una nuova Europa nascerà sulle ceneri di quella attuale.

Un fatto è per noi certo, e lo andiamo dicendo da tempo: crollato l’edificio unionista, resteranno le fondamenta degli stati nazionali. Che questi cadano sotto il tallone di regime reazionari e dispotici, o che invece si strutturino attorno a forme avanzate di democrazia e sovranità popolari, e quindi si associno in forme federative non imperiali, ebbene, questo nessuno può stabilirlo a tavolino, è ciò che sarà deciso nel fuoco della lotta. E nella lotta contano diversi fattori, tra i quali quello della potenza politica delle classi subalterne, la quale ha a che fare con il fattore soggettivo della direzione strategica delle masse popolari.

Tuttavia la scossa tellurica venuta dal Regno Unito, proprio per  la sua dimensione, non ha solo seminato un panico isterico tra le fila degli euro-oligarchi, delle classi dominanti e delle loro élite culturali. Ha disorientato, spiazzato, mandato nel pallone, non solo molte schegge di quanto resta della sinistra antagonista e “altreuropeista”, anche numerosi stimati intellettuali.

La lettura che essi danno della Brexit è monocromatica, fosca, anzi nera: con il NO avrebbe vinto la destra xenofoba, populista, nazionalista, reazionaria.

C’è insomma chi, invece di cogliere la grande opportunità che il terremoto partito dal Regno Unito ci offre — dandosi da fare alacremente per costruire un’alternativa strategica sia al blocco eurista che a quello anti-eurista di destra — conclude, al contrario, che la Brexit non ce ne da alcuna.

Certo, ci sono alcuni intellettuali meno pessimisti, pochi per la verità, che tuttavia preferiscono affidarsi agli eventi, credono che la Storia abbia una sua razionale intelligenza — che è come sperare nell’intervento salvifico della Divina provvidenza. Definiamo questo atteggiamento come attendismo.

Ci sono poi, e son ben più numerosi, quelli che esplorando pensosi il proprio naso pontificano con serafico distacco che proprio perché la Storia è stupida, nessuno può cambiare il corso oggettivo delle cose dato che esso sarebbe una risultante casuale e l’esito finale stabilito per eterogenesi dei fini. E’ quello che chiamiamo indifferentismo.

Vi è infine una terza categoria, dell’indifferentismo raddoppiato, composta dai profeti delle sciagure che si autoavverano. Uno stato d’animo, più che una corrente di pensiero, potremmo definire come sconfittismo metafisico.

Questo stato d’animo, essendo pervasivo e contagioso, dovrebbe essere contrastato prima che diventi una pandemia. Questo sconfittismo metafisico è difficile da debellare, poiché è un precipitato della sconfitta storica subita dalle forze socialiste e anticapitaliste sul finire del secolo scorso. Duro da estirpare perché è un distillato di sentimenti prevalenti per chi viene da sinistra: una miscela di scoramento, prostrazione, sfiducia nelle proprie capacità, ed il cui elemento chimico coesivo è un radicale scetticismo.

Questo stato d’animo l’ha espresso, con l’eleganza concettuale che lo distingue, l’amico Marino Badiale nelle sue considerazioni sulla Brexit.

Il suo giustamente spietato giudizio sulla sinistra maggioritaria, quella infettata dal bacillo dell’europeismo a prescindere e che ha esecrato il sacrosanto voto dei britannici — “La reazione degli intellettuali di regime (di destra e di sinistra, ma in questo caso soprattutto di sinistra) contro il popolo inglese è in definitiva tanto più disgustosa quanto più evidente appare come essa si basi sulla sostanziale accettazione di una organizzazione sociale che non ha un futuro e che ci può portare solo ad una crisi di civiltà, le cui avvisaglie sono già piuttosto evidenti. Rabbiosi difensori del nulla, verranno ricordati solo come esempi di servilismo, superficialità, corruzione intellettuale.”— fa tuttavia da cornice ad una conclusione errata, irricevibile. Sentiamo:

