Il tema non è nuovo. E’ lì da sette anni, da quando servì ad intronizzare Monti, portando l’Italia sulla china di un declino di cui ancora non si vede la fine. No, il tema non è nuovo, ma è di nuovo attualissimo. Il signor spread torna a presentarsi non solo come il supremo regolatore delle scelte economiche, ma come l’autentico dittatore dell’eterno “stato d’eccezione” in cui l’Italia si è cacciata entrando nell’euro.
Torneremo a breve sulle alterne vicende che ci stanno portando al decisivo snodo della Legge di Bilancio. Vicende che vedono un triplo e complicato confronto: tra il governo e l’Unione Europea sui numeri del bilancio 2019; tra M5s e Lega sulle priorità dei provvedimenti da adottare; tra questi due partiti e la Quinta Colonna dei poteri sistemici all’interno dell’esecutivo (Tria, Moavero, ecc.) sul grado di compatibilità (politica, oltreché economica) dell’intera manovra. Di certo a nessuno sfuggirà come, in questa triplice partita, la vera arma delle forze euriste sia fondamentalmente lo spread.
Meno di un mese fa segnalammo come i veri eroi dell’attuale opposizione fossero nientemeno che gli speculatori, cioè appunto i “signori dello spread“. La novità è che mentre allora sembrava che quest’arma dovesse servire a disarcionare Conte, oggi – avendo valutato l’assenza di alternative politiche – essa viene sapientemente usata dal blocco dominante per condizionare le mosse della maggioranza governativa, imbrigliandola così di fatto in estenuanti mediazioni al ribasso. Vedremo nelle prossime settimane fino a che punto questa operazione avrà successo, ma di certo questo è il problema: la dittatura dello spread, il suo potere condizionante quando non apertamente eversivo.
A due anni dalla storica sconfitta del disegno anticostituzionale di Renzi, la democrazia italiana è di fronte ad una minaccia più subdola, ma più grave. Talvolta le norme non scritte che regolano la vita di un Paese possono pesare assai di più di quelle scolpite negli articoli di una Costituzione di cui ci si ricorda soltanto nelle celebrazioni liturgiche. E’ questo, in tutta evidenza, il caso dello spread.
L’uso che si fa di quest’arma azzera totalmente la sostanza del concetto di sovranità popolare contenuto nell’art. 1 della Carta del 1948. Questo è un fatto, anche se ben pochi costituzionalisti amano affrontare apertamente il tema: troppo forte è la loro adesione al dogma eurista che ne garantisce l’internità ad un’èlite ormai priva di consenso.
Ma qualcuno dovrà pure occuparsene, o facciamo tutti finta che si tratti di un fatto tra i tanti?
Eh no!, signori cari. Oggi la dittatura dello spread non è un elemento tra tanti, è invece il fatto decisivo col quale fare i conti. Quello che sta uccidendo la democrazia nel nostro Paese, a dosi neppur troppo omeopatiche. Questo tutte le persone oneste ed “informate dei fatti” non possono non saperlo. Già, ma come farci i conti?
Credo che, essenzialmente, ci siano tre possibili livelli di azione: la denuncia immediata e costante, un’azione di governo orientata a contrastare i “signori dello spread“, una strategia di fuoriuscita dalla gabbia eurista. Inutile sottolineare l’intima connessione tra questi tre momenti di azione, tutti orientati a riconquistare la sovranità nazionale, democratica e popolare.
1. Perché sia necessaria la denuncia è facile da capirsi, troppo forte e manifesta è la disonestà intellettuale dei media mainstream, quelli che ci presentano ogni balzo all’insù dello spread come un giudizio divino. Ma questa denuncia ha da articolarsi su due piani, quello immediato e quello di fondo.
Sul piano immediato vanno sempre messi in luce almeno tre aspetti. Il primo è che lo spread è un valore frutto delle manovre di una finanza speculativa da contrastare, non da assecondare; la risultante dell’azione di forze oligarchiche nemiche per loro natura di ogni forma di democrazia. Il secondo è che spesso tali azioni avvengono in accordo con le forze politiche della conservazione, quelle che amano lo status quo dell’austerità e del vincolo esterno. Il terzo è che quasi sempre gli stessi effetti dello spread vengono artatamente esagerati, facendone un mostro talmente orribile da confiscare per l’eternità ogni spinta al cambiamento. Illuminante a tal proposito l’incredibile campagna terroristica scatenata a fine maggio a sostegno del golpe mattarelliano (LEGGI QUI).
Ma la denuncia di questa disinformazione sistemica servirebbe a ben poco senza la chiara indicazione dell’origine del male denominato spread. Un’origine che sta in due passaggi, certo noti ai nostri lettori ma che giova sempre ricordare: 1. Il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro (1981), autori Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, che gettò i titoli del debito pubblico nelle mani della finanza internazionale. 2. L’entrata nell’euro, con l’esproprio definitivo della sovranità monetaria.
Chi vi parla dello spread senza riconoscere l’effetto disastroso, ancorché voluto dalle èlite, di queste due mosse, va invitato ad informarsi (se davvero disinformato), o ad andare semplicemente a quel paese (se informato ma devoto al dogma euro-liberista).
