Il 20 settembre scorso, con un articolo dedicato al cosiddetto “DDL Pillon”, intervenivamo su “affido condiviso e bigenitorialità”. Anche viste le durissime critiche al DDL da parte di pressoché tutta la sinistra, liberal e radicale, proponevamo si aprisse una “discussione seria”. Dieci giorni dopo pubblicavamo il primo intervento di M. Micaela Bartolucci, quindi, il 12 ottobre quello di Claudia Z., che invece stroncava il Disegno di Legge. Daniela Di Marco* torna sulla questione con un’analisi puntuale del “DDL Pillon”. Ne viene fuori che gran parte dei giudizi negativi sono capziosi e inconsistenti, alcuni addirittura privi di fondamento.

Premessa

Il Disegno di Legge n. 735, chiamato giornalisticamente “DDL Pillon” dal nome del suo primo firmatario, ha suscitato un vespaio di polemiche e si è tirato addosso una grande quantità di accuse e critiche sin dalla sua presentazione in Senato. Si dice che il DDL sia classista, maschilista, patriarcale, contro le donne e i minori di cui annullerebbe i diritti.

Pressoché unanimi in tal senso sono le opinioni a sinistra, divulgate urbi et orbi dai media di regime, si veda Repubblica, il Manifesto & Co. Ebbene, ho letto integralmente il DDL e mi sono fatta la chiara idea che, sebbene questo possa risultare poco chiaro in alcune parti, e sebbene alcune criticità ci siano, le accuse lanciategli contro sono faziose, esagerate e in qualche caso risibili.

Mi chiedo quanti nel variegato mondo sinistrato e fra i media di regime, lo abbiano veramente letto, la mia impressione è che molti si siano limitati a far da megafono a certe isterie di un certo femminismo di parte, senza verificare la veridicità di quanto affermato. Probabilmente si è colta al volo la possibilità di attaccare il governo in carica anche su questo versante.

Capisco bene che Simone Pillon, antiabortista (sia detto en passant, chi scrive, non lo è), organizzatore del Family Day e difensore della famiglia tradizionale, sia il nemico perfetto per tanti e tante, gli si deve comunque dare atto di essersi detto più volte disposto a modificare ed emendare il testo sulla base delle indicazioni e dei suggerimenti che gli arriveranno dalle forze politiche e dalle associazioni.

Antecedenti

Prima di entrare in medias res, voglio chiarire alcune cose e parimenti contestualizzare l’ambito normativo da cui tale disegno di legge prende forma. Perché in effetti, non è che Pillon e tutti gli altri estensori del DDL siano impazziti all’improvviso, ciò che propongono ha avuto una lunga gestazione.

Intanto precisiamo che il DDL 735, impropriamente definito leghista, è di iniziativa di 9 senatori, di cui, si badi bene, 5 del Movimento 5 Stelle, di cui 4 donne, e 4 della Lega, e fra l’altro rispetta il contratto di governo (si veda il punto che riguarda il diritto di famiglia) [1].

Poi ricordiamo che il DDL in questione non introduce l’affido condiviso né il principio della bigenitorialità (diritto naturale del figlio ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori, in caso di separazione e divorzio), essendo questi già sanciti dalla Legge 8 Febbraio 2006, n. 54, costata la fatica di ben 4 legislature, con un solo voto contrario in sede di approvazione.

Ora ci si domanderà perché, dal momento che la legge già c’è, si vuole intervenire per modificarla. Vasto è il materiale informativo e la letteratura che svelano come dall’entrata in vigore della 54/2006 dodici anni fa, essa sia stata disapplicata in quasi tutti i tribunali della Repubblica per prassi e stereotipi culturali duri a morire, lo dimostra anche la giurisprudenza maturata.

A fronte di ciò, i tentativi di modifica della 54/2006 sono partiti già due anni dopo il varo della stessa. Abbiamo 11 disegni di legge in materia delle due legislature precedenti l’attuale. Ne consiglio la lettura e segnalo i link in nota, perché si prenda consapevolezza della direzione intrapresa da tempo in merito al diritto di famiglia [2].

Aggiungiamo – e questo non lo ha scritto nessuno – che il DDL 735 è solo uno dei quattro DDL tutti normanti l’affido condiviso presentati dall’inizio di questa XVII Legislatura; in nota i link ai testi integrali, pubblicati sul sito del Senato [3].

