Tra flat tax ed austerità fiscale un’alternativa c’è

Settembre non è lontano, e la discussione sulla prossima Legge di Bilancio è già cominciata. Le scelte del governo andranno valutate anzitutto dallo schema macro-economico proposto, in pratica dall’entità della rottura con i vincoli europei, quelli accettati dai governi precedenti. Ci sarà un’inversione vera rispetto alle politiche austeritarie, o si andrà avanti con il modello renziano della richiesta di “maggiore flessibilità”? In realtà, la seconda possibilità equivarrebbe ad un prematuro suicidio politico. Ci sembra perciò improbabile, ma vedremo.

Se sarà rottura, saranno concretamente sul tavolo tante cose: dalla Fornero, alle prime misure a sostegno dei redditi delle fasce più povere; dal rilancio della domanda interna e degli investimenti pubblici, fino al possibile intervento sull’Irpef. E’ di quest’ultima questione che ci occupiamo in questo articolo.

Chi scrive ha già detto in abbondanza sull’assoluta negatività della flat tax. Ora, è vero che l’ipotesi contenuta nel programma di governo si articola su due aliquote anziché una, ma la sostanza non cambia. Possiamo anche immaginare come qualcuno nel governo – in un’ottica liberista, ma comprensibile – veda la flat tax come strumento utile ad attrarre capitali nel momento in cui ci si prepara allo scontro con l’UE. Ma rimane la negatività sociale, ed in ultimo anche economica, di una tassazione così appiattita. E rimane l’assoluta incostituzionalità di un progetto che colpirebbe a morte quanto previsto dall’art.53 sulla progressività del sistema tributario

Detto questo, sbaglieremmo però a limitarci ad un semplice no a quanto scritto nel cosiddetto “contratto”. «Di fronte a questo disegno la risposta più tragica è quella che viene dalla “sinistra” europeista, che nella sostanza sa solo replicare che le tasse non si possono in alcun modo ridurre in ossequio alle regole del Dio Euro». Così scrivevamo un anno fa, quando la flat tax era solo una proposta che non sembrava avere grandi possibilità di realizzazione. Una considerazione ancor più attuale oggi, quando la discussione va facendosi invece concreta.

Ma dove sta scritto che l’alternativa sia solo tra la liberista flat tax e, dall’altro lato, il proseguimento di un’austerità fiscale che certo non fa bene all’economia italiana? Attenzione, insomma, a non cadere nel tranello delle èlite. L’ipotesi di ridurre la pressione fiscale agendo sull’Irpef non è sbagliata in sé. Sbagliato è il come ci si propone di farlo.

Entriamo dunque nel merito. La flat tax è sbagliata ed indifendibile per almeno tre motivi: la sua iniquità sociale, la sua incostituzionalità, la sua inadeguatezza ai fini macroeconomici per cui è stata pensata. Sui primi due punti non c’è bisogno di particolari discorsi. Sul terzo va detto che l’idea di dare di più a chi più ha, poiché spendendo di più gioverebbe all’economia in generale, non ha alcun riscontro concreto. Anzi, è piuttosto vero il contrario, poiché – per evidenti motivi – sono proprio le fasce più ricche quelle che tendono a tesaurizzare il maggior reddito anziché spenderlo. L’esatto contrario di quel che avviene negli strati più poveri della popolazione. Ne consegue che anche dal punto di vista macroeconomico, non solo dunque da quello della giustizia sociale, proprio questi ultimi debbano essere privilegiati da una politica fiscale che voglia rilanciare la domanda interna.

Questo in generale, ma certo non abbiamo la pretesa che questa nostra visione possa diventare la linea del governo. Il quale però dovrà stare bene attento ad una mossa che finirebbe per eroderne pesantemente gli stessi consensi, tutt’oggi in forte crescita. Anche il governo ha dunque bisogno di cambiare strada, abbandonando e rivedendo in profondità quanto scritto nel programma concordato a maggio.

Veniamo allora ad una modesta proposta capace di tenere assieme gli effetti macroeconomici pensati da chi insiste sulla flat tax, con le esigenze politiche, economiche e sociali già richiamate.

La premessa è che – purché accompagnata da un insieme di misure anti-austeritarie e da uno sganciamento dai vincoli europei a tutela della spesa sociale – una significativa riduzione dell’Irpef possa effettivamente avere un positivo effetto-choc sull’economia italiana. La proposta è quella di abbassare mediamente di 5 punti (magari in due tranche di 3 punti il primo anno, di altri 2 il secondo) tutte le attuali aliquote dell’Irpef.

Tenendo presente che ogni punto di riduzione equivale a circa 8 miliardi di euro, avremmo così un abbattimento della pressione fiscale di un punto e mezzo il primo anno, di due e mezzo il secondo, facendola così scendere al 40% sul Pil rispetto all’attuale 42,5%.

Abbiamo parlato di abbassamento medio di 5 punti, perché al fine di mantenere una decente progressività la riduzione dovrebbe privilegiare le fasce più basse. Ad esempio, lo schema potrebbe essere questo:

– scaglione fino a 15mila euro: passare dal 23 al 15%
– scaglione tra 15mila e 28mila euro: passare dal 27 al 21%
– scaglione tra 28mila e 55mila euro: passare dal 38 al 33%
– scaglione tra 55mila e 75mila euro: passare dal 41 al 38%
– scaglione oltre i 75mila euro: passare dal 43 al 40%

In questo modo, ad una generalizzata riduzione delle tasse, corrisponderebbe il mantenimento del principio della progressività del prelievo fiscale, che anzi si rafforzerebbe in qualche misura, portando il differenziale tra la fascia più bassa e quella più alta al 25% rispetto al 20% attuale.

Questa proposta contiene anche il vantaggio della semplicità. Che non è poca cosa, visto che invece l’idea della flat tax viaggia assieme ad un’ipotesi – al momento tutt’altro che chiara – di abbattimento di gran parte dei benefici fiscali (deduzioni e detrazioni) previsti dall’attuale legislazione.

Non che intervenire su questa autentica giungla sia in sé sbagliato. Anzi, vi sono benefici che assomigliano tanto ad ingiustificabili privilegi, ma ve ne sono anche altri assolutamente positivi e da mantenere. Si pensi, solo a titolo di esempio, a quelli che favoriscono le ristrutturazioni edilizie e gli interventi antisismici. Si tratta dunque di una materia ampia e complessa, sulla quale appare più opportuno un intervento meglio ponderato.

Stesse considerazioni vanno fatte sul proposito di passare da una tassazione personale ad una su base famigliare. Questo non perché un tale intendimento sia da rifiutarsi a priori, ma perché una soluzione frettolosa ad una questione così delicata rischierebbe di aprire un contenzioso giuridico sulla materia. E non se ne avverte proprio il bisogno.

La nostra modesta proposta – certo in sé non esaustiva della vasta materia fiscale (oltretutto non c’è solo l’Irpef!) – ha il vantaggio dell’immediata applicabilità, del non esporsi a ricorsi, dell’essere inattaccabile sul piano politico, togliendo all’opposizione sistemica Pd-Forza Italia ogni possibile argomento.

Forse qualcuno dovrebbe riflettere meglio.