Non l’abbiamo mai nascosto che Di Maio non ci piace.
La sua faccetta da Bambi plastificato rassicurerà certi borghesucci timorati di Dio, a noi inquieta invece.
Abbiamo segnalato varie volte le sue uscite, come dire, “dorotee”, le sue affermazioni anfibie, che dicono una cosa ma che ne potrebbero implicare un’altra, quella doppiezza tipica dei politicanti democristiani dei tempi che furono. L’ultima, quella per cui sarebbe un devoto cattolico, è proprio dell’altro ieri.
Né potevamo sottacere certe sue inquinate frequentazioni.
E’ un fatto inoppugnabile che le centrali mediatiche lo stiano impacchettando come premier in pectore di un eventuale governo M5S.
Lui, il Di Maio, causa questo momento di gloria, dev’essersi effettivamente montato la testa. Che ce la faccia a diventare Presidente del consiglio, è tuttavia altamente improbabile, e non solo per le ragioni di cui ci parlava Leonardo Mazzei.
Per diventarlo, infatti, non solo M5S dovrebbe vincere le elezioni (cosa probabile) ma accettare alleanze con altre forze (cosa assolutamente necessaria). Per andare al potere in splendido isolamento M5S avrebbe infatti bisogno che si votasse proprio con quella legge elettorale renziana (infame fino a prova contraria anche per M5S) che si chiama Italicum, legge sulla cui tenuta non scommetterei un soldo bucato.
V’è, io credo, un’altra decisiva ragione per cui Di Maio non andrà lontano, ed è che egli non è gradito proprio alla gran parte degli attivisti ed elettori del Movimento 5 Stelle, quantomeno a quella più radicale.
Forse ci sbagliamo, ma abbiamo la convinzione che con quest’ala radicale sia schierato proprio Beppe Grillo, il quale resta, piaccia o non piaccia, il vero dominus del Movimento, non nel senso di “padrone” ma di colui che simboleggia e interpreta più di chiunque altro i sogni ed i bisogni dei più che si identificano con M5S.
Per comprendere la distanza siderale tra Di Maio e Beppe Grillo basta confrontare quanto affermato dal primo e quanto dal secondo, e non su qualche questioncina, ma sulla dirimente problematica dell’euro e dell’Unione europea.
Confrontino i lettori.
Qui l’intervista rilasciata da Di Maio a Gianni Riotta.
Più sotto quanto scritto da Peppe Grillo nel luglio dell’anno scorso dopo la capitolazione di Tsipras.
E dato che ci siamo vorremmo ricordare la LETTERA APERTA AL MOVIMENTO 5 STELLE di Programma 101.
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IL PIANO B PER USCIRE DALL’EURO
di Beppe Grillo
(23 luglio 2015)
Era difficile difendere gli interessi del popolo Greco peggio di come ha fatto Tspiras. Solo una profonda miopia economica unita ad una opaca strategia politica potevano trasformare l’enorme consenso elettorale che lo aveva portato al governo a gennaio nella vittoria dei paesi creditori suoi avversari solo sei mesi dopo, nonostante un referendum vinto nel mezzo.
Rifiutare a priori l’Euroexit e’ stata la sua condanna a morte. Convinto, come il PD, che si potesse spezzare il connubio Euro & Austerità, Tsipras ha finito per consegnare il suo paese, vassallo, nelle mani della Germania. Pensare di opporsi all’Euro solo dall’interno presentandosi senza un esplicito piano B di uscita ha infatti finito per privare la Grecia di ogni potere negoziale al tavolo dell’Euro debito.
Era dunque chiaro sin dall’inizio che Tsipras si sarebbe schiantato anche se Varoufakis qualche volta ha provato a reagire. Solo Vendola, il PD ed i media ispirati dalla frotolla scalfariana (tra i tanti) degli Stati Uniti d’Europa e dai nostalgici del manifesto di Ventotene potevano credere ad un Euro senza austerità. E sono costretti a continuare a far finta di crederci pur di non dovere ammettere l’opportunità di una uscita dopo sette anni di disastri economici.
La conseguenza di questa catastrofe politica è davanti agli occhi di tutti:
– Nazismo esplicito da parte di chi ha ridotto la periferia d’Europa a suo protettorato attraverso il debito, con ricorsi storici allarmanti.
– Mutismo o esplicito supporto alla Germania da parte degli altri paesi europei vuoi per opportunismo (nord) o per subalternità (periferia).
– Mercati finanziari che celebrano con nuovi massimi la fine della democrazia.