I 4 DDL sono in fase di analisi, studio e discussione alla 2° Commissione permanente (Giustizia). Il DDL 45 e il 768 sono del gruppo parlamentare Forza Italia-Berlusconi Presidente. Il 735, come detto, è del M5S-Lega. So che è stato presentato un DDL n. 782, ma ad oggi non è stato ancora pubblicato sul sito del senato.

Contestualmente al DDL 735 in Commissione verranno discussi anche dei disegni di legge che si occupano della mediazione familiare, ovvero il 118 e il 282. Quello che un domani sarà legge, molto verosimilmente, non sarà il “DDL Pillon” così com’è, ma un testo che verrà elaborato a seguito della discussione e del confronto comparato fra tutti questi DDL che nella sostanza sono molto simili.

Voglio aggiungere ancora un punto.
L’Unione europea ha condannato diverse volte l’Italia per la violazione dell’art. 8 Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) e del diritto ad un sano rapporto parentale della prole con entrambi i genitori. Inoltre, nel 2015 è arrivata la Risoluzione 2079 del Consiglio d’Europa, recepita molto bene dal DDL 735, così come da altri [4].

Ferma restando la nostra opposizione al criterio che il diritto europeo possa sovraordinare quello nazionale, viene spontaneo da chiedere a certa élite liberale europeista (Repubblica & Co.) che si accanisce contro il DDL 735: ma qui non vale il “ce lo chiede l’Europa”?

Il DDL 735

E vediamo finalmente queste «Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità». La visione che sta dietro alle norme, scritta nell’introduzione, è quella della progressiva de-giurisdizionalizzazione nel tentativo di rimettere al centro la famiglia.

A me il presupposto non sembra sbagliato.
In tempi di globalizzazione dispiegata, di liberismo sfrenato, di crisi, di “società liquida” sotto l’egemonia di una cultura iperindividualista e consumista, è di fronte ai nostri occhi l’indebolimento sino alla distruzione della famiglia tradizionale, come di ogni forma associata stabile. I mutamenti intercorsi negli anni sono parecchi, anche l’istituto familiare è cambiato e non è più quello “dei tempi di mia nonna”.

Non si tratta quindi oggi di difendere la famiglia patriarcale qual era, ma proteggere, cercando di ricomporlo, quel nucleo fondante comunitario, base di vincoli solidaristici, affettivi e relazionali, luogo dove non operano le leggi mercantili fondate sul valore di scambio. Ovviamente qui si potrebbe innescare una diatriba riguardo alla legge sulle unioni civili e la realtà delle famiglie arcobaleno.

Questo DDL fa valere gli stessi diritti anche per i figli delle famiglie arcobaleno? E’ un primo punto oscuro.

Vediamo ora i criteri introdotti da questo “vituperato” DDL:

–       mediazione familiare nelle separazioni in cui sono coinvolti figli minorenni;
–       tempi di partecipazione;
–       mantenimento diretto;
–       contrasto all’alienazione genitoriale.

Mediazione familiare

Come si sa, il diritto codifica sempre a posteriori i fatti sociali, sempre più veloci della giurisprudenza. La mediazione familiare (nata in America negli anni ’70), esiste in Italia dagli anni 80, ed è quindi un istituto in uso da 3 decenni. Abbiamo oggi corsi di alta formazione, master, corsi regionali per diventare mediatori, molti istituti pubblici e privati prestano il servizio. Ma non esiste un albo professionale, né un ordine dei mediatori, per cui già da tempo si sono poste delle esigenze normative.

Il DDL 735 istituisce e regolamenta la funzione pubblica e sociale della professione del mediatore familiare, stabilendo il percorso di studi da compiere, con obbligo di riservatezza per segreto professionale, e i cui compensi, secondo quanto scrittovi, dovranno essere decisi con decreto dal Ministro della Giustizia.

Su questo punto, i critici del DDL 735 si sono scatenati perché la mediazione in questione è resa obbligatoria e a pagamento, quindi siccome aumenterebbero i costi a detrimento delle fasce deboli, il DDL 735 sarebbe classista.

Sull’obbligatorietà faccio notare che essa è condizione di procedibilità solo in presenza di minori, e che all’art. 3 comma 3, il DDL recita: «La partecipazione al procedimento di mediazione familiare è volontariamente scelta dalle parti e può essere interrotta in qualsiasi momento», ovvero si lascia anche la possibilità di interromperla e quindi rimettere tutto nelle mani del giudice, come è stato finora. Si legga a conferma anche quanto scritto nelle parti finali degli articoli 11 e 13. Come detto sopra, sulla mediazione familiare interviene anche il DDL 282, di iniziativa della senatrice del Pd Vanna Iori, che introduce disposizioni in materia [ 5 ].
Cosa ci dice il DDL 282?

