La fine della socialdemocrazia europea

Una settimana fa la Spd di Schulz (sino a non molto tempo prima data in forte risalita) ha incassato la terza batosta di fila in una elezione locale (e nel land più popoloso, tradizionale roccaforte socialdemocratica); ormai nessuno più crede che Schulz possa sfidare credibilmente la Merkel ed alcuni iniziano a prospettare scenari con una Spd sotto il 20%.

Più o meno contemporaneamente, i socialisti spagnoli (ridotti ai minimi termini elettoralmente) sono alle soglie di una scissione rovinosa. Il tutto dopo la dèbacle senza precedenti dei socialisti francesi. E’ la fine della socialdemocrazia europea?

Scorriamo le tendenze elettorali di lungo periodo in Europa:
Il Partito socialista portoghese passa dal 45% del 2005 al 32% del 2015
Il Partito socialista operaio spagnolo ancora nel 2008 al 43,9% ottiene il 20% nel 2016
Il Partito socialista francese crolla dal 28,6% del 2012 al 6,4% attuale
Il Partito del lavoro olandese sprofonda dal 31% del 1989 al 5,7% del 2017
Il Pasok, in Grecia che nel 2009 aveva il 43%, nel 2015 è sceso al 6,3%
Il Partito socialdemocratico danese nel 1998 era al 34% e nel 2015 al 26,3%
In Austria il Spo nel 1995 aveva il 38.1% e nel 2016 l’11,3%
In Germania la Spd ancora nel 1990 aveva il 40,9%, oggi è intorno al 25% e c’è chi pensa scenderà ancora.

Caso anomalo è l’Italia, dove l’originario partito socialista è stato cancellato, ed il suo posto è stato preso dal Pd che, a rigore, non è un partito socialista pur aderendo all’internazionale socialista.

La traiettoria delle elezioni del parlamento europeo ha seguito questa parabola:
1994: 198 seggi
1999: 180
2004: 200
2009: 184
2014: 182 (grazie al boom del Pd)

A leggere meglio i dati emergono alcune “regolarità”: in alcuni paesi (come la Germania) il declino è iniziato già negli anni novanta, in coincidenza con l’affermazione del processo di globalizzazione neo liberista, ma in misura abbastanza contenuta (e, infatti, la rappresentanza nel Parlamento europeo si è mantenuta intorno ai 200 seggi, salvo la caduta del 1999). Poi il processo ha iniziato a galoppare con l’inizio della crisi (2008-9) con il crollo in serie dei partiti di Grecia, Olanda, Spagna, Austria, Francia).

Si badi che senza l’isolato ed anomalo successo del Pd, già nel 2014 la flessione sarebbe stata decisamente più severa (in quell’anno il Pd avanza di ben 13 seggi, per cui, se fosse restato stabile, il gruppo socialista sarebbe sceso a 169 seggi, la quotazione più bassa dal 1979.

Proiettando i risultati nelle elezioni nazionali (dopo i crolli di Francia, Spagna, Austria ed Olanda e considerando anche la prevedibile flessione del Pd) si può prevedere un numero di seggi inferiore ai 150 che collocherebbero il gruppo socialista al terzo posto dopo i partiti democristiani e quelli “populisti” (se questi facessero gruppo unico).

Dunque, non sembra esagerato parlare di declino irreversibile dei partiti della cd internazionale socialista che paga il conto, prima della sua resa al neoliberismo e dopo della crisi. E’ significativo che la crisi, pur attaccando la base di consenso di tutti partiti classici (socialdemocratici, liberali, democristiani, conservatori e verdi) punisce in modo più severo i partiti “socialisti” che, accettando la smobilitazione del welfare, hanno segato il ramo su cui stavano seduti. Ed è sintomatico che neppure figure come Corbyn o Hammon servano ad invertire la tendenza: arrivano troppo tardi quando non c’è più nulla da fare.

E’ facile prevedere che a breve potrebbe prospettarsi lo scioglimento dell’Internazionale e di diversi suoi partiti, sostituiti da una nuova aggregazione del tipo “partiti della Nazione” (tendenza Macron-Renzi) e, in effetti, qualcuno ha già iniziato a proporlo. Sarebbe un fatto altamente positivo: la fine di una mistificazione che presentava come socialisti partiti che, in realtà erano solo una variante più cialtronesca del liberismo. Ed è ragionevole pensare che nell’operazione di travaso dalla casa socialista a quella nuovista dei Macron e dei Renzi, questi partiti perdano per strada una fetta di consensi.

Di fatto, distruggendo l’illusione che questi partiti possano essere ancora utili per battaglie non dico socialiste, ma semplicemente di democrazia sociale, è possibile che si liberino forze utili a nuove aggregazioni di sinistra. La truffa del sedicente “riformismo” socialista in questi anni ha disarmato i lavoratori e la sinistra di fronte all’offensiva liberista. E pertanto, il nemico più insidioso da battere e distruggere è proprio la cosiddetta internazionale socialista con il suo ceto politico di burocrati, carrieristi, tangentari e faccendieri vari.

Aspettiamo con ansia il risultato delle europee fra due anni, che certificheranno questa disfatta.

da www.aldogiannuli.it