Quante meschine sciocchezze in morte di Dario Fo. Quante diaboliche idiozie.
“Giullare, era un grande e talentuoso giullare”. Questo è l’icastico giudizio che, come un mantra, rimbomba sui media. Dietro la formale e pelosa riverenza una maniera subdola, non solo per sminuire la sua grandezza d’artista, ma per screditarlo come intellettuale.

Qui sta, io penso, la grandezza ancor più grande di Dario Fo, l’aver usato il suo indiscutibile talento non solo per irridere il potere, ma per combatterlo, ponendo così la sua funambolica maestria al servizio della liberazione degli oppressi e degli sfruttati.

Diceva ieri sera in Tv un giornalista furbastro vattelappesca: “L’intellettuale deve educare le masse, non sobillarle. E Dario Fo ha sempre cercato di sobillarle, prima come estremista di sinistra e recentemente come grillino”.

L’avere messo il proprio talento a disposizione di una causa politica antagonista, questo è esattamente quello che i veri giullari di regime, intellettuali che per mestiere fanno marchette a chi di turno si avvicenda al potere, non riescono a tollerare. Non glielo perdonarono quand’era vivo, continuano ad accanirsi sulla sua memoria ora che è morto.

Scriveva Gramsci degli intellettuali italiani, che essi si portavano appresso una congenita patologia, che essi alla fine finiscono sempre per porsi al servizio dei potenti di turno, diventando “cortigiani”, funzionali al rafforzamento ideologico del senso comune che vuole gli oppressi condannati a restare subordinati e sottomessi. Questa essendo la cosiddetta “missione educatrice” dell’intellettuale-puttana di ieri e di oggi: addormentare e addomesticare le masse dei “semplici” e degli umili, sedare la loro rabbia, cancellare le loro utopie.

Dario Fo è stato in questo senso, pur senza partito, pur tra sbandate politiche, un gramsciano esempio di “intellettuale organico”, sempre operando affinché i “semplici” e i subalterni si emancipassero dalla propria condizione di sudditi reietti, si ridestassero dalla loro passività, si sbarazzassero dai loro pregiudizi, accrescessero le loro capacità intellettuali, partecipassero quindi attivamente alla vita politica.

Sì, Dario Fo aveva nella carne un infallibile e irriducibile istinto sovversivo, e mai si è piegato ai potenti, mai ha accettato di prostituirsi, come invece han fatto la grandissima parte degli intellettuali “rivoluzionari” della sua generazione e di quella dopo.

La pasta di cui era fatto lui ci riporta alla mente quei pochi ma temerari e geniali dotti che nell’Italia dell’umanesimo e del rinascimento, invece di attenersi al ruolo di cortigiani del potere, o di rifuggire in un’aristocratica e spocchiosa contemplazione, nel momento più terribile della vita di Firenze, si schierarono con l’apocalittico Savonarola a difesa della Repubblica popolare. Figure splendenti che ci fanno sentire orgogliosi di essere italiani, visto il resto che ci provoca vergogna.

Dario Fo è stato una di loro.

Dopo tanto politico peregrinare deve aver fiutato in Beppe Grillo il Savonarola dell’oggi. Di qui l’aver accettato di diventare icona del Movimento 5 Stelle.

Avrà visto giusto?