Nella crisi sistemica il naufragio del governo giallo-verde apre una nuova fase politica. Che fase è? E soprattutto, che si deve fare affinché la protesta popolare sfociata nelle elezioni del 4 marzo 2018 non si disperda? Dentro Programma 101 è in corso una discussione di cui questo contributo di Pasquinelli è frutto. Lo sottoponiamo all’attenzione dei lettori come di tutti i patrioti.

BREXIT

Una settimana fa il ministro conservatore britannico per la Brexit, Steve Barclay, nel disperato tentativo di riguadagnare terreno, ha firmato la legge che cancella l’European communities Act – Chapter 68, la legge del 1972 che sanciva l’adozione delle leggi europee da parte del Regno Unito. “Un passo storico per il ritorno dei poteri legislativi da Bruxelles al Regno Unito”, così recita il comunicato del governo britannico. L’annullamento dell’European communities Act entrerà in vigore il 31 ottobre, data in cui la Gran Bretagna lascerà l’Unione europea, con o senza accordo.

Un atto politico di un Paese indipendente deciso a riguadagnare la propria sovranità. Sottolineo “atto politico” perché da anni il campo sovranista italiano — a dimostrazione di quanto sia penetrata in ogni dove la concezione economicistica tipica dei capitalisti — discetta, fino al limite del funambolismo tecnicistico, su miracolistiche misure di carattere economico e monetario che potrebbero essere adottate a Trattati europei vigenti, cioè senza uscire dalla Unione europea e dall’eurozona.

Quando non si tratta di velleitari escamotage, queste misure sono presentate come “Piano A” di un governo sovranista e popolare che decide di adottarle e, ove Bruxelles lo vieti, allora, e solo allora, si dovrebbe procedere per l’uscita (“Piano B”).


A MALI ESTREMI, ESTREMI RIMEDI

Il problema del “Piano A – Piano B” è che con ciò ci si immagina che tra il governo sovranista e l’Unione possa darsi un negoziato all’acqua di rose, ecumenico, rispettoso della correttezza che distingue gli amici. Come la vicenda della Brexit insegna si tratta di un’idea campata per aria. Tutto depone per il contrario: i nemici della nostra sovranità ricorreranno ad ogni mezzo per impedire al Paese di sfuggire alla gabbia in cui siamo reclusi. I diversamente europeisti, malignamente, ci accusano di augurarcelo, di cercare il tanto peggio tanto meglio. Nient’affatto! Anche noi preferiamo le discese rispetto alle salite. Stiamo solo dicendo che occorre essere realisti, che occorre attrezzarsi ad una battaglia accanita e durissima. Per questo, e non da ora, associamo la proposta di uscita dall’euro a quella di un Governo Popolare d’Emergenza. Per essere ancora più precisi: al nemico che cercherà di far piombare il Paese nel caos, un governo deciso a non capitolare e evitare lo sfascio e un nuovo 8 settembre dovrà essere pronto a dichiarare lo Stato d’eccezione, ciò che appunto sarebbe la prova del nove del suo essere soggetto titolare di sovranità.

Una classe dirigente degna di un grande popolo non esiterebbe a ricorrere ad ogni strumento a disposizione per tutelare l’indipendenza e gli interessi della sua nazione. Solo una simile classe dirigente meriterebbe l’appoggio dei cittadini. Il consenso che otterrà sarà direttamente proporzionale alla sua fermezza.

Resta, nel caso (assolutamente certo) del niet dell’Unione Europea, che un governo sovrano dovrebbe anzitutto compiere l’ineluttabile atto politico di disdettare gli accordi anti-nazionali sottoscritti nei decenni e di stracciare tutte le relative norme unioniste. Quindi, siccome esse sono state recepite nella Costituzione, avviare la modifica di quest’ultima — se necessario attraverso una Assemblea CostituenteHic Rodhus, hic salta: non ci sono tecnicismi e acrobazie economiciste che tengono. Tanto più nei momenti altamente critici, la decisione politica va messa al posto di comando.


APPOGGIO TATTICO

Soloni, finti sapienti e grilli parlanti d’ogni specie, a causa della débâcle del governo M5S-Lega, ci chiedono l’autocritica per avere scelto una posizione di appoggio tattico. Dobbiamo deluderli, non faremo alcuna autocritica.

Si trattava per noi, visto che riteniamo lo scontro con l’Unione europea la questione delle questioni, di sostenere la rivolta elettorale del 4 marzo 2018, di dare nuovo slancio alla sua forza propulsiva. Grazie a quel terremoto, per la prima volta dal 1948, le élite sistemiche sono state cacciate all’opposizione così che il fortilizio di Palazzo Chigi era caduto in mano a due forze populiste — zoppe, inconseguenti, tentennanti quanto si vuole, ma per loro natura invise all’euro-oligarchia ed ai suoi alfieri nostrani.

