Non so se nel misero pollaio della politica italiana Renzi sia il più intelligente, ma di sicuro è il più svelto di tutti. Preso atto della mossa agostana di Salvini, la sua contromossa è arrivata fulminea già nelle ventiquattrore successive. Una risposta che, smentendo senza indugi tutti i precedenti veti anti-M5S, ha discrete possibilità di successo.

La fine del governo gialloverde segna un’indubbia vittoria dell’oligarchia eurista. Vero (e lo avevamo ampiamente segnalato) che questa fine politica si era già consumata a luglio, ma il modo in cui la Lega ha alla fine staccato la spina peggiore non poteva essere. Una rottura motivata male assai (il partito del sì contro quello del no, ed altre simili amenità), con un attacco tutto rivolto ai Cinque Stelle anziché alla Quinta Colonna mattarelliana, vera responsabile della svolta eurista del governo. Ma soprattutto una rottura sbagliata nei tempi, se davvero Salvini vuole le elezioni.

Quest’ultimo punto è decisivo. Una richiesta di elezioni dopo le europee sarebbe apparsa sensata. I tempi ci sarebbero stati tutti e Mattarella non avrebbe avuto troppi pretesti per mettersi di mezzo. Adesso è tutto il contrario. Chi scrive sa bene che rimandare la Legge di Bilancio di due mesi non sarebbe un dramma, ma perché dare questo argomento agli avversari ed all’intera canea mediatica?

Prima gli italiani o prima i clan leghisti del nord?

Conte non si è ancora dimesso, le sue comunicazioni al parlamento devono ancora essere calendarizzate, Mattarella non ha ancora preso in mano l’iter delle consultazioni, ma già quelle elezione date troppo frettolosamente per certe appaiono ora ben più lontane di tre giorni fa. Tutto ciò avviene per un motivo semplicissimo: tre dei quattro principali partiti non hanno alcun interesse ad andare a votare. Detto in altre parole, Salvini aveva una maggioranza ed ha deciso di mettersi in minoranza. Certo, lo ha fatto chiedendo che la parola torni agli elettori. Il che dal punto di vista democratico va certamente bene. Ma egli non può far finta di non sapere che, ove davvero si votasse, potrebbe forse ottenere la maggioranza dei seggi (grazie al maggioritario), non certo quella dei voti, che aveva invece in alleanza con M5S nel governo gialloverde. Piano dunque a parlare in nome degli italiani…

Ecco, aver buttato a mare quella maggioranza, confermata alle europee sia pure a parti invertite, è la responsabilità più grave che si è assunta Salvini. In quella maggioranza c’era infatti la spinta popolare al cambiamento. Una spinta confusa e contraddittoria quanto si vuole, ma pur sempre una spinta vera.

Ma, la domanda sorge davvero spontanea, qual è il cambiamento che vuole la Lega? E’ quello che passa attraverso la liberazione dal cappio eurista o è il ritorno riverniciato solo un po’ alle origini liberiste, mercatiste e soprattutto padane dell’era Bossi?

Ora, se davvero il “prima gli italiani” di Salvini voleva significare in primo luogo la liberazione dall’euro-Germania, egli avrebbe dovuto agire ben diversamente da quel che ha fatto. In primo luogo avrebbe dovuto mettere costantemente al centro i temi economici, non la sicurezza e i migranti. In secondo luogo avrebbe dovuto togliere di mezzo la pretesa del “regionalismo differenziato”, altro non fosse perché una battaglia contro Bruxelles esige la massima unità del Paese. In terzo luogo, avrebbe dovuto curare i rapporti con i Cinque Stelle, evitare di attaccarli ogni giorno, mantenere la compattezza dell’alleanza sulla base della lotta al nemico principale che sta a Bruxelles.

E’ avvenuto invece l’esatto contrario. Ora, è vero che M5S si è assunto la responsabilità del voto alla Von der Leyen. Un atto gravissimo. «Con noi avete chiuso», così P101 intitolava il suo comunicato del 18 luglio rivolgendosi ai pentastellati. Detto questo bisogna però chiedersi cos’è che in sei mesi ha fatto passare M5S dall’incontro con i gilet gialli (gennaio) all’alleanza con Macron (luglio). Certo, vi sarà più di un motivo in quanto avvenuto, ma come non vedere come sia stata proprio l’offensiva salviniana (l’idea di un’autosufficienza che talvolta sconfina nel delirio) a spingere Di Maio e gli altri verso il blocco eurista e lo stesso Pd?

Elezioni o nuovo governo?