Dopo aver citato la normativa europea e aver sostenuto l’importanza dell’istituto della mediazione familiare per sostenere la genitorialità, all’art. 4 comma 1, abbiamo che «le parti congiuntamente hanno l’obbligo (…) di adire ad un organismo di mediazione familiare, pubblico o privato, o un mediatore familiare».

Dunque, se di obbligo parlano i 5 Stelle–Lega, è uno scandalo; se lo dice una senatrice del Pd, va bene? Voglio anche far notare che l’Ordine degli Psicologi, nel 2011, nel fornire un proprio parere sul DDL 957 (del 2008, simile nei contenuti al DDL 735), diede parere favorevole proprio per l’obbligo della mediazione e non per la scelta volontaria.

Tornando ai costi, il DDL 735, come il 282 e il 118, prevede l’istituzione del servizio di mediazione familiare tanto nel ramo pubblico quanto in quello privato, si veda il comma f) dell’art. 1. Gridare allo scandalo di una mediazione a pagamento, a detrimento delle fasce deboli, perciò classista, è veramente risibile. Si è obiettato che il settore pubblico non funziona. Chiedo: deve essere una legge sull’affido condiviso a farlo funzionare?

Sul presunto aumento dei costi di separazione, pongo un’ulteriore riflessione: annose questioni portate davanti al giudice per alta conflittualità, con o senza mediazione familiare, che prezzo/costo hanno ed hanno avuto negli anni? E chi lo ha dovuto pagare? Probabilmente sono maturi i tempi per una gestione del contenzioso diversa da come è stato fatto fino ad oggi e contro una visione tribunalcentrica secondo la quale i magistrati sono gli unici deputati a dispensare giustizia.

Ad ogni modo, il DDL 735 prevede l’istituzione del Piano Genitoriale, un documento scritto con l’aiuto del mediatore, in cui viene illustrata la situazione del minore al momento della separazione e le proposte in ordine al suo mantenimento, istruzione, educazione e assistenza morale a divorzio attuato.

In casi di separazioni consensuali, non sarebbe necessaria la mediazione e i genitori potrebbero benissimo redigere il piano genitoriale da soli. In caso di non consensualità e di fallimento della mediazione, viene introdotta un’altra figura, quella del Coordinatore genitoriale, che si caratterizzerà per una modalità fortemente direttiva nell’elaborazione del piano genitoriale. Penso che il DDL 735 non sia sufficientemente chiaro nel distinguere le due figure di Mediatore e di Coordinatore e nel determinare rispettivi ruoli e compiti.

Tempi di partecipazione

Il DDL 735 introducendo il concetto della “bigenitorialità perfetta”, stabilisce che il minore passerà, salvo che non sia contrario al suo interesse, periodi di permanenza pressoché paritetici con ciascuno dei genitori, col venir meno quindi della figura del “genitore collocatario” (quello con cui i figli stanno per la maggior parte del tempo e presso il quale viene fissata la residenza anagrafica).

Specifichiamo subito che l’articolo 337-ter del codice civile, come sostituito dal DDL 735, prevede tempi paritetici o equipollenti «salvi i casi di impossibilità materiale, (…) salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di: 1) violenza; 2) abuso sessuale; 3) trascuratezza; 4) indisponibilità di un genitore; 5) inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore».

Per cui si evince che i casi dell’abuso sessuale e della violenza sono tenuti in considerazione e visti come ovviamente ostativi. Altra è la legge che deve trattare e punire violenze e abusi, per un disegno di legge che normi l’affido condiviso, mi sembra sufficiente che la questione sia presa in considerazione e vista contraria al “superiore interesse del minore”.

Fra l’altro, il DDL 735, nel “superiore interesse del minore” non esclude l’affido esclusivo deciso da parte del giudice, cosa che è facile desumere, varrà in caso di violenza e abusi sessuali. Nell’esprimere ferma condanna verso la violenza contro le donne, specifico che non posso annoverarmi fra coloro che considerano la violenza come un dato costitutivo del rapporto relazionale uomo-donna, non appartengo dunque a quella categoria di femministe che considerano il maschio in quanto tale un monstrum.

