Dunque il governo ha approvato il cosiddetto “Decreto Dignità”. La migliore scheda su quanto esso contempla è secondo noi quella de LA STAMPA.

Non mi soffermo quindi sui suoi specifici aspetti, le sue tecnicalità. Vorrei dare un giudizio politico di massima.

Ed è questo: per quanto non rovesci la logica neoliberista della precarizzazione del lavoro, iniziata nel 1997 col “Pacchetto Treu” — governo Prodi con Rifondazione dentro! — e finita col Jobs Act, il “Decreto Dignità” rappresenta una prima e simbolica inversione di marcia. Anzitutto perché rende più complesso licenziare senza “giusta causa”, quindi per la stretta sui contratti a termine ed infine perché punisce le aziende che delocalizzano all’estero.

Confindustria e padroni si lamentano: “Non è coi decreti che si crea il lavoro”; “Il decreto rivela un atteggiamento punitivo verso le aziende”; “Il governo ci mette i bastoni tra le ruote”; “Ci troviamo di fronte ad un approccio dirigistico stile Prima Repubblica”, “Siamo un’economia export-oriented e dobbiamo competere” (a spese di chi lavora s’intende!).

Mi viene in mente la massima di un vecchio compagno operaio: «Per non sbagliarci, dobbiamo fare sempre il contrario di quel che dice la Confindustria. Per cui, quando i padroni s’incazzano, noi siamo contenti”.

Ps
Mi vengono in mente i cretini che parlano di “governo fascio-leghista”. A quali specchi si attaccheranno per continuare a parlare a vanvera e giustificare le loro farneticazioni borghesi?
Daranno segni di resipiscenza?