Riflessioni sulle prospettive del movimento

Premessa

Quelle che seguono sono delle brevi riflessioni personali sul futuro del movimento. Riflessioni brevi, quindi molto schematiche, dato che talvolta gli schemi possono essere più utili dei lunghi discorsi. Riflessioni personali, dunque aperte al confronto ed alla discussione, che è poi lo scopo di queste note. Riflessioni, quindi, sul movimento “no green pass”, quella che abbiamo chiamato “nuova resistenza” — di fatto l’unica opposizione reale al governo Draghi.

  1. Dal Covid alla guerra

Per due anni il Covid ha preso il centro della scena, ma adesso la situazione è drasticamente cambiata. Per due anni, mentre la maggioranza delle persone accettava spaventata tanto la narrazione pandemica, quanto le misure liberticide che ne derivavano, una consistente minoranza – la nostra – vi si opponeva con forza. Questa opposizione è il bene più prezioso di cui disponiamo, ed è dunque da lì che dobbiamo partire. Ma la lotta politica è dinamica, e non sempre quel che andava bene ieri può andare bene per l’oggi ed il domani.

Oggi l’opposizione va costruita anzitutto – che non vuol dire esclusivamente – sulla guerra e sulle sue conseguenze economiche e sociali. Mi è già capitato di scrivere che «quella che stiamo percorrendo è la strada della Terza Guerra Mondiale». E’ la mia una valutazione sbagliata ed eccessivamente pessimista? Può darsi, ma discutiamone seriamente. L’importante è che non si dica, come pure mi è capitato di sentire anche di recente, che la guerra è in realtà una “falsa guerra”, solo un “diversivo” tra un virus e l’altro. Ecco, queste sono sciocchezze che dobbiamo bandire al più presto.

Ma c’è una seconda ragione per cui oggi occorre un riorientamento generale del movimento. Io non credo che in autunno ci ritroveremo nella situazione dello scorso anno. Non credo, cioè, che torneremo alle chiusure ed al green pass. E non lo credo per quattro motivi. Primo, perché il regime rischierebbe troppo sul piano del consenso. Secondo, perché la linea rigorista dell’Italia è troppo isolata sul piano internazionale. Terzo, perché la stessa curva del Covid sta piegando drasticamente verso il basso, togliendo così ogni “giustificazione” all’emergenzialismo. Quarto, perché altre emergenze prenderanno il sopravvento.

Questo vuol dire che sul fronte Covid non ci siano più battaglie da fare? Assolutamente no. Andando in ordine inverso di importanza ci sono almeno tre obiettivi da perseguire: 1) chiudere definitivamente l’assurda stagione dell’obbligo di mascherina negli ambienti dove ancora perdura; 2) porre fine all’obbligo del tampone per l’accesso ai luoghi di cura; 3) impedire che l’obbligo di vaccinazione per i lavoratori della sanità venga ulteriormente prorogato nei prossimi mesi. Tra queste questioni la più rilevante è certamente l’ultima, dato che i vaccinomani, non potendo riproporre nuovi obblighi per l’intera popolazione, potrebbero concentrare le loro mire su una categoria (i sanitari) che vogliono controllare totalmente anche attraverso l’espulsione di chi dissente.

Queste battaglie vanno assolutamente fatte, a partire da una forte mobilitazione in occasione della pronuncia della Corte costituzionale sull’obbligo vaccinale, ma non capiremmo l’attuale riflusso del movimento se non nel quadro della diffusa percezione di un (sia pur lento) ritorno alla normalità.

Dunque, tenendo fermi gli obiettivi di cui sopra, bisogna prendere atto che la fase della centralità del Covid (grosso modo, febbraio 2020-febbraio 2022) si è definitivamente chiusa con le “riaperture” (le virgolette sono ancora d’obbligo) del 1° maggio scorso.

  1. Oggi la questione centrale è la guerra

Oggi la nuova questione centrale è la guerra. Questa nuova fase, apertasi formalmente il 24 febbraio, non si chiuderà a breve. Questo per il banale motivo che quella in corso non è una guerra fra le tante, un “semplice” conflitto tra Russia ed Ucraina. Essa è piuttosto la guerra, preparata da tempo, del blocco Usa-Nato-Ue contro la Russia, con lo scopo di metterla in ginocchio come premessa per passare poi alla Cina. Le ultime dichiarazioni di Biden, che per la prima volta dal 1949 parlano di un intervento diretto degli USA nel caso la Cina volesse chiudere militarmente la vicenda di Taiwan, non lasciano spazio ad equivoci.

