Come volevasi dimostrare 1: il polverone sull’immigrazione si sarebbe dissolto lasciando il posto al vero busillis: la Legge di bilancio. Come volevasi dimostrare 2: il Ministro dell’economia Tria si rivela per quel che è, il Cavallo di Troia che l’èlite eurocratica, mallevadore Mattarella, ha infiltrato nel governo giallo-verde. Tria, malgrado non abbia le fisique du role, si conferma il guardiano del rispetto del “vincolo esterno”, l’agente di custodia che tiene imprigionati M5S e Lega e deve impedire che l’Italia evada dalla gabbia dell’euro.
Nella neolingua politicamente corretta:
«Il ruolo di Tria sembra essere cambiato: non è più “solo” un ministro tecnico, ma si è trasformato in un ministro istituzionale. Attaccato dal leader del maggior partito di governo, è stato difeso dall’insieme delle forze di opposizione, che di fatti riconoscono nel responsabile dell’Economia il baluardo a tutela dei conti pubblici e della tenuta del sistema». [F. Verderami sul CORRIERE DELLA SERA di oggi]
Motivo dello scontro l’impostazione della Legge di bilancio, il casus belli quello delle “coperture” per il Reddito di Cittadinanza — emblema del M5s e sulla cui realizzazione Di Maio e i suoi si giocano la loro stessa credibilità politica come “forza del cambiamento”.
Il fatto è che Di Maio non deve solo far fronte al nemico dichiarato che ha nel governo ma pure alla potente fronda capitalista-liberista-nordista che si annida nella Lega e che fa da sponda a Tria, difeso a sua volta dal Presidente del consiglio Conte. Una fronda disposta ad accettare un accordo con l’Unione europea ove questa concedesse la “flessibilità” necessaria per una riduzione del peso fiscale sulle aziende.
I giornali di regime, mettendo le mani avanti per non sbattere il muso e venendo meno all’aplomb politicamente corretto, gridano allo scandalo per “l’assalto” di Di Maio. Ma quale “assalto”? Se c’è qualcuno che qui è sotto un vero e proprio assedio questi è proprio il governo — per essere più precisi la sua componente pentastellata.
Logica vorrebbe che quando un Ministro si mette di traverso (tanto più per conto di forze esterne) alla realizzazione del programma di governo, egli si dimetta. Ma qui la logica non conta, né contano le tanto declamate “regole democratiche”. Contano i rapporti di forza. Di Maio scopre che nel Palazzo gli sono del tutto sfavorevoli. Scopre che forse ha fatto un errore (per quel che vale l’avevamo avvertito) ad accettare di formare un governo subendo il ricatto di Mattarella, ovvero imbarcando il “partito eurista” e accettando addirittura di consegnargli i ministeri dell’Economia e degli Esteri.
I rapporti di forza….
Non c’è solo il Palazzo, c’è il Paese, ci sono milioni di cittadini che han chiesto una svolta, c’è il popolo lavoratore, c’è un vero e proprio esercito di giovani disoccupati e precari che non possono più attendere. Non ci sarà nessun “cambiamento” senza chiamarli alla lotta diretta, facendoli così uscire dalla gabbia internettara.
«In questo senso non solo esortiamo M5s e Lega a liberarsi del primo ostacolo sulla via del cambiamento, la Quinta Colonna interna al governo; ribadiamo la centralità della mobilitazione popolare. Anche ammesso che, date le condizioni, la sovranità nazionale si debba riconquistare un pezzo dopo l’altro, ciò non accadrà se la battaglia resterà chiusa nel Palazzo. Senza partecipazione dal basso dei cittadini la sconfitta sarebbe certa. Se il governo vuole davvero portare a compimento il “cambiamento” promesso, l’ampio consenso popolare, per ora solo passivo, deve diventare attivo. Il nemico, da parte sua, già prepara le sue truppe. Il “campo populista” deve fare altrettanto, chiamando i cittadini a mobilitarsi, ad organizzarsi in comitati unitari per la sovranità popolare. Lì è il posto della sinistra patriottica, che per questo si riunirà a Roma il prossimo 13 ottobre».
Comitato Centrale di Programma 101 – 10 settembre 2018