I “sovranisti senza sé e senza ma”, i tuttosubitisti, che in anticipo dicevano di aver tutto capito e previsto, hanno denunciato Di Maio e Salvini come due cialtroni, come traditori: “faranno come Tsipras”. Bontà loro si son messi l’anima in pace, conciliando la propria coscienza con la loro impotenza. L’appoggio tattico al governo non era affatto una codista scelta di campo — si rilegga quanto scrivemmo nel luglio 2018 era invece la maniera per agire sulla contraddizione principale, accentuando il contrasto irriducibile tra gli interessi e le speranze popolari e l’intero sistema eurocratico così come, al contempo, la maniera per porre un cuneo tra la volontà di cambiamento di tanti cittadini e le due esitanti forze populiste.

Sapevamo che la pratica dell’appoggio tattico, come scelta di campo, racchiudeva dei rischi — chi non vuole correrli è meglio che non si occupi di politica. Tre erano infatti le possibilità nella partita apertasi col 4 marzo 2018 e la nascita del governo giallo-verde(blu) il 1 giugno: (1) LA ROTTURA CON LA UE — inevitabile nel caso i giallo-verdi avessero rispettato il mandato ricevuto per una svolta radicale nelle politiche economiche e sociali; (2) LA CAPITOLAZIONE —esito greco appunto; (3) TIRARE A CAMPARE — ovvero la via di mezzo accettando compromessi pasticciati con Bruxelles.
Ora, se fare politica significa agire sulla “realtà effettuale” e non invece esplorarsi il naso in attesa della Provvidenza, ciò implicava di necessità contribuire affinché si affermasse la prima possibilità, sventando la terza e contrastando la seconda. Alla fine della fiera si è realizzata la terza possibilità, col particolare che a forza di tirare a campare il governo ha tirato le cuoia.

Avevamo escluso, è vero, la capitolazione (che infatti non c’è stata), non avendo affatto sottovalutato lapossibilità di compromessi raffazzonati. Che questa fosse anzi la cosa più probabile ci fu chiaro dopo il veto di Mattarella su Savona a Ministro dell’economia e l’accettazione da parte dei giallo-verdi di Tria al suo posto e Conte primo ministro. Dicemmo subito (QUI, QUI e QUI) che il governo nasceva all’insegna di un brutto compromesso, che aver accettato nel governo quel Cavallo di Tro(i)a avrebbe impedito al governo ogni svolta vera —salvo sostituirlo presto. Scrivemmo (giugno 2018) infatti che l’aver imbarcato laQuinta Colonna euro-mattarelliana minava non solo l’efficacia ma la stessa stabilità del governo.


QUATTRO DOMANDE

Che la caduta del governo giallo-verde sia stata una grande iattura — di cui Matteo Salvini in primis porta la gravissima responsabilità e, in secundis, la cupola dei 5 Stelle — solo degli scellerati possono negarlo. Chi esulta infatti sono i poteri forti neoliberisti, le élite eurocratiche e i loro lacchè italiani, che ora ne approfittano per restaurare, dopo la breve fase populista, il sistema bipolare ex ante ed il loro comando politico. In questa prospettiva non è solo necessario che i 5 Stelle vengano inglobati in un nuovo centro-sinistra, è funzionale che dall’altra parte si stabilizzi un blocco di destra, malgrado sia lo stesso Salvini ad esserne il padrone.

PRIMA DOMANDA: è inevitabile la restaurazione del bipolarismo? No, non lo è. Certo, che sia lo sbocco preferito dall’élite ha un peso enorme, ma che esso si compia dipende dalla congiunzione di diversi fattori, il primo dei quali è il miglioramento della situazione economica e sociale, che invece si aggraverà, anzitutto nell’euro-germania, quindi dalla riuscita del sodalizio tra M5s e Pd e dalla compattezza di entrambi.

SECONDA DOMANDA: l’indecorosa caduta del governo giallo-verde spegnerà la spinta propulsiva al cambiamento che si affermò il 4 marzo? La nostra risposta è no. Essa ha subito un rovescio ma rialzerà la testa sia perché restano sul tappeto tutti i motivi di fondo che l’avevano innescata, sia perché resta maggioritaria l’aspirazione a riconquistare la sovranità accompagnata dalla giustizia sociale.

TERZA DOMANDA: che piega prenderà dunque questa spinta? Dipenderà da diversi fattori, uno dei quali è se sorgerà o non sorgerà una forza politica che proverà ad indirizzarla e rappresentarla.

QUARTA DOMANDA: di che tipo di forza politica c’è bisogno nel nostro Paese? Che forma e piattaforma programmatica dovrebbe avere?