« [nonostante] nell’ambito dell’estrema sinistra alcuni hanno espresso posizioni molto sensate, come abbiamo documentato nel nostro blog: ci basti qui citare il gruppo di “Sollevazione”; quello di “Contropiano”, singole personalità come Giorgio Cremaschi, Ugo Boghetta, Mimmo Porcaro (…) non è sorta una autentica forza politica antisistemica. In questo modo si è realizzata la previsione di cui al punto 6): ormai lo spazio politico della lotta contro euro-UE è stato occupato da forze politiche di destra che non esprimono convincenti posizioni antisistemiche, e anzi spesso esprimono posizioni liberiste (e magari razziste). Le forze anticapitalistiche hanno perso un’occasione storica, dimostrando la propria essenziale inutilità».

La lettura sconsolata che Badiale ci fornisce di Brexit è la stessa della sinistra sinistrata, ed è sbagliata. Non è vero che nel Regno Unito si sia in presenza di una montante ondata xenofoba, reazionaria o addirittura fascistoide, per di più destinata a travolgere tutta l’Unione. Sentimenti xenofobi hanno certo avuto un peso nella vittoria di Brexit, ma i sentimenti sovranisti, democratici, di classe, sono stati senza dubbio ben più determinanti. La crisi che sta investendo tutti i principali partiti britannici, dall’Ukip al Labour passando per i Tory, è segno di un’inedita crisi del sistema politico del paese, ed è salutare. Da lì si deve passare per costruire un’alternativa, che prenderà forma, appunto, tra miasmi e nuove fratturazioni sociali e politiche. Una cosa è sicura: l’avanguardia socialista dei popoli britannici respingerà la sentenza di Badiale che è stata persa un’occasione storica e che essa sarebbe votata alla nullità.

Non solo il futuro è sempre aperto a diverse possibilità, lo è tanto più oggi e non solo nel Regno Unito. Ammesso che ci siano forze profonde reazionarie nelle viscere di questa Unione europea, esse non avanzano dappertutto e con la stessa forza di spinta. A ben vedere esiste una faglia tettonica che separa alcuni paesi nordici da quelli meridionali e mediterranei. Non risulta che dal Portogallo alla Grecia, passando per l’Italia, si sia in presenza di avanzate neofasciste e xenofobe. Al contrario. La Francia sembra essere il paese che viene attraversato, spaccato, da questa faglia, e dove verrà giocata presto una battaglia decisiva.

E tuttavia è segno di strabismo quanto conclude Badiale:
«Comunque sia, ormai il danno è fatto ed è sostanzialmente irrimediabile. La battaglia politica più importante dell’immediato futuro, in relazione a euro/UE, è rappresentata dalle elezioni presidenziali francesi, e la sfida, con ogni probabilità, sarà fra un esponente dell’establishment e Marine Le Pen. La sinistra antisistemica, come sempre, potrà solo scegliere fra andare in aiuto all’establishment (in nome di antifascismo antirazzismo ecc.ecc.), oppure stare alla finestra a guardare Marine Le Pen combattere la battaglia che avrebbe dovuto essere la sua».

Non solo è una cavolata affermare che la situazione è “irrimediabile”. E’ sbagliato profetizzare che la battaglia più importante nel prossimo futuro si svolgerà l’anno prossimo in Francia con le presidenziali — avremo forse, come in Spagna, una situazione di stallo, di confusione in seno ai dominanti. Ce n’è una prima, Marino, di battaglia politica importante, e si svolgerà proprio qui da noi, in Italia, ed è il referendum che boccerà la “riforma” istituzionale chiesta dai poteri oligarchici euristi e che manderà a casa Renzi. Perché questa omissione? Forse perché la dai già per persa? Oltre allo sconfittismo metafisico anche l’autorazzismo?