Avanzo quindi un’altra riflessione.
Sappiamo che da sempre il lavoro di cura e di assistenza verso i figli ha gravato sulle spalle della donna. Le femministe più accanite, lo hanno sempre denunciato. Quindi, una equa ripartizione nella gestione dei figli fra entrambi i genitori, non sarà un ulteriore passo verso l’emancipazione femminile, sgravando la donna dal pesante e solitario fardello?

Tornando alla questione dei tempi paritetici, l’accusa lanciata in questo caso contro il DDL 735 è quella di esprimere una visione “adultocentrica” e di guardare ai minori come a “pacchi postali”. Personalmente, non vedo nel DDL 735 automatismi di sorta, anzi mi sembra che si lasci la possibilità agli ex coniugi di adattare i tempi in base alle esigenze del minore. Poi non bisogna confondere il domicilio con la residenza. Il doppio domicilio presso ciascun genitore all’art. 11 è stabilito ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute, così che entrambi i genitori siano informati sul minore.

Il caso di impossibilità materiale di vivere nelle due case dei genitori è previsto, e lo si supera con meccanismo di recupero durante i periodi di vacanza. Dove possibile l’equa alternanza, credo che a giovarne sia proprio il minore. E segnalo che i tribunali di Perugia e Brindisi hanno preceduto il DDL 735, con la promulgazione di protocolli e linee guida ispirate alla custodia paritetica con ottimi risultati, partendo dagli studi che testimoniano del superiore benessere del bambino quando beneficiario di un affidamento concretamente condiviso, che quindi solo una certa stampa faziosa continua a definire “pacco postale” [6].

Ciò che mi lascia perplessa riguarda le fasce d’età dei figli. Non si può paragonare un bambino in fasce, che auspicabilmente dovrebbe essere allattato dalla madre, ad un adolescente. Quindi una maggiore chiarezza del DDL 735 sul punto, ci sta.

Mantenimento diretto

Qui le critiche al DDL sono piovute a raffica, per via di una presunta abolizione dell’assegno di mantenimento, e a causa dell’assegnazione della casa familiare. Dalla stampa è stata deliberatamente fatta molta confusione. L’assegno di mantenimento verso il coniuge da cui ci si separa, che in termini giuridici si chiama assegno divorzile, non è minimamente toccato da questo disegno di legge, quindi per esso vigono le attuali normative che se ne occupano.

Ricordando che il mantenimento diretto è già previsto dalla legge 54/2006, bisogna vedere come lo modifica il DDL 735. Anche qui sono state scritte e dette delle scorrettezze.

Il mantenimento diretto, come previsto dal DDL 735 non sarà realizzato dividendo in due parti uguali le spese, ovvero al 50%, ma i capitoli di spesa saranno divisi su base proporzionale e chi guadagna di più, spenderà di più per il figlio.

Verrà tutto scritto e stabilito nel piano genitoriale di cui sopra.
Nel suddetto piano devono essere indicate le misure e modalità con cui ciascun genitore provvede al mantenimento diretto dei figli, considerando sia le spese ordinarie che le straordinarie, attribuendo a ciascun genitore capitoli di spesa in misura proporzionale al proprio reddito, guardando anche alla valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

Si legga l’art. 11 in proposito, che fra l’altro specifica che: «Il giudice stabilisce, ove strettamente necessario e solo in via residuale, la corresponsione a carico di uno dei genitori, di un assegno periodico per un determinato periodo di tempo in favore dell’altro a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore».

E’ chiaro ora che l’assegno divorzile non è toccato, e che se un genitore si trova al momento della separazione in difficoltà, e quindi non in grado di provvedere al mantenimento diretto dei figli, è previsto l’assegno di contributo dall’altro genitore? Spero di sì.

Passiamo alla questione casa.
La legge 54/2006 stabilisce che nell’assegnazione della casa il giudice deve tenere conto del titolo di proprietà. Il DDL 735 non cambia di molto la cosa. Supera la questione in considerazione dei previsti tempi paritetici, quindi slegando la questione casa dalla collocazione del minore, prevede che l’assegnazione segua le regole del diritto civile in materia di proprietà e comunione dei beni. Chi resta nella casa, se non ne è il proprietario, pagherà un canone d’affitto all’ex coniuge proprietario.

Ad ogni modo non si avrà il temuto sfratto di tutte le donne, perché c’è sempre la possibilità della supervisione del giudice.

Alienazione genitoriale

Sono infine piovute moltissime critiche al DDL 735 in merito alla sindrome di alienazione genitoriale, la cui sigla in lingua inglese è PAS, e che è stata elaborata dal discusso medico statunitense R. A. Gardner [7]. Ho una buona notizia per i terrorizzati della PAS. Il DDL 735 non ne parla, non prende in considerazione nessuna sindrome né patologie varie.