La cosa non deve stupire. Sono almeno 10 anni che diversi studiosi di geopolitica ci avvertono sull’esigenza (e sulla scelta) della superpotenza in declino di usare le armi contro lo sfidante cinese. A tal proposito c’è stato anche chi si era pronunciato sull’anno del possibile conflitto: il 2017, il 2022 (?), il 2025. Inutile dire come queste previsioni debbano essere sempre prese con le molle. Quel che è certo, però, è che adesso abbiamo i fatti, non le mere previsioni.

Per il nostro Paese, la guerra porta con sé due effetti immediati ed un enorme rischio futuro. Il primo effetto si chiama recessione. Il rimbalzo post-Covid del Pil è già terminato. Il ritorno ai livelli del 2019 (che non avevano ancora recuperato sul 2007!) è adesso rimandato a data da destinarsi. Il secondo effetto si chiama inflazione. Per l’esattezza un’inflazione che non si vedeva da oltre trent’anni, con buone probabilità di tornare ai livelli di 50 anni fa. Con una differenza, però. Che mentre allora i prezzi correvano anche per l’aumento dei consumi, oggi l’inflazione va a sommarsi ad una stagnazione tendenzialmente recessiva, dando così vita alla peggiore situazione tra quelle immaginabili: la cosiddetta stagflazione.

Qui non stiamo parlando di fenomeni futuri, ma di un qualcosa che è già tra noi, basta leggere le bollette di luce e gas. Ma questo potrebbe essere niente rispetto al rischio di un coinvolgimento diretto nella guerra. Guerra in cui siamo già stati di fatto trascinati con le sanzioni, l’invio di armi e la piena adesione politico-diplomatica ai dettami della Nato.

Vi pare poco? A me sembra evidente che o il movimento saprà essere all’altezza di queste questioni od evaporerà.

  1. Portare l’Italia fuori dalla guerra

Noi, che sappiamo bene come «la guerra non è che la prosecuzione della politica con altri mezzi», siamo contro la guerra. Ma sappiamo anche che la guerra non si ferma con l’invocazione pacifista. Essa si ferma piuttosto con la lotta politica. Nello specifico con un’azione tesa ad incrinare la compattezza del blocco Usa-Nato-Ue. Il che vuol dire, nel nostro caso, lotta senza quartiere per cacciare il governo Draghi.

“Portare l’Italia fuori dalla guerra” deve essere perciò la nostra parola d’ordine fondamentale. Una parola d’ordine da articolare su tre punti: basta invio delle armi all’Ucraina, ritiro delle sanzioni, fine della russofobia. A questi punti, ne andranno poi aggiunti altri: sul contenimento del costo dell’energia, sulla difesa del valore reale di salari e pensioni, su come impedire la svendita finale del patrimonio industriale nazionale.

Stiamo qui entrando di fatto in un tema decisivo, quello di un vero e proprio programma di governo. Purtroppo, nel movimento c’è ancora chi pensa che un simile programma sia impossibile, inappropriato o quantomeno prematuro. Si tratta di uno di quegli errori che in politica sono talvolta peggiori dei crimini. Chi scrive non si nasconde i problemi. Ci sono difficoltà figlie delle diverse culture presenti tra noi, ma le difficoltà sono fatte per essere superate.

E’ chiaro che qui nessuno pensa di poter rovesciare la situazione a breve, ma ove rinunciassimo programmaticamente alla conquista del governo, dunque del potere, rinunceremmo di fatto ad una visione e ad una proposta complessivamente alternativa a quella del blocco dominante che ci ha condotto fin qui. Possiamo permetterci una simile cantonata? A me pare proprio di no, non solo in vista della prossima prova elettorale, ma soprattutto in considerazione della gravità dei problemi dell’oggi.

La verità è che questo programma – politico, economico e sociale – ci serve come il pane. I cinque punti contenuti nell’appello dei 100 già ne tracciano la cornice fondamentale. Questa cornice andrà evidentemente sviluppata, ma essa ci deve servire anzitutto per orientare da subito l’azione del movimento. Un movimento che vivrà solo se saprà ridefinirsi negli obiettivi, nelle parole d’ordine, nei soggetti a cui si rivolge.

Qui non si tratta abbandonare il lavoro fatto (che sarebbe anzi un errore gravissimo), quanto piuttosto di essere all’altezza della nuova situazione. Quello che abbiamo costruito è prezioso, quello che dovremo fare insieme ancora più importante.

28 maggio 2022

* Presidente di Liberiamo l’Italia

Fonte: Liberiamo l’Italia