Quanto detto sulla Lega non assolve neanche un po’ i Cinque Stelle. Dopo tanti discorsi contro la casta, i pentastellati appaiono di fatto i più incollati alla poltrona. Le troppe figurette rimediate – ultima la pagliacciata sul Tav – non hanno bisogno di alcun commento. Ma è la svolta eurista il vero snodo decisivo di un’involuzione normalizzatrice di cui non si vede la fine. Adesso è arrivato pure Grillo a benedire l’alleanza de facto con Renzi, e tutto ciò basta e avanza.

Andremo dunque ad elezioni od avremo invece un nuovo governo? Pur non avendo la sfera di cristallo, la seconda possibilità appare di gran lunga come la più probabile. Ma se M5S è pronto a nuove nozze, cosa farà il Pd?

Ecco che torniamo così al punto da cui siamo partiti. In teoria il Pd ha un segretario, peccato che sia del tutto evanescente. Un segretario tafazziano, che chiede elezioni pur sapendo che si risolverebbero in una discreta legnata per la ditta.  Al contrario, nel momento decisivo, è invece riapparso l’ex segretario, il quale un piano sembra averlo. Un piano che va incontro alle esigenze di M5S, oltre che agli interessi della propria nutrita pattuglia di parlamentari.

In cosa consista questo piano è presto detto: 1) Evitare le elezioni facendo nascere un nuovo governo, da denominare in qualche modo (istituzionale, transitorio, del presidente, eccetera) per nascondere la nuova alleanza  politica. 2) Affidargli il compito di fare la Legge di Bilancio, bloccando l’aumento dell’IVA. 3) Far passare il taglio dei parlamentari voluto dai Cinque Stelle.

Messa così la cosa potrebbe andar bene anche a Salvini, il cui piano b sarebbe quello di denunciare  l’inciucio ed i nuovi attesi sacrifici, lanciandosi in una campagna elettorale permanente in attesa delle elezioni nella prossima primavera.

Non credo però che andrà così. Intanto, la fine dell’anomalia gialloverde potrebbe spingere Bruxelles alla concessione di più ampi spazi (per quanto sempre temporanei) di flessibilità, proprio come fece per facilitare l’ascesa di Renzi. In secondo luogo, il taglio dei parlamentari condurrebbe alla possibile richiesta di un referendum costituzionale, o – nel caso nessuno lo richieda – alla necessità di ridisegnare i collegi elettorali, con la conseguenza di rendere assai difficile il voto anticipato nella primavera 2020.

Ma c’è di più. Superato lo scoglio della Legge di Bilancio, si può esser certi che la nuova maggioranza non avrebbe fretta alcuna di arrivare al voto. Non solo. Poiché il taglio dei parlamentari determinerebbe sbarramenti impliciti altissimi per l’attribuzione dei seggi senatoriali nelle regioni più piccole, ecco che vi sarebbe il motivo per rivedere la legge elettorale. Si vorrà a quel punto tagliare le unghie a Salvini? Semplice, basterà abolire i collegi uninominali del Rosatellum. La qualcosa, da un punto di vista democratico, male non sarebbe di certo. Peccato solo che si continuerebbe così la solita prassi dei cambiamenti della legge elettorale in base ai prevalenti interessi del momento.

Tirando le somme di quanto abbiamo scritto, si sarà capito che un nuovo governo è più probabile delle elezioni in autunno. Sempre ricordando, però, che probabile non vuol dire certo.

Un no chiaro al “Governo Ursula”

Se davvero andrà così, le idee dovranno essere chiare.
La sera del 12 novembre 2011, mentre mezza Italia festeggiava la cacciata del Buffone d’Arcore, da lì a breve sostituito dal Killer dei mercati Mario Monti, scrivevamo un breve articolo dal titolo assai eloquente: «Quanto è stupido l’“antiberlusconismo”». Spero non ci sarà bisogno, stavolta, di scriverne uno analogo sulla stupidità di certo “antisalvinismo”.

Detto in altre parole, se di Salvini è legittimo pensare tutto il male possibile, sulla nuova operazione del blocco eurista che si profila all’orizzonte non si dovrà certo essere teneri. Al contrario, si dovrà essere rigorosi ed inflessibili.

Se quel governo nascerà, esso potrà farlo solo in nome dell’Europa, cioè dell’UE, dell’euro e delle sue regole strangola-popoli. La cosa è così evidente che qualcuno già lo chiama “governo Ursula”, dal nome dell’aristocratica tedesca Ursula Von der Leyen messa dalla Merkel (e votata da Pd, M5S e Forza Italia) a capo della Commissione europea.

Un marchio di fabbrica più che sufficiente a far capire la portata della vittoria dell’oligarchia eurista da un lato, l’urgenza di una rinnovata opposizione che sappia guardare alla necessità di liberare l’Italia dall’altro.