Una recente intervista di Sergio Cesaratto ha stupito molti suoi amici. Tra questi, pure chi scrive queste righe. Successivamente, allo scopo di precisare meglio il suo pensiero, Cesaratto ha pubblicato un nuovo intervento. Il quale, se da un lato puntualizza alcune questioni, dall’altro entra in contraddizione con quanto affermato nella conversazione con Marco Biscella.

Entriamo dunque nel merito. «Lettera UE all’Italia – Le mosse da non sbagliare con l’Europa», è questo il titolo dato all’intervista, e ne restituisce perfettamente il senso. Nelle sue risposte Cesaratto dice essenzialmente quattro cose. La prima è che «i parametri di Maastricht hanno perfettamente senso». La seconda è che alla lettera UE bisogna dare «una risposta ragionevole con proposte ragionevoli e non sgangherate, come sbattere i pugni sul tavolo o minacciare di ribaltare i trattati». La terza è l’invito al governo italiano affinché lavori al seguente compromesso: «L’Europa dovrebbe aiutarci ad abbassare drasticamente i tassi d’interesse sui nostri titoli pubblici e l’Italia impegnarsi, firmando un memorandum, a una stabilizzazione, non riduzione, del rapporto debito/Pil». La quarta riguarda lo strumento “per cambiare l’Europa”, che per Cesaratto è l’aumento progressivo del “bilancio federale”, obiettivo da raggiungere anche alleandosi con Macron.

Contrariamente a quel che penserà qualcuno, dico subito che il problema non è il primo punto, cioè Maastricht. Maastricht è una mostruosità perché mostruosa è l’unione monetaria che deve sostenere. Stesso discorso per il Fiscal compact, arrivato a completare l’opera vent’anni dopo. Ma che in un’unione monetaria, tanto più se priva di uno Stato in senso proprio, certe regole siano necessarie, è cosa fin troppo ovvia. E chi scrive ha spesso polemizzato con quei sinistrati che vorrebbero tenersi l’euro ma cancellando i parametri di Maastricht. Un’idea senza senso, impossibile da realizzarsi, dato che Maastricht ed euro (come poi Fiscal compact ed euro) viaggiano necessariamente insieme come la più classica coppia di carabinieri. Solo lavorando all’uscita dall’euro sarà dunque possibile liberarsi dai vincoli dei trattati europei. Ma questa è cosa ovvia.

Neppure il secondo punto è di per se un problema. Premesso che ci sarebbe da discutere su cosa sia «una risposta ragionevole con proposte ragionevoli», nessuno parla (per la verità neppure tra le fila del governo, per quanto pasticcione esso sia) di un inutile sbattimento di «pugni sul tavolo», né di un impossibile ribaltamento dei trattati. Al di là delle parole, e dei soliti artifizi diplomatici, l’unica risposta politicamente sensata ad un attacco, che è eminentemente politico, sarebbe stata quella di rispedire la letterina al mittente. Francamente non si capisce qui a chi parli Cesaratto. Lo sbattitore di pugni virtuali se ne sta adesso tranquillo a mangiare pop corn a Rignano sull’Arno, mentre l’idea del “ribaltamento dei trattati” ha già avuto abbondanti risposte negative dal voto di domenica scorsa.

L’impressione è che questi falsi bersagli servano più che altro ad introdurre il terzo ed il quarto punto: l’idea del memorandum e quella di puntare all’aumento del bilancio federale. E qui i problemi ci sono eccome!

Nel suo secondo intervento Cesaratto dice di non aver voluto compiere «nessuna retromarcia pro-europeista». Ne prendiamo atto, e conoscendo la sua onestà intellettuale non possiamo che credergli. Tuttavia il suo discorso va invece nell’altra direzione.

Inoltrarsi sulla strada della ricerca di un nuovo compromesso, basato su uno scambio tra tassi e debito, potrebbe condurre solo a due possibili sbocchi: o il manifestarsi della totale irrealizzabilità del progetto qualora l’Italia tenesse la schiena dritta, o il totale sbilanciamento a perdere per il nostro Paese con nuovi vincoli senza compenso alcuno. Quale sarebbe mai il senso di questo ulteriore allungamento dei tempi dell’attuale agonia?