– Esproprio del patrimonio nazionale attraverso l’ipoteca di 50 miliardi di euro sui beni greci finiti nel fondo voluto da Adolf Schauble per passare all’incasso dei suoi crediti di guerra.
Era tutto studiato, previsto, pianificato nei minimi dettagli. La Germania è sistematica nella sua strategia: prima crea un nuovo precedente e poi lo utilizza nella battaglia successiva imponendo decisioni via via più invasive della democrazia grazie al ‘chi tace acconsente’.
– Irlanda, Spagna e Portogallo dovevano dimostrare che il rigore paga sia in termini di riforme (tassazione per pagare gli interessi sul debito e svalutazione interna attraverso la compressione dei diritti dei lavoratori) che in termini di interessi sul debito riportati a casa e pagati col sangue dei paesi debitori.
– Cipro ha dimostrato che i depositi bancari se serve si possono attaccare attingendo così non solo alle tasse sul reddito in nome dell’austerità ma direttamente al patrimonio privato dei cittadini per ripagare il debito contratto.
– Con la Grecia l’asticella è stata posta ancora più in alto al punto di confiscare direttamente il patrimonio pubblico in un fondo la cui sede giuridica Schauble voleva inizialmente trasferire addirittura fuori dalla Grecia.
E’ l’Italia il destinatario finale di questi precedenti seminati lungo il percorso dell’Euro debito in nome della presunta irreversibilità dell’Euro. E’ inutile far finta di non vederlo. La Grecia offre dunque una nuova lezione per l’Italia da cui faremmo bene ad imparare se vogliamo farci trovare pronti quando arriverà il nostro turno di debitori.
– Un premier che argomenta bene contro l’austerity, ma che resta negazionista nei fatti sulla Euroexit, a digiuno di economia monetaria e con una strategia politica improvvisata in questa fase storica è una minaccia nazionale. E’ valso oggi per Tsipras. Varrà domani per Renzi.
– Un piano B di uscita è essenziale per l’Italia, chiunque sia al governo. Con un enorme debito pubblico ed una economia manifatturiera orientata all’export è da irresponsabili non farsi trovare pronti ad una eventuale uscita non necessariamente forzata da noi ma eventualmente subita da decisioni altrui, visto che nessuno può prevedere il corso degli eventi.
– Non contare sugli altri perche quando arriverà il momento saremo soli. Come è successo a Tsipras che ha sbagliato i suoi conti sperando di trovare sostegno strada facendo dai cugini periferici che invece si nascondevano nell’ombra del ‘questa volta non tocca a noi’.
– Il referendum proposto dal M5S tramite una legge di iniziativa popolare e’ uno strumento essenziale. Potrà servire a spiazzare l’avversario e a dare legittimità democratica all’Euroexit.
– Usare il nostro enorme debito come minaccia. E’ questo infatti un vantaggio che ci consente di attaccare al tavolo di ogni negoziazione futura, non uno spauracchio da subire per abbozzare alle richieste dei creditori. Questo vuol dire non consentire alcuna ingerenza tedesca nel nostro legittimo diritto di ridenominare il nostro debito in un’altra valuta se e quando arriverà il momento.
– Rafforzare le banche. La minaccia di fallimento delle banche e la chiusura dei rubinetti della liquidità è ciò che alla fine ha fatto capitolare Tsipras. Prepararsi alla nazionalizzazione delle banche ed al passaggio ad un’altra moneta è il modo per non perdere la prima battaglia che dovremo affrontare quando arriverà il momento di staccarci dal bocchettone della BCE. Ogni piano B dovra’ dunque prevedere l’introduzione di una moneta parallela che all’evenienza potrà essere adottata per avviare il processo di uscita in maniera soft.
– Tenere un occhio a Francoforte e l’altro a Washington. Il teatrino dell’Euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani e cioè fino alla definitiva approvazione del TTIP con cui gli USA assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’Euro ha assoggettato la periferia alla Germania.
L’Euro è ormai una guerra esplicita tra creditori e debitori. E’ inutile che il nostro governo si sforzi di apparire schierato dalla parte virtuosa dei vincitori euristi e riformisti. L’Euro non si può riformare dal suo interno e va invece combattuto dall’esterno, abbandonando questa camicia di forza anti democratica. Il nostro debito e la nostra assenza di crescita unita alla deflazione ci collocano a pieno titolo nella categoria degli sconfitti del debito. Faremmo dunque bene a prepararci con un governo esplicitamente anti euro all’assalto finale del patrimonio degli italiani sempre più a rischio se non ci riprendiamo la nostra sovranità monetaria.
Fonte: Beppe Grillo