2. Può un governo teso alla riconquista della sovranità, iniziare intanto ad agire per frenare i “signori dello spread“? La risposta è sì. Esso può farlo, purché lo voglia davvero, purché riesca a sconfiggere le forze interne che tirano nell’altra direzione, purché abbia chiari i limiti di questa azione, che ha senso solo nella prospettiva dell’uscita dalla gabbia dell’euro.
Qui il punto è quello della rinazionalizzazione del debito. Più il debito è in mani estere, più la speculazione ha possibilità di dispiegarsi. In Giappone, con un debito pubblico doppio rispetto al nostro, ma interamente detenuto da soggetti interni, lo spread non sanno neppure cosa sia. Tornando a noi, non è che i detentori nazionali dei titoli del debito siano alieni dallo speculare. Tutt’altro, ma dato che costoro sono rappresentati essenzialmente dalle banche, è evidente come queste ultime debbano stare ben attente ad effettuare manovre speculative che finirebbero – colpendo l’intera economia italiana – per ritorcersi contro i loro stessi interessi.
La cosa interessante è che – per diversi motivi sui quali qui non entriamo – questo processo di rinazionalizzazione è già in atto. Se nel 2010 la quota del debito italiano detenuta da soggetti esteri era del 44,3%, se essa era scesa al 36,5% nel 2014, già nel maggio di quest’anno si era arrivati al 31,3%. Poi, come ampiamente riportato dalla stampa, tra maggio e giugno altri 70 miliardi in Btp hanno cambiato proprietario, passando dalle mani degli investitori stranieri alle banche italiane. Ragion per cui la quota estera del debito è oggi valutabile in un 28% scarso.
Ovviamente il terrorismo dei media ha presentato questo passaggio come una sorta di nuovo disastro nazionale, questo in un Paese dove la ricchezza finanziaria ammonta a ben 4.300 miliardi! In realtà questo processo, benché non guidato politicamente, benché frutto di dinamiche di mercato, è in realtà potenzialmente positivo per la gestione del debito pubblico italiano, che ha bisogno appunto di essere rinazionalizzato.
Ovvio che questa rinazionalizzazione non potrà mai completarsi senza la riacquisizione della sovranità monetaria e senza la nazionalizzazione delle banche. Tuttavia, il processo in corso può favorire proprio queste scelte. Il problema è casomai il tempo, dato che quello a disposizione non sembra troppo lungo. C’è bisogno dunque di nuovi strumenti che consentano di accelerare il percorso verso la rinazionalizzazione del debito.
Da qui nasce una nostra modesta proposta, avanzata in un articolo di un mese fa, quella che lì abbiamo chiamato “Btp famiglia”, che così schematizzavamo:
«In pratica si tratterebbe di questo:
1) Da una data x lo Stato emette solo un nuovo tipo di Btp decennale, chiamato per esempio “Btp famiglia”.
2) Il governo dichiara che questo titolo è garantito al 100%.
3) Il Btp famiglia potrà essere acquistato solo da soggetti italiani, avviando così una progressiva rinazionalizzazione del debito.
4) Il suo tasso di interesse sarà un po’ più elevato di quello corrente, diciamo al 4% per i primi tre anni, del 3% per gli anni successivi.
5) Questo titolo non sarà negoziabile sul mercato secondario.
6) Ove l’investitore volesse rientrare in possesso del suo capitale prima della scadenza, ma dopo i primi cinque anni, lo Stato procederebbe al riacquisto al valore nominale.
7) Qualora invece la richiesta di riacquisto avvenisse entro i primi cinque anni, lo Stato riacquisterebbe allo stesso valore meno una penale da calcolarsi allo scopo di impedire operazioni meramente speculative».
Come si può ben capire qui non è certo importante né il nome dello strumento finanziario, né l’esatto schema del suo funzionamento, ed il nostro era solo un esempio per far capire di cosa stiamo parlando. Importante è solo il concetto: un Paese con la ricchezza finanziaria che abbiamo detto non ha alcun motivo di lasciare in mani straniere quote importanti del proprio debito, di cui ha invece l’interesse a rientrare integralmente in possesso proprio per sfuggire ai trucchi e alle manovre dei pescecani della finanza.
3. Ovvio come quanto detto finora abbia senso solo nella prospettiva dell’uscita dall’euro. Guai a chi si dimenticasse per strada quello che dovrà essere il passaggio chiave per la riconquista della sovranità. Senza l’abbandono del sistema della moneta unica non potrà esservi una vera uscita dalla crisi. Né potranno esservi serie misure di contrasto alla disoccupazione, tantomeno il ribaltamento delle politiche neoliberiste che hanno aumentato a dismisura diseguaglianze e povertà. Chi dice il contrario mente.
Ricordare sempre questa verità non è una cosa da fissati, è invece la bussola necessaria di ogni concreta azione dell’oggi, a partire da quella, quanto mai indispensabile, contro i “signori dello spread” e contro le forze oligarchiche che cercano in tutti i modi la vittoria di TINA (There is no alternative), di cui lo spread è un formidabile alleato.
Solo battendo queste forze un futuro diverso potrà infine dischiudersi. E per batterle bisogna schierarsi e combattere ora, non quando sarà troppo tardi. Con il coraggio dell’intelligenza (giusta tattica e non mero arrembaggio) e l’intelligenza del coraggio (senza il quale mai vi sarà vittoria). E’ di questo che c’è bisogno. Urgente bisogno.