Non solo, con una simile trattativa si accetterebbe già in premessa il ricatto del debito, mentre è proprio quel ricatto che va respinto. Come ha ricordato Piemme, quando gli stati vengono messi in croce dai debitori esiste sempre l’arma del default. Un’arma che non dev’essere mai scarica, anche se può essere usata in tante maniere.

Peggio ancora il discorso sul bilancio federale. Noi non crediamo affatto alla realizzabilità degli Stati Uniti d’Europa. Ma qualora questa distopia si realizzasse essa sarebbe un incubo, la democrazia ne risulterebbe azzerata, mentre il dominio ordoliberale avrebbe così la sua definitiva consacrazione. Una prospettiva che certo non è quella di Sergio Cesaratto, ma aumentare il bilancio federale va esattamente in quella direzione: meno risorse per gli Stati nazionali (dove la democrazia conta ancora qualcosa, ed è comunque un terreno di lotta), più risorse ad una tecnocrazia ademocratica priva di ogni controllo.

Ora, la risposta alla letterina di Bruxelles è stata data dal governo in un modo alquanto raffazzonato e contorto. Un modo di procedere che certo non convince, che tuttavia lascia aperte ancora diverse possibilità. Tra queste – nel suo secondo intervento – Cesaratto riconosce anche quella che così si possa andare verso l’uscita dall’euro. «Se si intraprendesse questa strada», egli ci dice: «non avremmo altra scelta che appoggiarla. Vorrei che ci si arrivasse in maniera diversa e meno sgangherata, e con obiettivi diversi che non la flat tax e un clima da oscurantismo alla Opus Dei (baci ai rosari e quant’altro)».

Siamo ovviamente d’accordo, sia sulla flat tax (che comunque ancora non si capisce cos’è, ma che in ogni caso sarà diversa assai dall’iniziale progetto leghista), che sui baci ai rosari. Ma qui il problema è la sinistra, il suo sfegatato europeismo, il suo matrimonio di fatto con il cosmopolitismo delle èlite. Sta in ciò la spiegazione della momentanea vittoria del salvinismo.

Tuttavia, se da un lato si riconosce la possibilità – possibilità, non ancora probabilità, ma su questo siamo perfettamente d’accordo – che l’attuale situazione possa condurci alla battaglia finale per l’Italexit, e dall’altro si riafferma che in quel caso non potremmo che sostenerla, perché introdurre ipotesi come quella del memorandum e di un “bilancio federale” (termine peraltro improprio) da incrementare? Ecco, questa è la domanda che vorrei porre a Sergio.

Perché delle due l’una: o si persegue, come noi riteniamo assolutamente necessario, l’uscita dalla gabbia eurista, ed allora le proposte su memorandum e bilancio sono del tutto incomprensibili oltre che negative; o si ritiene, viceversa, che questa via sia sbagliata alla radice. Ma in tal caso bisognerebbe dirlo con chiarezza.

«Se decidi di fare politica in Europa ti devi dare obiettivi corretti e agire negli interstizi possibili, inclusa la attuale spaccatura franco-tedesca», ci dice Cesaratto. Certo, la politica è anche questo. Ma tutto ciò avrebbe senso solo a partire da una valutazione positiva sulla riformabilità dell’Unione europea e dell’euro. Riformabilità che invece non esiste, che è pari a zero. Non lo diciamo noi, lo dicono i fatti da tanti anni ormai.

Attenzione quindi a non perdere la bussola. Un rischio che si è fatto più alto con lo sbilanciamento a destra della maggioranza governativa. Ma se da un lato non dobbiamo arretrare di un millimetro sulla nostra visione della società (dunque niente flat tax e rosari, bensì uguaglianza, Costituzione e socialismo), dall’altro non dobbiamo mai dimenticarci la priorità assoluta della liberazione dalla gabbia in cui le classi dominanti hanno voluto rinchiudere il nostro popolo. Le due cose stanno insieme, anche se la situazione attuale potrebbe talvolta farci credere il contrario. Dunque attenzione, doppia attenzione, a non perdere la bussola.