Il dietrofront di Salvini sull’euro e l’imbarazzo dei suoi economisti
Nell’ultima conferenza stampa in qualità di uomo-euro, Mario Draghi ha così festeggiato le recenti retromarce di M5s e Lega sulla moneta unica: «Everybody in Italy says today that the euro is irreversible». Dunque «oggi in Italia tutti dicono che l’euro è irreversibile», laddove con quel “tutti” Draghi ha inteso riferirsi in primo luogo alle recenti dichiarazioni di Matteo Salvini.
Per togliere ogni incertezza ha infatti aggiunto che: «I dubbi ipotetici che c’erano in una parte della governance dell’Italia ora non ci sono più». E, per chi proprio non avesse capito, il solerte Corsera ci informa come la frase sulla “irreversibilità” sia stata pronunciata «sorridendo e certamente pensando a Matteo Salvini».
Ora, è chiaro come Draghi abbia voluto strafare – anche secondo le statistiche di Eurostat l’Italia resta il paese più euroscettico dell’Unione – ma certamente ha colto il punto: la normalizzazione di M5s e della Lega. Ovviamente, come ogni normalizzazione, anche questa non può essere totale. Sia nei Cinque Stelle che, soprattutto, nel partito salviniano restano dunque settori sovranisti tuttora convinti della necessità di uscire dall’euro.
Ma, si sa, quel conta è la linea espressa dai gruppi dirigenti, ed essa non lascia spazio a dubbi. Tanti sono dunque i sovranisti delusi e spiazzati. Se nei Cinque Stelle si preferisce parlar d’altro, nella Lega si ricorre alla solita narrazione consolatoria, quella secondo cui il fine dell’uscita non sarebbe cambiato; cambiata sarebbe solo la comunicazione, adesso tesa a dissimulare quell’obiettivo.
Questa storiella è davvero avvincente. Ed ha il vantaggio di non poter mai essere smentita. Tu cominci a rinunciare ai tuoi obiettivi? Niente paura, è solo un modo per disorientare l’avversario, non facendogli conoscere le tue reali intenzioni. Tu finisci, via via, per assumere le posizioni del nemico? Perfetto, vuol dire che siamo vicini all’obiettivo! E più si rinnega quel che eravamo (o dicevamo di essere) e più si è vicini alla vittoria. Talmente vicini che non ci si arriva mai… E non arrivandoci chi potrà mai smentire la bontà di questa dissimulazione?
Un esempio di come funzioni questo meccanismo ci viene dalla storia del Partito comunista italiano (Pci). Negli anni settanta del secolo scorso questo partito operò una serie di svolte piuttosto pesanti, tutte presentate però ad una certa parte della base come semplici espedienti tattici. Proponiamo il “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana (1973), ma solo per batterla meglio. Accettiamo apertamente la Nato (1976), ma al fondo restiamo filo-sovietici coi baffi. Diciamo sì alla politica dei sacrifici (governi Andreotti 1976-79 – svolta sindacale dell’Eur 1978), ma è solo perché la classe operaia deve ormai farsi Stato. Eccetera, eccetera, eccetera. Insomma, arretriamo di continuo, ma lo facciamo in nome della rivoluzione. Peccato che al posto della rivoluzione arrivò invece la Bolognina e lo scioglimento del Pci: chissà perché…
Naturalmente, come già detto, la narrazione di cui sopra riguardava solo ed esclusivamente una certa parte della base. Una parte via via sempre più minoritaria. L’altra, unitamente ai gruppi dirigenti ai vari livelli, ben sapeva dove si stava andando. E lo approvava. Ma chi lo sapeva ancora meglio era la classe dominante dell’epoca, tant’è che con la Seconda repubblica il personale politico ex-Pci (si pensi all’orrida figura di Napolitano) sarà quello prescelto da lorsignori per far digerire ogni porcata neoliberista al popolo lavoratore.
Ora, i paragoni storici valgono quel che valgono, ma – mutatis mutandis – ho l’impressione che qualcosa del genere stia accadendo a quella parte della Lega che crede davvero alla battaglia per la sovranità nazionale e che dovrebbe adesso digerire la salviniana irreversibilità dell’euro come stratagemma, pensate un po’, per arrivare all’uscita dall’euro. Caspita, che furbi! Chissà perché non ci avevano pensato finora!
Non so se questa favoletta verrà propinata in questo fine settimana, nell’annuale raduno pescarese organizzato da Bagnai. Probabile che si aggiri il tema parlando d’altro, un po’ come quando nel Pci gli intellettuali organizzavano dotti convegni su Gramsci, proprio mentre la dirigenza politica si adattava sempre più al pensiero unico neoliberista. Insomma, un modo come un altro per tenere ancora in piedi una commedia ormai scaduta di livello.
Agli inizi di settembre mi ero permesso di rivolgere a Bagnai dodici domande. La dodicesima di queste domande, così riassumeva la questione: «Alla luce di quanto abbiamo visto finora, non è che nella Lega le posizioni di Bagnai sono state sonoramente battute?».
Ovviamente, ma questo era scontato, quelle domande non hanno avuto risposta alcuna dall’interessato. Adesso però, dopo l’uscita salviniana di metà ottobre, una risposta ce la dà Mario Draghi. Il quale sulla normalizzazione dell’Italia si illude (o finge di farlo), ma su quella della Lega salviniana sa quel che dice. Canta vittoria e nessuno gli replica, qualcosa vorrà pure dire.