Guerra: la verità viene a galla

TRE FLASH NELLA NEBBIA DELLA PROPAGANDA NATO

Il tempo è galantuomo, e sull’Ucraina la nebbia comincia a diradarsi. La montagna di menzogne della propaganda occidentale inizia infatti a franare. Un crollo che permette di cogliere meglio i veri caratteri della guerra in corso.

Tre flash degli ultimi giorni sono particolarmente illuminanti. Proprio per questo sono passati quasi inosservati sui media nostrani.

Primo. Angela Merkel ha confessato: «Gli accordi di Minsk del 2014 sono stati un tentativo di dare tempo all’Ucraina per diventare più forte, come si può vedere oggi». Questa l’inequivocabile affermazione contenuta in un’intervista di una settimana fa a Die Zeit, nella quale l’ex cancelliere tedesco ribadisce più volte il concetto: era chiaro che non si sarebbe andati verso la pace, bisognava piuttosto dare tempo prezioso a Kiev ed alla Nato per preparare la guerra alla Russia.

Un inganno, dunque, come sapevamo da tempo. Ma un inganno adesso confessato da una dei “garanti” (l’altro era l’ineffabile presidente francese Hollande) dell’accordo perfezionato con il cosiddetto protocollo di Minsk II il 12 febbraio 2015.

Secondo. Matteo Renzi è quel che è, ma quando fa il conferenziere ben pagato all’estero rivela cose più interessanti del solito.

Punto centrale degli accordi di Minsk era l’articolo 11, che così recitava:

«Effettuare la riforma costituzionale in Ucraina attraverso l’entrata in vigore, entro la fine del 2015, della nuova costituzione che preveda come elemento cardine la decentralizzazione e una legislazione permanente sullo status speciale delle aree autonome delle regioni di Donetsk e Lugansk che includa, inter alia, la non punibilità e la non imputabilità dei soggetti coinvolti negli eventi avvenuti nelle citate aree, il diritto all’autodeterminazione linguistica, la partecipazione dei locali organi di autogoverno nella nomina dei Capi delle procure e dei Presidenti dei tribunali delle citate aree autonome».

Come sappiamo, gli impegni del punto 11 sono rimasti lettera morta, nel silenzio assoluto dei due improbabili “garanti”. L’Ucraina non ha fatto nessuna riforma costituzionale, negando autonomia e diritti linguistici alle popolazioni del Donbass. Ma qualcuno vorrebbe farci credere che ciò sia avvenuto solo perché la volontà di pace mancava da ambo le parti.

A smentire questa ricostruzione filo-ucraina è allora arrivato il conferenziere di Rignano sull’Arno, che di certo non può essere etichettabile come “amico di Putin”. Due settimane fa, Matteo Renzi si trovava ad un “business summit” a Bangkok, dove ha reso noto che nel novembre 2014 (dunque prima della formalizzazione del protocollo di Minsk II) partecipò ad un incontro con Putin e l’allora presidente ucraino Porošenko. Insieme a Renzi c’erano pure Hollande, Merkel e Cameron. In quella sede venne proposta una soluzione simile a quella adottata per l’Alto Adige. La proposta fu accettata da Putin, ma rifiutata da Porošenko. Una conferma definitiva di come il successivo protocollo di Minsk II sia stato solo un inganno voluto dal governo di Kiev, evidentemente sostenuto in questo dalla Casa Bianca di Obama e dalla Nato.

Terzo. Già, la Nato. Ieri l’altro il Times ha dato notizia di quanto scritto su Globe and Laurel – la rivista ufficiale dei Royal Marines – dall’ex comandante del corpo d’élite della Marina britannica, Robert Magowan. Il succo sta nell’ammissione della presenza sul terreno ucraino delle forze inglesi già dal gennaio scorso, dunque un mese prima dell’inizio della guerra, quando 350 marines del 45° Commando sarebbero sbarcati a Kiev provenienti dalla Norvegia.

Una notizia che non può certo sorprenderci, ma che dà assolutamente ragione a Mosca sul ruolo avuto dagli inglesi in numerose azioni di attacco sul territorio russo ed in particolare contro la flotta del Mar Nero e la base di Sebastopoli. Magowan, evidentemente col beneplacito delle autorità politiche e militari di Londra, parla infatti dell’impiego delle forze speciali britanniche in «operazioni segrete in missioni ad alto rischio politico e militare». Dunque in operazioni di guerra, inutile girarci attorno.

Tre flash e tre verità

Cosa ci dicano questi tre flash, tutti provenienti da fonti politiche e militari anti-russe, è chiaro.

In primo luogo, essi ci parlano della lunga preparazione della guerra da parte dell’occidente a guida americana. Già nel 2014 la decisione di una guerra alla Russia era presa. Certo, Putin avrebbe potuto arrendersi, mollare le popolazioni del Donbass e portarsi la Nato ad un tiro di schioppo da Mosca. Insomma, l’alternativa alla guerra era solo la resa. Molti, nel fronte pacifista, riconoscono le colpe della Nato, ma ritengono quella russa una “aggressione”. In realtà la vera aggressione è venuta dall’occidente, ed alla guerra guerreggiata saremmo comunque arrivati. Si può semmai criticare Putin per aver fatto nel 2022 quel che avrebbe potuto fare, sicuramente con meno problemi, nel 2014. Ma la dinamica dei fatti – ce lo confermano Merkel e Renzi – è chiara: nel 2014-15 la Russia cercò effettivamente una soluzione pacifica, mentre la Nato aveva già deciso la guerra.

In secondo luogo, quello in corso non è mai stato un “semplice” conflitto tra Russia ed Ucraina. La Nato è attivamente in campo, non solo con la fornitura di armi, da ben prima del 24 febbraio. Adesso gli Usa invieranno a Kiev perfino i missili Patriot, salendo così un ulteriore gradino di un’escalation che a Washington non hanno alcuna intenzione di fermare. Altro che tregua, come qualcuno favoleggia! Ma se lo scontro è tra la Russia e la Nato, come non rendersi conto che siamo già dentro la Terza Guerra Mondiale, come andiamo dicendo da tempo?

In terzo luogo, proprio questa escalation ci rimanda al rischio nucleare. Il gioco americano – visto che è certamente lì che si decidono tattiche e strategie – è scoperto. La tecnica è quella di salire ogni volta uno scalino, per poi osservare la reazione del Cremlino. Come tradizione della storia militare russa, a Mosca sono prudenti. Dunque, e giustamente, nessuna risposta colpo su colpo, quanto piuttosto una strategia che non disdegna tempi più lunghi. La prudenza non è debolezza, specie quando alla fine della corsa il rischio concreto è quello di arrivare alla soglia nucleare. Non è debolezza, ma l’avversario potrebbe scambiarla per tale, invogliandolo così a compiere il passo successivo. Fino a quando questo “gioco” potrà durare? Insomma, l’Europa ha temuto il conflitto atomico all’inizio degli anni ’80, quando vennero schierati gli euromissili. Possibile che non si capisca che oggi il rischio è cento volte più alto?

E’ per tutte queste ragioni che domenica prossima saremo a manifestare alla base di Aviano, laddove è concentrato il grosso delle armi atomiche americane presenti in Italia. Per ora il movimento contro la guerra non è certo stato all’altezza della gravità della situazione. Lavoriamo perché lo diventi prima che sia troppo tardi.

(16 dicembre 2022)