Julio Anguita ci ha lasciati. Il dolore e la rabbia

La morte di Susana López lo ha colpito molto. Mi ha chiamato con un tono per lui alquanto insolito, come fosse disperato. Susana aveva telefonato ai suoi amici in quello che era, consapevolmente o no, un addio. Agustina, la sua compagna, me lo confermò più tardi. In quei giorni, mi chiamò anche per parlarmi del Manifesto che stava preparando. Gli ho detto che l’avrei firmato senza leggerlo, ma non l’ha accettato; voleva la mia analisi critica, i suggerimenti.

Si deve partire dalla cosa fondamentale: Julio era una persona a tutto tondo. Coraggio, audacia e orgoglio hanno definito uno stile singolare e con un carattere molto marcato, in parte, costruito da lui stesso. Coraggio, coraggio e orgoglio hanno segnato uno stile che in seguito egli trasformò in politica. Era un insegnante, uno storico e un appassionato del teatro. Conosceva bene le regole del discorso e le chiavi della retorica politica. Il suo arrivo al comunismo, come per molti della sua generazione, fu soprattutto un impegno morale per le classi lavoratrici, per gli umili e le persone ordinarie. Conosceva in dettaglio la storia della Spagna, quella di Cordova e dell’Andalusia e conosceva molto bene le caratteristiche del capitalismo spagnolo. Non ha mai parlato per sentito dire, ha studiato duramente fino alla fine della sua vita e ha imparato a circondarsi di persone che gli hanno fornito conoscenze e informazioni.

E’ stato un eccellente amministratore pubblico. Aveva dei principi ma non fu mai dottrinario. Questo è importante sottolinearlo. Come sindaco, non ha avuto problemi nel gestire la città con l’opposizione, ha cercato il consenso, non dalle astrazioni, ma dal programma inteso come un contratto con la cittadinanza. “Sentiva crescere l’erba sotto i piedi” e aveva una percezione quasi infallibile sull’orientamento del voto. Venne alla politica andalusa e nazionale come rinnovatore; in molti modi, lo è sempre stato. Comprese prima della caduta del muro, che un ciclo storico stava finendo e che erano necessarie una nuova politica e nuovi modi di esercitarla. Ciò ha portato a errori all’interno e all’esterno del Partito Comunista Spagnolo (PCE). Molti lo hanno considerato di destra e lo hanno sostenuto. Si sbagliavano, hanno sempre avuto torto. Julio fu un rinnovatore della e nella tradizione comunista.

Comprese presto che il tipo di modernizzazione capitalista guidata e organizzata da Felipe González avrebbe avuto conseguenze negative per la struttura produttiva della Spagna, per i diritti del lavoro e dei sindacati; che essa avrebbe ipotecato un futuro che molti invece pensavano avrebe posto fine ad una arretratezza storica e il nostro approdo alla modernità. Il dibattito su Maastricht è stato molto duro per questo. Una parte della direzione de PCE e di Sinistra Unita (IU) gli consigliò di evitare lo scontro cercando un terreno meno paludoso. Anguita non ebbe esitazioni e combatté. Cosa c’era in ballo? Lo stesso di adesso, l’idea di alternativa; cioè, superare davvero il modello neoliberista giungendo alle estreme conseguenze.

Manolo Monereo e Julio Anguita

Ciò che è venuto dopo è noto: una sistematica campagna di demolizione e demolizione contro una persona che era diventata un punto di riferimento per una base sociale complessa e in crescita. Tutto ciò che abbiamo visto contro Unidas Podemos è stato prima  praticato in grande stile contro Julio Anguita e contro IU: intervento di apparati statali (cloache comprese), gruppi industriali e media e una corte di intellettuali convertitisi, come ebbe a dire Manolo Sacristan, “letratenientes” [pennivendoli diremmo in italiano, NdT]. Parlare male di Anguita faceva premio, era diventato un segno di rispettabilità sociale. Senza la divisione interna in IU non sarebbero stati possibili l’impantamento politico e la successiva sconfitta elettorale. Anguita ha somatizzato tutto e il suo primo attacco di cuore ebbe a che fare con questo clima.

Molto è stato detto sulla Transizione [ il passaggio dal franchismo al post-franchismo, NdT] e su Julio Anguita. Ciò che venne concordato [col cosiddetto “Patto della Moncloa” dell’Ottobre 1977, che venne sottoscerito anche dal PCE di Carrillo, NdR] lo abbiamo conosciuto più tardi. Il nuovo segretario generale, diversamente dagli altri dirigenti del PCE, non ha mai abbellito la Transizione e le sue conseguenze. Sapeva che era un patto ineguale e che aveva i suoi costi. In un momento complesso, quando Anguita denunciava l’uso improprio della Costituzione e il modo in cui i suoi aspetti più progressisti venivano disattesi o semplicemente ignorati, avvertì pubblicamente che il PCE e l’IU avrebbero dovuto collocare la Monarchia al centro del discussione. Coloro che comandano e non si presentano alle elezioni capirono che si era andati oltre a ciò che era permesso e hanno tirato fuori le immense munizioni a loro disposizione contro un progetto che sfidava le regole non scritte del gioco e che erano al di sopra della Costituzione. La corruzione della casa borbonica stava già diventando un elemento significativo del sistema di potere.

Anguita, che vedeva lungo, si rese conto di non essere in grado di guidare un progetto come IU e il PCE e propose la sua sostituzione in un processo che sarebbe dovuto essere ordinato e democratico. Ma non è stato possibile. Mi riferisco a ciò che Anguita stesso ha detto. L’unica cosa che posso dire al riguardo è che Julio ha avuto un momento estremamente difficile e non si è sentito accompagnato da quelli che considerava compagni e amici. Tornò alle sue lezioni e al suo stipendio come insegnante di scuola superiore. Alcuni mezzi di comunicazione — i nemici non dimenticano né perdonano — hanno trascorso mesi a verificare la professionalità di chi portava l’onore di essere un insegnante di scuola.

Il movimento del 15M [che sorse nel 2011, NdT] considerò Anguita come un interlocutore. Anguita prese parte al dibattito con il suo stile, per dire la verità, per discutere seriamente e non scoraggiare un movimento emergente. Con modestia, ha sottolineato le sue carenze, la necessità di un progetto visibile e di organizzarsi senza perdere la sostanza sociale. Ha difeso l’unità di IU e Podemos andando oltre una semplice coalizione elettorale e parlamentare. Sognava commissioni unitarie nei quartieri, assemblee aperte e partecipative e una mobilitazione sociale oltre i cicli elettorali.

Adesso ci ha lasciati. La sua ultima preoccupazione, quella di sempre: non è sufficiente governare, non è abbastanza amministrare, ci vuole il coinvolgimento degli attori sociali, la creazione di organizzazione e la convocazione del popolo quando si entra in un periodo segnato da una pandemia globale, da una crisi economica di grandi proporzioni e dalla brutale disoccupazione.
Il suo ultimo documento, il Manifesto, è diventato la sua volontà e noi diventiamo suoi eredi.