PER UNA VOLTA FACCIAMO GLI INGLESI

C’è differenza tra quello che sarebbe per noi auspicabile e quello che è invece realisticamente fattibile in questa fase. Fase, ribadiamolo, segnata anzitutto dal dilemma se l’Italia debba essere inghiottita nel processo che vede l’Unione europea trasformarsi in super-stato — quindi trascinata in una spirale nient’affatto lineare e che sarà anzi segnata da sconvolgimenti geopolitici, sociali e istituzionali — o se sopravviverà come stato-nazione.

In quanto Sinistra Patriottica noi ci consideriamo il nucleo di un Partito rivoluzionario e socialista. Riteniamo tuttavia che una rivoluzione socialista non solo non sia all’ordine del giorno, ma che essa sia pensabile solo sui tempi lunghi. Riteniamo infine che una rivoluzione che apra la via ad un’alternativa socialista non cade dal cielo, né sarà un parto della storia con i rivoluzionari che debbono limitarsi a fungere da levatrice. Essa può avanzare solo nelle battaglie che segneranno la realtà effettuale, facendo i conti con le sue diverse fasi. Essa si farà quindi strada se le minoranze rivoluzionarie sapranno adattarsi al concreto terreno di scontro, partecipando alle lotte, per quanto “impure”, sapendo approfittare delle contraddizioni sempre esistenti nel campo nemico.

Siccome L’Italia si troverà davanti al bivio se rinascere o morire prima dell’auspicata  rivoluzione socialista è nella battaglia per la sovranità che la Sinistra Patriottica deve farsi le ossa e consolidarsi. Se da sempre parliamo della necessità di un CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) è perché siamo consapevoli che solo un grande, unitario e trasversale movimento di sollevazione popolare può liberarci dalla prima cintura di catene che ci imprigiona. Ma questo movimento, tanto più dopo il comprovato fallimento dei populisti giallo-verdi, sorgerà solo se da adesso troverà il guado per attraversare il fossato che divide le minoranze sovraniste dal popolo.

Come superare il fossato? Una cosa è chiara, tutte le vie perseguite in questi ultimi dieci anni si sono dimostrate sbagliate, tutti i diversi tentativi hanno fatto fiasco. Sono falliti gli entrismi in partiti già esistenti, falliti i tentativi dei piccoli gruppi di fondarne di nuovi, falliti pure i nostri di confederare questi gruppi.

Dalla vicenda della Brexit giunge, per chi voglia vederla, la soluzione. Proprio così, si dovrebbe seguire, mutatis mutandis, l’esempio del Brexit Party. Nato nel gennaio di quest’anno in pochi mesi è diventato il partito maggioritario tra i cittadini inglesi. Sappiamo bene che esso ha potuto sfondare grazie alla grave crisi politica provocata dal referendum pro-Brexit, dal solco profondo da esso scavato tra il sentire popolare ed i principali partiti, dal conseguente marasma maturato nelle file dell’élite. I tempi potranno essere diversi ma lo stesso solco tra popolo ed élite si va allargando anche qui da noi. Lo spazio politico dell’euroscetticismo e dell’euroantagonismo tenderà ad ampliarsi nei prossimi mesi e anni. Non basta agire affinché esso si allarghi, occorre che diventi forza politica.

Come quello inglese il Partito Italexit sarebbe quello che si dice un partito di scopo. E lo scopo è uno e uno solo: l’uscita dalla Ue e dall’eurozona. Come deciso dagli inglesi esso si scioglierà una volta ottenuto l’obbiettivo e, com’è ovvio, una volta liberato il Paese, dal suo seno le diverse correnti politiche e ideologiche prenderanno ognuna la sua propria strada.

Cinque i punti della sua piattaforma: (1) Disdettare i Trattati e gli accordi anti-nazionali da Mastricht in poi; (2) Uscire dalla gabbia della Ue; (3) Riguadagnare la sovranità politica e monetaria; (4) Ripristinare la democrazia; (5) Tornare alla Costituzione del 1948.

Chi è d’accordo ne fa parte a pieno titolo, a prescindere da dove venga, se abbia o no una tradizione politica, se faccia parte di un gruppo o meno.

Per quanto riguarda la forma non parliamo a caso di Partito. Non dev’essere infatti un’accozzaglia informe, una posticcia addizione di correnti, una confederazione. Nè tantomeno deve assomigliare ai cosiddetti “movimenti liquidi” in stile M5s tutti basati sulla truffa della E-democracy. Dev’essere invece un partito solido, pronto a gettarsi nella mischia, democraticamente organizzato dal basso verso l’alto, con un congresso costitutivo, con una direzione eletta dai membri, con sezioni e sedi, con efficaci strumenti di propaganda e azione.

Questa è la proposta che ci sentiamo di fare a tutti i patrioti. E a loro la sottoponiamo, nella speranza che non soltanto sia condivisa, ma collettivamente affinata e meglio precisata.