Ciò di cui si occupa il DDL 735 – rinunciando completamente ad entrare nell’asperrimo dibattito circa l’esistenza e la validità scientifica di suddetta PAS – è l’alienazione genitoriale intesa come il processo secondo cui un genitore utilizza il figlio per negargli “il diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con l’altro genitore, oppure come il semplice rifiuto senza concorso diretto dell’adulto, messo in atto dal minore stesso per esautorazione del conflitto vissuto.

Non mi si dica che è un astuto stratagemma e che il DDL 735 allude in verità alla PAS di Gardner. Forse vale la pena di dare un’occhiata alla vasta letteratura e ai dati statistici sulle condotte di certi genitori indirizzate all’allontanamento fisico e morale del figlio minorenne dall’altro genitore.

E si tengano in considerazione anche le sentenze di primo, secondo e terzo grado che la riconoscono già. Faccio comunque notare che a parlare espressamente di PAS e a citare R. A. Gardner è il DDL 45. Le critiche sulla questione attribuite al DDL 735 vanno quindi indirizzate al DDL 45.

Spero di aver contribuito ad una corretta comprensione del DDL 735 e quindi chiarito perché tante delle critiche che ha ricevuto sono inconsistenti se non prive di fondamento.

* Daniela Di Marco
è membro di Programma 101


NOTE

[1] Il DDL 735 porta le firme di Pillon (Lega), Ostellari (Lega), Candura (Lega), Pellegrini (Lega), Piarulli (M5S), D’Angelo (M5S), Evangelista (M5S), Giarrusso (M5S), Riccardi (M5S)
[2] Legislatura XV:
DDL 957, 29 luglio 2008 (i DDL successivi sono molto simili a questo); DDL 43, 29 aprile 2008; DDL 2454, 16 novembre 2010;DDL 2800, 29 giugno 2011; DDL 3289, 8 maggio 2012.
Questi DDL vennero congiunti nel giugno 2012 adottando il testo base n. 957, ma il progetto non seguì l’iter parlamentare, restando fermo in Commissione.
Legislatura XVI:
DDL 409, 10 aprile 2013; DDL 1163, 4 novembre 2013; DDL 1187, 27 novembre 2013; DDL 1141, 9 aprile 2014; DDL 1756, 2 febbraio 2015, DDL 2421, 25 maggio 2016.
Questi sono stati congiunti nel luglio 2015, rimasti anch’essi fermi in Commissione Giustizia.

[3] Le legislature XV e XVI hanno fallito l’obiettivo di riformare la Legge 54/2006. Il compito passa alla XVII Legislatura in corso. Questi i DDL presentati fino al momento:
DDL 45, 23 marzo 2018; DDL 735, 1 agosto 2018; DDL 768, 7 agosto 2018.
Alla data odierna, il DDL 782 non è stato pubblicato.

[4] La Risoluzione 2079 del Consiglio d’Europa invita gli Stati membri ad adottare normative che assicurano l’effettiva parità dei genitori nei confronti dei figli, consiglia l’introduzione del principio della doppia residenza o del doppio domicilio dei figli in caso di separazione, limitando le eccezioni ai casi di violenza domestica, abuso sessuale, trascuratezza e indisponibilità di un genitore oppure per inadeguatezza degli spazi; incoraggia, in ogni caso, la mediazione all’interno delle procedure giudiziarie in materia familiare relativamente ai minori.

[5] Dopo aver presentatoil suo DDL il 16 aprile 2018, cosa alquanto singolare, la senatrice Iori lo ha ritirato il 26 settembre 2018. Pur ritirato, il testo è in discussione alla Commissione. Curiosità del tutto personale è capire perchéla Iori ha ritirato il testo, forse è segno di un conflitto molto forte in seno al Pd, se la collega della Iori, la senatrice Valeria Valente ha dichiarato: «la mediazione famigliare introdotta in modo obbligatorio, appesantisce e rende più gravoso per tutti il già lungo e difficile percorso della separazione».

[6] Protocollo per il processo di famiglia Tribunale di Perugia, 25 novembre 2014
Linee guida per la sezione famiglia del Tribunale di Brindisi, 30 marzo 2017

[7] Secondo R. A. Gardner, la PAS sarebbe una controversa dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti tanto in contesti di separazione e divorzio dei genitori, definiti conflittuali, quanto in contesti di presunta violenza intradomestica.

 

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